di Valentina Marelli
La Cattedrale di Santa Maria Maggiore è il principale luogo di culto cattolico della città di Lisbona, in Portogallo.
Molto spesso quando capita di girare e di essere costretti per necessità a passare non più di due giorni in un posto, si corre il grosso rischio di disperdere le energie nella spasmodica idea di voler vedere tutto o almeno il più possibile, ma alla fine l’esperienza insegna che è solo un’inutile spreco di energie e di tempo. Non si è visto nulla e si rientra a casa distrutti. Se invece si ha la fortuna di girare con un Mentore, qualcuno insomma che sa dove indirizzarti, beh le cose cambiano e non poco.
Mi ritrovai a Lisbona giusto un paio di giorni in occasione di un evento organizzato dal Rito di York, ovviamente non potendo partecipare ai lavori rituali cominciai a preparami un itinerario turistico alternativo, e Tiziano mi consigliò, anzi ad onor del vero, quasi mi “impose” una visita alla Cattedrale. Devo ammettere che nonostante la mia iniziale riluttanza, gliene sono ancora molto grata.
Due accenni storici sono doverosi:
nel 1150 Alfonso I fece costruire, sul terreno dove sorgeva una Moschea, una sontuosa Cattedrale il cui destino e la cui architettura furono segnati da ben tre terremoti; motivo per il quale quello che ci ritroviamo ad ammirare oggi è un mosaico di architetture molto diverse motivate da azioni di restauro e di manutenzione o addirittura di ricostruzioni successive. La facciata principale di questa Cattedrale è in stile Romanico, ma contiene elementi che richiamano più lo stile Gotico di ispirazione squisitamente Francese, perché a questa facciata romanica, sono affiancati due torri campanarie gemelle, e al centro ed in altro, in corrispondenza del portale, il grande rosone circolare.
La costruzione è imponente quanto eclettica, a dire il vero all’inizio sembrava quasi deludente, non perché brutta ma spoglia ed involgarita dal barocco. Leggermente delusa, stavo per uscire quando feci caso ad un passaggio, appena dietro l’abside, la cattedrale continuava, in maniera silente e nascosta. Quell’abside di fattura barocca nascondeva la parte originaria della chiesa risalente al 1150, da cui si accedeva a quello che un tempo era il chiostro e che invece adesso era un immenso cantiere a cielo aperto. Varcata quella soglia mi sono sentita realmente Alice che ruzzola nella tana del bianconiglio e viene catapultata nel paese delle meraviglie!
Il custode mi spiegò che a seguito di un terremoto all’interno della Cattedrale si venne a formare una vera e propria spaccatura, il deambulatorio ed il chiostro rimasero praticamente integri; ovviamente compatibilmente con la forza distruttiva del terremoto, mentre il resto della chiesa riportò molti più danni rendendo necessaria una ricostruzione. A testimonianza di questo ci mostrò lo spostamento rispetto alla base di una delle colonne, letteralmente impressionante, aiuta a capire quale è stata l’entità e la potenza della scossa.
A questa interessante zona si accede dopo il pagamento di un irrisorio biglietto il cui ricavato è destinato a sovvenzionare i lavori di restauro, quindi soldi assolutamente ben spesi.
Il deambulatorio nascosto dietro l’abside, è costituito da nove cappelle gotiche, il chiostro del XIII secolo custodisce importanti scavi archeologici, come manufatti in pietra del VI secolo A.C., una cisterna medievale, botteghe e fondamenta islamiche. Nella cappella di Sant’Alfonso troviamo i sarcofagi del XIV secolo di Fernandes Pacheco e di sua moglie Maria Villalobos. Nonostante gli scavi d i danni del terremoto i simboli che troviamo sono stupefacenti, le volte del chiostro sono un tripudio si pentalfa e sigilli di Salomone, ma uno in particolare più di tutti ha attirato la mia attenzione.
Infervorata dalle allora recenti letture sulla più famosa Cappella di Rosslyn nelle vicinanze di Edimburgo edificata dai Templari, mi sembrava di aver scoperto qualcosa di eccezionale e di molto simile al mais presente nella cappella, ovviamente senza tralasciare tutto il discorso che ne consegue. Ho quindi sottoposto l’immagine ad altri per averne un parere, e con mio sommo piacere si è intavolata una lunga ed accesa discussione sui simboli; alla fine arrivammo ad un compromesso più che ad una vera e propria conclusione, poteva trattarsi di “frutti” di Agave, più precisamente assomigliava al bulbo della pianta che viene lavorato al fine di estrarne il succo. Prima che esistesse la tequila, gli aztechi mischiavano succo d’agave e sale come rimedio per diverse infezioni della pelle. Studi recenti hanno confermato che l’agave ha effettivamente molte proprietà curative, ma noi ne sfruttiamo quelle alimentari nelle diete ipoglicemiche e ipocaloriche. Il succo o sciroppo d’agave si ricava dall'agave blu (Agave Tequilana), appartenente alla famiglia delle Agavaceae, una pianta succulenta del deserto del Messico. Ha radici lunghe e numerose, fusto breve, con rosetta di foglie carnose dotate di molte fibre, se tagliate presentano una struttura gelatinosa. Nelle foglie è quasi sempre presente la spina apicale, a volte le spine compaiono anche lungo i margini. Fiorisce presentando un'alta infiorescenza ai 7-8 anni di età della pianta, che in genere alla maturazione dei frutti secca.La zona dove si registrano le migliori condizioni ambientali per la coltivazione dell’agave è l’area geografica di Jalisco, vicino a Tequila. L'agave è piantata in territori estesi, dove i contadini la fertilizzano e la nutrono per diversi anni. Dopo i primi tre anni, le cime delle foglie vengono tagliate per accellerare la crescita e farla così maturare in 8 - 11 anni, per poter ricavare il miglior succo d'agave Lo sciroppo d'Agave è prodotto dall'amido della pianta, contenuto nelle radici a bulbo simili ad ananas, e chiamate dalle popolazioni locali "cuore". Si ottiene con un processo di estrazione e concentrazione totalmente naturale. Il succo viene filtrato dalle parti solide, poi lo si fa scaldare in modo da trasformare i carboidrati (l'amido) in zuccheri (fruttosio) e poi viene concentrato fino a ottenere uno sciroppo, leggermente più fluido del miele, ma senza sapore, in grado di dolcificare il 25% in più dello zucchero bianco.
Immagine del bulbo
La cosa curiosa è che effettivamente c’erano dei parallelismi con Rosslyn, infatti anche l’agave era una pianta originaria della porzione meridionale del Nord America, delle isole caraibiche, e della parte settentrionale del Centro America, con una maggiore concentrazione di varietà e diffusione nell'attuale Messico. Solo A partire dal XVIII secolo furono esportate dapprima in Europa, per motivi di studio e come piante ornamentali; successivamente furono esportate per le loro capacità produttive soprattutto in colonie di paesi europei che avessero caratteristiche climatiche simili a quelle dei paesi d'origine. Come poteva essere conosciuta in Portogallo nel 1100?
“Quando si sono eliminati tutti gli altri fattori, quello che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità” recitava Sherlock Holmes.
Quando nel 1300 i Cavalieri del Tempio di Salomone furono perseguiti, la leggenda vuole che un parte fuggì trovando rifugio in Scozia ed una parte scappò in Portogallo. A pochi chilometri da Lisbona c’è Tomar; questi elementi ci confermano che scelsero queste mete perché coscienti di potervi trovare accoglienza perché luoghi già conosciuti e visitati, con i quali c’erano quindi già rapporti commerciali prima del 1300 e questi piccoli particolari sembrano essere una conferma ulteriore di questi rapporti della padronanza sui mari di questo antico ordine di monaci guerrieri.