giovedì 23 luglio 2020

L'alef-beit e l'orizzonte simbolico della Cabala

di Luca Delli Santi



«Siamo qualcosa che non resta. Frasi vuote nella testa e il cuore di simboli è pieno»
Francesco Guccini


I simboli sono l’oggetto del nostro lavoro, ciò con cui il libero muratore si confronta sin dalla prima volta che, tolta la benda, si trova nel centro del tempio ed ha la possibilità di osservare ciò che lo circonda. Etimologicamente uno dei significati di questa parola è mettere insieme, legare due parti distinte.
Le lettere dell’alfabeto ebraico sono simboli, la loro funzione è mettere in connessione, creare legami. Costituiscono, insieme alle dieci sephirot, i trentadue sentieri della Sapienza, visivamente, nella rappresentazione dell’Albero della Vita, sono poste in relazione alle linee che uniscono fra loro le dieci sephirot, sono ponti che consentono di colmare le distanze. L’Albero della Vita è la scala di Giacobbe, una road map, che la sapienza cabalistica ha costruito in secoli di ricerca, di studio e soprattutto di intuizioni derivanti dalla pratica, il cui scopo è donare all’essere umano uno strumento per recuperare la condizione adamitica, lo stato in cui la consapevolezza umana e quella divina erano congiunte, non è la perfetta unità, è quanto vi è più prossimo.
La capacità di vocalizzare le lettere è l’elemento che ci rende realmente ad “immagine e somiglianza”, l’essere umano è dotato di pensiero, tradurre il pensiero in parola è un atto semplice, banale, che compiamo, quasi inconsapevolmente, ogni giorno, ebbene questo è un riflesso del processo alla base della creazione del cosmo.
Nel modo fantastico creato dallo scrittore inglese J.R.R. Tolkien la cosmogonia descritta nel Silmarillion è molto suggestiva, l’universo viene creato dagli Ainur, esseri emanati dall’uno Eru Illuvatar, grazie al canto melodioso che dà forma al cosmo determinandone l’ordine, l’origine del male sarà proprio rintracciabile nella nota disarmonica cantata da una degli Ainur, che poi dara origine alle forze antagoniste nell’epica dell’autore.
Una delle possibili permutazioni di Bereshit è proprio: “ Desiderò la canzone”, il cantare è l’utilizzo della parola in forma  melodiosa ed armonica, lo Shir ha Shirim, il Cantico dei Cantici è un teso che tratta d’amore, della ricerca della Shekina’, il divino celato nell’immanente, è il simbolo che viene scelto dal mitico autore del testo, il re Salomone, per elevare la parola alle sue massime potenzialità.
Riscoprire il divino che è nell’umano è la capacità di ritrovare le vibrazioni dell’aleph beit, questo è il senso delle “parole di potere “della cabala, la parola è lo strumento che consente di rievocare ciò che è stato perduto ma che latente è ancora in noi.
Il Sepher Yetzirah, descrive e dettaglia quanto viene affermato in Giovanni in apertura del suo Vangelo: “ In principio era il Verbo. Il Verbo era presso Dio. Il Verbo era Dio.”  Il Libro della Formazione fa “regnare” ogni lettera su un particolare ambito della creazione e la associa ad altri, tutto il cosmo viene ricondotto alla vibrazione di una lettera dell’aleph beit. Il Verbo dà forma al creato attraverso un complesso processo di articolazione delle lettere.
Ariyeh Kaplan ci propone una visione affascinante, il libro della Formazione non sarebbe un’interpretazione della narrazione del libro della Genesi, o almeno non solo questo, sotto queste vesti si celerebbe un testo di cabala pratica, una massà merkavà, un’opera del carro volta a raggiungere stati dell’essere superiore.
Il respiro è una componente fondamentale della cabala pratica, le tre parole che indicano i gradini dell’anima, nephesh, ruach e neshamà, hanno tutte un significato letterale che richiama il respiro. Si tratta dello strumento con il quale possiamo possedere la vibrazione che consente di usare la parola. La conoscenza della Parola Sacra consiste nel saperne articolare il suono (l’armonia, il canto ) attraverso il dominio del ritmo del respiro.
Si tratta di una peculiarità della cabala rispetto ad altre discipline sapienziali, la parola è il cuore dell’operatività, l’Alef Beit è il mezzo grazie al quale possiamo risalire l’Albero della Vita, riconquistando il Paradiso Perduto che, come ci suggeriva John Milton, può essere ritrovato solo “dentro di sé”.
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lunedì 20 luglio 2020

Il GM Stefano Bisi: «Noi siamo uomini del coraggio»




Imparare a guardare il foglio bianco e non il punto nero su di esso. Il foglio bianco che è il cielo, che è la possibilità di sentire su di noi  il sole, di abbracciare un albero, di ascoltare la musica, come quella di Diego Campagna questa sera, di godere della  bellezza di luoghi come questo… È l’invito che il Gran Maestro Stefano Bisi ha lanciato ai tanti fratelli, che hanno preso parte sabato 18 luglio nei dintorni dell’Abbazia di San Galgano alla presentazione del suo ultimo libro “Diario di viaggio” nato dalle riflessioni che nei mesi di quarantena, alla quale siamo stati costretti dall’emergenza causata dal Covid 19, ha condiviso attraverso il suo blog “Appunti da una traversata” – il sottotitolo del volume appena uscito per i tipi di Tipheret- che hanno scandito le ore e i giorni dell’isolamento e del silenzio. Una traversata, come ha ricordato il giornalista Claudio Giomini, nel corso dell’incontro,  compiuta insieme che ci ha fatto sentire in qualche modo più uniti, nell’affrontare le paure, le ansie, le preoccupazioni, e aiutato a non perdere la speranza.

Il Gran Maestro ha poi ringraziato tutti coloro che sono arrivati da lontano per partecipare ad un evento che è stata occasione per molti di ritrovarsi dopo il lungo lockdown. “Non ci basta guardarci attraverso il computer -ha detto-  nulla potrà sostituire il calore di uno sguardo, tanto più se poi siamo circondati come oggi da tanto splendore. Ma siamo stati bravi -ha aggiunto- abbiamo rispettato le regole e dimostrato di saper esercitare l’arte della pazienza. Che è stata una pazienza operosa, e la solidarietà, parola di cui non dobbiamo vergognarci…sono stati numerosi i gesti di affetto fraterno e la fratellanza è un valore che unisce gli uomini, senza il quale non si può pensare di realizzare la libertà e la uguaglianza…un valore impresso nei nostri cuori, anche attraverso il coraggio, che ci fa superare la paura che è generata dalla mente”.

FONTE

giovedì 16 luglio 2020

Massoneria e Cabala. La lamed

di Luca Delli Santi



La lettera Lamed è l’unica dell’alfabeto ebraico la cui parte superiore sovrasta tutte le altre consonanti nelle parole in cui viene scritta, nella parola cabala svolge il ruolo di contrappunto alla Qof, che si allunga verso il basso, mentre Lamed si staglia verso l’alto, così le due lettere insieme danno armonia alla parola, consentendo a chi la legge di apprezzare già visivamente il suo significato di “parallelo”, connessione fra l’alto ed il basso.
L’ideogramma proto-sinaitico richiamava un bastone ricurvo, il bastone del pastore, il significato più letterale della parola Lamed anticamente era pungolo, l’oggetto usato per spronare il bestiame. In senso figurato esprime la capacità di stimolare il desiderio di conoscere, l’essenza dell’attività di ogni buon insegnante.
La vibrazione di questa lettera è connessa con l’insegnamento, il guidare verso l’apprendimento e specularmente la capacità di apprendere.
La Lamed è l’ultima lettera della Torah e l’iniziale della parola Lev, il cuore, l’assimilazione degli insegnamenti più sacri richiede anche gli attributi del cuore: sentimento, immaginazione, creatività, sensibilità artistica.
Nel Tempio Massonico la vibrazione della Lamed guida ed ispira il lavoro del Maestro Venerabile che, posizionato ad Oriente, guida con la sua “scienza muratoria” i lavori dell’Officina. Si tratta di un ruolo fondamentale, gli operai dello spirito costruiscono il tempio interiore grazie al metodo, agli strumenti offerti dal rituale, che è governato dal M:.V:. , il cui delicato compito consiste appunto nel creare le condizioni affinché tutti possano esprimere al meglio il proprio potenziale.
La radice della parola Lamed è quella dell’ebraico lamad, guidare, condurre è l’energia a cui attinge chi conduce il lavoro degli altri Fratelli, a tutti i livelli, o del Maestro che istruisce i discepoli.
L’istruzione, l’apprendimento simboleggiato da questa lettera non è erudizione teorica bensì una conoscenza pratica ed operativa, la Lamed è la capacità di tradurre in concreto quanto si è imparato sul piano teorico, è l’insegnamento che si acquisisce solo con la pratica dei rituali, come si sa il segreto massonico può essere noto solo a chi vive il rito, mentre continuerebbe ad essere sconosciuto a chi vi assistesse senza prendervi parte o leggesse il rituale sui testi.
La ghematria di questa lettera vale trenta, come la Tribù di Giuda, una delle quattro citate nel Rito di Massone dell’Arco Reale, secondo la tradizione dava l’impulso a tutte le altre in marcia nel deserto durante l’Esodo, del resto era la tribù che esprimeva il Re di Israele. Questo impulso su un piano più generale è la forza che ogni singolo individuo trova per studiare e mettere in pratica quanto appreso, è il sentire la necessità di dedicare tutto il tempo possibile alla ricerca e al lavoro esoterico, affrontando con serenità la fatica, consci delle soddisfazioni che giungeranno.
Il valore pieno di Lamed è 74 ghematria anche della parola aad, eternità, ciò ci ricorda da dove proveniamo e dove siamo destinati a tornare.
Secondo lo Zohar la Lamed è la Torre che vola in aria, si tratta di un riferimento alla forte connotazione di questo glifo a rappresentare le aspirazioni di crescita e di miglioramento individuale, naturalmente vi è anche un “polo negativo” ovvero la tendenza ad astrarsi dalla realtà, ad essere prigionieri di una visione ideologica che impedisce l’incontro con gli altri, presupposto per qualsiasi autentico processo di ricerca interiore.
Altre scuole vedono nella forma della Lamed una Kaf posta sopra una Vav, la ghematria che ne deriva è 26, il valore del nome più sacro, il Tetragramma. In alcuni templi massonici esso è, opportunamente, posto all’interno del delta che sovrasta la cattedra del M:.V:., la luce dell’Oriente nel tempio massonico rappresenta la connessione con i più elevati livelli di consapevolezza, il compito del Venerabile consiste nel dirigere l’officina verso questa elevata fonte.

In ricordo di Rosolino Piro

di Antonino Zarcone



15 luglio 1820, Palermo, nasce Rosolino Pilo. Repubblicano, fra i promotori della rivolta palermitana che porta alla rivoluzione indipendentista siciliana del 1848, membro del secondo sottocomitato della guerra e comandante delle artiglierie della città di Palermo, partecipa ai combattimenti che costringono i borbonici a lasciare la città. Dopo la restaurazione si reca esule a Marsiglia e poi a Genova, dove conosce Mazzini e frequenta gli esuli siciliani. Fautore della guerriglia, sostiene e fornisce appoggio diretto a tentativi insurrezionali in Sicilia e nel sud Italia, tra cui quello organizzato dall'amico Pisacane nel 1857 che inizialmente doveva portare alla insurrezione siciliana e che si chiude tragicamente a Sapri. Dopo la rivolta della Gancia del 1860, torna in Sicilia per favorire la spedizione dei Mille, organizzare l'arruolamento di volontari e condurre azioni diversive contro le truppe borboniche. Muore in combattimento a San Martino delle Scale il 21 maggio 1860, alla vigilia della liberazione di Palermo. Il Gran maestro del Grande Oriente d'Italia Ernesto Nathan, in un discorso del 21 aprile 1918 al Teatro Costanzi in Roma, ne rivela l'appartenenza alla Massoneria.
Chissà se la città natale lo ricorderà nel bicentenario della nascita.

mercoledì 15 luglio 2020

«Davanti alla fine del mondo» di Mauro Cascio. Quando la musica d'autore si innamora della Filosofia



Si intitola Davanti alla fine del mondo. Appunti filosofici sotto forma di storie per non morire il nuovo libro di Mauro Cascio dopo il successo di Dove sei? (Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno) in libreria a fine luglio. La filosofia prende forma letteraria, e forme, figure, personaggi mettono in scena i temi esistenziali e teoretici e i termini a cui ci ha abituato il filosofo pontino.
«Ecco, i termini per l’appunto. Chi ce lo doveva mai dire che chi avrebbe scritto la nostra fine ci avrebbe colpito non nelle cose, ma nel linguaggio. Le parole semplicemente smetteranno di significare, tutto qui. Niente teatro, niente spettacolo. Ho letto che sarà come addormentarsi. E la nostra coscienza sbiadirà, lentamente, non all’improvviso, come quando, appunto, ci abbandoniamo al sonno. Delle nostre parole perderemo pian piano il controllo, senza rendercene conto non saranno più nostre. E senza le parole a costruirci un senso noi non solo non potremo più dire, ma non potremo più nemmeno pensare. La fine del mondo non poteva essere una disgrazia qualsiasi, è giusto che abbia questa radicalità che non ti aspetti, che colpisca il cuore della vita umana. Il pensiero ci appariva semplice, finché non ci abbiamo riflettuto sopra. Abbiamo appreso la parola penso come, appunto, una parola. È il suo uso che non abbiamo mai imparato a descrivere. Che cos’è pensare? Un’attività? Noi ora stiamo pensando? Di qualcuno possiamo dire che corre velocemente, correre è senz’altro un’attività. Da piccoli ci dicevano di sforzarci di pensare, come se fossimo, metti, in bagno. Se io aggrotto la fronte e assumo un’aria grave vuol dire che sto facendo uno sforzo di pensiero? Che differenza c’era tra sforzarsi di correre più veloce e sforzarsi di pensare? Non ci siamo preoccupati poi tanto di quest’attività fantasma. Se lo avessimo fatto avremmo scoperto il significato della parola, proprio quello che perderemo. Un poco alla volta. Ma lo perderemo».

ll libro ha ispirato il nuovo lavoro di Roberto Kunstler con Massimo Ricciuti, in uscita a settembre. Kunstler, cantautore, ha scritto  quasi tutti i brani di Sergio Cammariere, e anche di altri artisti come Ornella Vanoni e Paola Turci. Ricciuti è stato anche sceneggiatore (Un posto al sole) e docente a contratto di Filosofia della Narrazione e Editoria e tecnica della narrazione all'Università Federico II di Napoli. La produzione artistica della title-track e di tutto l’ep sarà di Francesco Musacco (due Sanremo vinti con Povia e Simone Cristicchi).

FONTE

venerdì 10 luglio 2020

I Salmi, il nuovo libro di Filippo Goti



Questo libro, di pensiero e di pratica , è un testo che tratta della storia e dell'impiego religioso, spirituale e magico dei Salmi sotto un profilo eminentemente pratico e fruibile. È proprio la pratica, la risonanza ed il magnetismo che essa esercita, ad essere l'unica e reale sintesi a cui il cercatore di conoscenza deve ambire. Pur essendo centrale quanto appena sottolineato, la preminenza della pratica su ogni dissertazione, è pur necessario avere una qualche minima erudizione relata alla storia ed alla forma di questo portentoso strumento; ciò non tanto per impreziosire qualche dotta conversazione, quanto piuttosto per fornire il necessario humus culturale affinché la pratica, comprendendo le regole generali e il giusto approssimarsi ad essa, sia fruttuosa e reale. La pratica con i Salmi, sia essa cardiaca o teurgica, si sviluppa sui seguenti fondamenti:

1. Sfrutta l'energia che nel corso dei millenni schiere di fedeli, iniziati e maghi hanno condensato nella costante ripetizione dei suoni da cui i Salmi sono composti.
2. Trova alimento ed esaltazione dal particolare animo umano del praticante.
3. Ha compimento nella capacità immaginifica (l'arte di rappresentare all'interno del nostro spazio sacro mentale ed animico ciò che desideriamo).
4. È coronata dal successo perseguendo la kavvanah o "retta intenzione": la purezza dell'intendimento.

Il Libro dei Salmi nasce dalla pulsante tradizione popolare , e ognuno dei suoi versi rappresenta un breve e diretto dialogo fra il Salmista e il Divino, colloquio dove l'uomo espone il proprio stato d'animo o la condizione personale o della collettività, e invoca, in guisa della particolare necessità o contingenza, la manifestazione riparatrice, benedicente o punitrice divina. Il rapporto che si viene a creare, o che si dovrebbe creare, fra l’uomo e la sacra intelligenza tutelare ha quindi natura intimistica e privata, intessuto dalle infinite e cangianti sfumature dell’animo. Gioia, amore, ira, dolore, sofferenza, paura, richiesta di aiuto, di conforto e molteplici altre sono le turbinanti voci, veemente scolpite nei Salmi, dell’anima inquieta e sospesa in questo palcoscenico chiamato vita. I Salmi sono componimenti vergati dall’intelligenza emotiva umana, che vogliono scuotere Dio, direttamente o attraverso i suoi intermediari angelici, dalla sua naturale distrazione innanzi alle vicissitudini umane. Il Salmo è quindi un grido dell’IO rivolto a DIO, una voce che dal basso si protende verso l’Altissimo e che rimanda un continuo ritornello: «Io uomo sono qui, e tu mio Dio dove sei?».

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giovedì 9 luglio 2020

Massoneria e Cabala. La lettera Kaf

di Luca Delli Santi



La Kaf indica ciò che è curvo ed inclinato, la radice del nome è kapha, incurvare, incrinare, la parola viene usata nelle Scritture per indicare questo concetto, Ezechiele 1:7 “e l’incarnatura ( Kaf ) dei loro piedi era come l’incarnatura dei piedi di un bue” siamo nel punto in cui descrive le la visione delle quattro chaiot, in Numeri 7:14 “ una coppa (kaf ) d’oro di dieci sicli piena d’incenso”.
La parola kaf indica anche la roccia, la pietra, l’elemento su cui si svolge il lavoro del libero muratore, quella roccia impura che dovrà essere scolpita e lavorata pazientemente sino a diventare pietra levigata.
La ghematria, il numero venti, contiene in se significati esoterici molto articolati ed è possibile trovarvi elementi assai diversi, talvolta viene considerato nefasto in quanto implica una contrapposizione fra opposti, due elementi denari, in se completi, si scontrano non trovando sintesi, a livello più elevato però Yod Yod è considerato un’abbreviazione di Hashem, il nome divino ineffabile che viene letto pronunciando la parola Adonai.
Il nome  Kaf si ottiene scrivendo la lettera Kaf insieme alla lettera Pe, otteniamo così la ghematria 100 il valore della parola Kelim, il cui significato letterale è vaso, recipiente, ricettacolo. Abbiamo già avuto modo di descrivere come nella cosmologia cabalistica la dialettica or, luci e kelim, vasi svolga un ruolo fondamentale nel processo creativo ed evolutivo del cosmo. Il ricettacolo a cui ci richiama il valore ghematrico del nome kaf è il libero muratore stesso. Il primo lavoro che “l’edificatore dello spirito” è chiamato a svolgere è proprio quello di farsi vaso da riempire con le conoscenze che potrà acquisire via via che i lavori muratori si svolgono, avanzando di grado questa capacità rimane essenziale, è la predisposizione a ricevere la luce cioè conoscenza e sapienza.
L’antico ideogramma della kaf rappresentava una mano tesa nell’atto di ricevere. L’atto del libero muratore che esige il giusto compenso maturato grazie al lavoro nelle cave fra i compagni, come avviene nel rituale di Maestro del Marchio. Ricevere viene anche inteso nel senso di accogliere il fratello libero muratore, prestargli soccorso o renderlo partecipe di un momento conviviale o di serenità. E’ la vibrazione della predisposizione alla condivisione, una condivisone riservata a chi è congiunto nel vincolo della fraternità iniziatica, la mano della kaf è anche quella che dà il toccamento che consente di riconoscersi fra pari, membri della Corporazione.
La curvatura della kaf è anche l’umiltà, ci ricorda, ancora una volta, che per l’iniziato è un valore riconoscere i limiti della propria conoscenza, oltretutto questo renderà più proficuo il lavoro per se stessi e per i propri fratelli.
Riguardo l’essere umano la Kaf è la forza del destino, il potenziale dell’agire, la forza di irraggiamento dell’energia di un individuo, la capacità di trarre i meritati frutti dal proprio lavoro.
Nel macrocosmo la kaf è l’agire dello Spirito che si manifesta concretizzandosi nella materia, nella realtà dei fenomeni che possiamo percepire con l’uso dei sensi.
Il Talmud narra che la forma di questo segno è composta da tre aste collegate che si uniscono in quanto terminano con tre angoli arrotondati. Si tratta di un  simbolo delle tre Corone: la Keter Torah, la Corona della Torah, la Keter Kehunah, la Corona del Sacerdozio e la Keter Malkuth, la Corona della Regalità.
La kaf è la lettera con cui inizia la parola Keter il nome della prima sephira dell’Albero della Vita, le tre Corone sono simboleggiate ciascuna da una delle tre linee, la prima quella della Torah è la linea superiore, quella del Sacerdozio è la linea verticale intermedia, quella della Regalità è la linea inferiore.
La linea corrisponde alla lettera Vav, le tre linee sommate insieme ci danno quindi la parola Chaià  ( Cheit/Yod ), la Vita, la kaf è il glifo la cui forma custodisce la radice la forza vitale. Le tre Corone ci rammentano anche che spirito e materia sono un'unica realtà, lo strumento per possedere questa verità è la conoscenza del legame che unisce la Corona e la Regalità, Keter e Malkuth. Naturalmente, nella prospettiva cabalistica, le chiavi per dischiudere questo segreto, per trarre frutto dal “ lavoro della mano” rappresentato dalla kaf, sono nella Torah, l’acqua superiore della conoscenza.

Vita d'artista, la mostra di Roberto Kunstler. Disegni di un poeta

di Massimo Ricciuti*



Old times. Una magia senza tempo. Ecco che da antichi quaderni preziosi intensi di versi, di schizzi, di abbozzi di canzoni e diari privati… ecco prendere forma i quadri, i disegni attualmente esposti presso la Galleria Incinque Open Art Monti (a cura di Monica Cecchini e Jonathan Giustini) in via della Madonna dei Monti 69 a Roma. Ecco che entro in un mondo magico, intriso di passione. Il mondo di Roberto Kunstler, cantautore e poeta. Tra i più raffinati dei nostri tempi. Da sempre. Kunstler, Artista. La mostra dei disegni di Roberto ha proprio questo titolo Vita d’Artista. Titolo di un brano che ha un sapore kleitzmer, yiddish probabilmente. Parliamo di un artista che sa donare se stesso con discrezione, un artista che non ama esporsi. Specialmente oggi, in un mondo dove regna l’apparenza, Kunstler preferisce mettere alle pareti dei disegni originali. Disegni che non esistevano concretamente prima dell’incontro con l’amico e scrittore Jonathan Giustini. Disegni che chi scrive ha visto nascere con tecnica a carboncino e farsi poesia. Da dicembre quell’idea partorita da un incontro tra amici ha preso vita, da un libro passato sotto il tavolo con i versi e le poesie di Roberto. In quel libro (Cantiere. Di Felice ed.) già vi erano riprodotti alcuni disegni. Intorno a quei disegni i versi di quelle che sarebbero diventate alcune tra le canzoni più importanti e conosciute di Kunstler. “Nasce prima il testo o la musica?”, usa chiedersi questa eterna e sciocca domanda. Noi invece ci interroghiamo sull’atto della nascita di un parto gemellare multiplo, che vede insieme versi, disegni, musica e sensazioni. Si tratta di opere uniche, offerte a prezzo popolare per permettere all’arte di vivere questi mesi pandemici e di poter affermare che vivere d’arte è cosa durissima. Un mestiere a cui sei chiamato. Non puoi scegliere di diventare un artista. Se sei nominato non puoi sottrarti. E non puoi sottometterti ad altro che non sia ascolto.  Ecco che quello che puoi fare è affinare le tue antenne e assorbire antichi richiami o futuribili visioni. Una veggenza che non è preveggenza ma visione di ciò che non è percepibile ai soli occhi. È un dono che pochissimi hanno. Sono i co-veggenti. Eletta schiera che si muove impalpabile e che si riconosce da lontano. I co-veggenti parlano la stessa lingua, una lingua strana ai più, perché è una lingua che in sé tutto comprende. Soprattutto il silenzio. Una Babele al contrario. Entro a far visita ai miei amici in un caldo pomeriggio di luglio. Mi accorgo che malgrado siamo stati in quotidiano contatto in questi mesi di forzata distanza il mondo è cambiato. Da quei primi schizzi sono nate oltre quattrocentocinquanta opere. Ma una accurata scelta, una selezione elaboratissima, ne ha privilegiate un numero di alcune decine oggi esposte e in vendita. Sono state sistemate seguendo un criterio narrativo e sentimentale. Nelle opere di Roberto Kunstler c’è roba di altri tempi, come afferma Jonathan Giustini (lo scrittore più sensibile che abbia mai conosciuto). È la regola del bianco e nero. E delle infinite sfumature che legano i due colori. Le due facce opposte di questa moneta. Una moneta rara che non si baratta. Perché è talmente preziosa che non vale. Non ci compri neanche una birra. Però vale tutta una vita. Unica e irripetibile. Il bianco e il nero. C’è tutto dentro. È l’essenziale. Non serve altro. A Roberto non piacciono gli eccessi, i fronzoli. Niente flash, please.  Cosa c’è in questi disegni se non le estreme variabili di un self portait che si declina all’infinito. Sapienza di tecnica che proviene dall’ascolto dell’assoluto e che dall’assoluto riporta il sapore. Fotogrammi di una sceneggiatura dell’anima. Una sceneggiatura in bianco e nero, appunto. In questa galleria si parlerà per tutto il mese di luglio di “vivere d’arte”. Ogni giorno un ospite funge da interlocutore e ragiona insieme a noi sul tema. Poeti, pittori, musicisti… nessuna distinzione. Da Flavio Giurato, Renzo Zenobi e Sergio Cammariere a Antonio Rezza, Michele Caccamo, Peppe Voltarelli , Anna Corcione e tantissimi altri. Tanti quanto i giorni di un mese. Anzi di più. Roberto si nasconde tra il pubblico. Oppure prende la chitarra e con Vanessa Cremaschi si produce in una performance della canzone che dà il titolo al concept in modo teatrale, volutamente rocambolesco e picaresco. C’è tempo fino al 31 luglio. Prenotatevi con una mail a incinqueopenartmonti@gmail.com .

Da sottolineare l’elegantissimo volumetto Vita d’Artista (Un ragionare al margine dei disegni di Roberto Kunstler) di Jonathan Giustini e edito da Arsenio ed. Giustini è scrittore magico, critico cinematografico, esperto di arte e di musica. Un co-veggente che ha preso per mano Roberto lungo il percorso che da casa sua lo ha portato in galleria. Ha fatto uscire i disegni dagli antichi taccuini e ha seguito Roberto in questa nuova, l’ennesima, avventura. Un libro che bisogna toccare delicatamente. Sfogliandolo con rispetto. Leggendo le parole di Jonathan come fosse un audio book. Il libro contiene parte dei disegni esposti. È uno scrapbook, come lo era Cantiere. Ma qui l’intenzione è raccontare un esperienza a bassa voce. Di notte. Come si ascoltano le parole calde di una radio. 

*FONTE

mercoledì 8 luglio 2020

Mauro Cascio ospite della Gioventù Liberale



Mauro Cascio sarà ospite dei ragazzi della Gioventù Liberale Italiana. Lunedì 13 luglio alle ore 21.00 una diretta sulla loro pagina Facebook per parlare dell’ultimo libro del filosofo pontino, «Dove sei? Un disegno melodico attorno a un’assenza che pesa».

All'Università di Bologna un corso di Storia della Massoneria



L'Università Primo Levi di Bologna ha inserito tra le offerte formative per l’Anno Accademico 2020-2021, un Corso di storia della Massoneria. Si tratta di un percorso gnoseologico e latomistico di ampio respiro sui temi che hanno caratterizzato lo sviluppo di una tra le più antiche istituzioni esoteriche al mondo. Nel programma di studi, curati dal docente Raffaele K. Salinari e titolato “La Massoneria, storia di un’istituzione misconosciuta”, numerosi saranno gli argomenti di approfondimento: storia della Massoneria, simbolismo dei liberi muratori, rapporti dell’istituzione con le filosofie più antiche e le  biografie dei massoni che hanno fatto la Storia. Il corso avrà inizio il 9 ottobre 2020 e le lezioni, otto più una visita guidata, si terranno il venerdì dalle 9,30 alle 11,30 nella sede dell’ateneo via Azzo Gardini 20/A/B/C..

venerdì 3 luglio 2020

Ancora sul Mito Gnostico

di Filippo Goti



La manifestazione eonica è un costrutto, un immaginario utile a raffigurare una moltitudine di psichismi atti a spiegare cosa è l'uomo e quale dovrebbe essere il suo tendere oltre la natura e il tempo.
Il degradare degli Eoni, la rottura della divina sizigia (la coppia maschile/femminile eonica), altro non è che l’idealizzazione simbolica, perla in un racconto mitologico, atta a rappresentare il passaggio da un mondo di pienezza e realtà, ad un mondo di frammentazione ed irrealtà.

Il problema che si trova innanzi un lettore moderno dello gnosticismo, è relato all’evidenza che oggi siamo abituati a comunicare in forma enunciativa; la parola ha perso completamente ogni valore simbolico ed evocativo, risultando incapace di stimolare l'immaginazione del lettore.
La nostra lente di lettura è piatta e povera, e difficilmente comprendiamo che in epoche ed ambiti diversi dai nostri la comunicazione poteva avvenire in altre forme e modi; anche negli ambienti in cui si pretenderebbe di comunicare in chiave simbolica, si tende, a causa della ridondante verbosità, a confondere il simbolo con il segno, collassando in una ridda infinita di suggestioni e fraintendimenti. L'inadeguatezza dell'uomo contemporaneo, quando si avvicina allo studio del mito gnostico, ha molteplici cause. La prima riguarda la contestualizzazione dell'oggetto trattato. Causata dall'essere completamente digiuno attorno alle forme di comunicazione, il binomio mythos e logos, e alle categorie concettuali in cui si articola la dialettica tradizionale. La seconda è la pretesa che l'interno scibile umano debba essere piegato alle sterili e lamentose inadeguatezze del singolo: ciò si traduce nella presunzione che tutto il cosmo, tutta la creazione e il divino abbiano ad operare per una sua redenzione o per fornire spiegazione e soluzione ai disagi e ai tormenti della sua anima angustiata. La terza è la cieca arroganza di utilizzare le forme e i significanti della "cultura" moderna per "leggere ed interpretare" il fluire dell'Essere nel Divenire. Senza minimamente valutare i gradi di separazione fra il suo punto di osservazione e i tempi e le menti che hanno partorito, in questo caso, una trama mitologica che risale a quasi venti secoli fa.
Senza colmare tale divari, con ampia dose di umiltà e pragmatismo, l'uomo moderno si trova a travisare confondendo forma e contenuto, e a proiettare su tali affreschi i patemi, le angosce e i bisogni in cui si dibatte come individuo, oramai divelto da ogni insegnamento tradizionale e immerso in un flusso caotico di informazioni parziali ed illusorie. Rimanendo, in definitivo, prigioniero di se stesso

Gli antichi gnostici elessero a mezzo espressivo la forma mitologica, essi comunicavano attraverso immagini, cercando in tal modo di conseguire vari obiettivi:

Il primo permetteva loro di veicolare un maggior numero di informazioni; prendiamo ad esempio l'immagine di una rosa, essa per sua stessa natura solletica i sensi, e attraverso i sensi la nostra capacità associativa. Quindi con una sola immagine vengono richiamati colore, forma, composizione, periodo dell'anno di fioritura, ed una serie di sensazioni collegate ad ognuno di questi elementi.

Il secondo offriva uno scrigno simbolico a chi aveva la giusta chiave interpretativa; gli ambienti iniziatici hanno spesso elaborato una sorta di linguaggio riservato che non si fondava su di una semplice crittografia del segno, ma bensì di una crittografia del senso. Pensiamo all'ermetismo dei testi alchemici, che pongono in profondo imbarazzo gli stessi studiosi di simbolismo o di alchimia moderna; così gli gnostici attraverso parole e frasi di apparente significato lineare, offrivano diversi livelli di lettura ai propri fratelli.

Il terzo poneva a disposizione all'interno della comunità elementi simbolici, onirici, atavici, archetipali su cui lavorare tramite una progressione associativa del profondo; una sorta di estasi filosofica tramite la costruzione del pensiero ed il suo radicarsi in immagini, con cui sprofondare lentamente su di un piano profondo e avulso dalle logiche del mondo sensibile.

Per lo gnostico antico niente esisteva tranne il proprio spazio intimo o laboratorio interiore (per chi maggiormente è abituato a tale termine). In tale ottica deve quindi essere trattata la comunicazione gnostica, ossia una serie di miti cosmici, con cui affrescare le membrane psichiche dello gnostico, in modo tale che essi siano il giusto alambicco ove l'anima e lo spirito possano trovare giusta e degna unzione celeste. Non siamo in presenza della sola capacità dell'anima di produrre il mito (mitopoiesi), ma della possibilità attraverso il Mythos, e non del Logos, di andare oltre gli angusti spazi della dimensione e della dialettica filosofica umana.

giovedì 2 luglio 2020

Cabala e Massoneria. La lettera Mem

di Luca Delli Santi



La Mem è la matrice al cui interno prendono forma i fenomeni del creato, a livello umano è il grembo della donna con la sua capacità generatrice.
È la vibrazione di una forza centripeta, un ripiegamento verso l’interno, è il flusso dei cambiamenti che attraversano l’esistenza umana, nascita, crescita, morte, nuova vita.
L’ideogramma originale rappresentava una linea ondulata, il cui scopo era richiamare il movimento di un flusso d’acqua, l’elemento a cui questa lettera è connessa. Siamo in presenza di un glifo che manifesta la polarità femminile, la forza generatrice, il fluire del tempo.
Utilizzando l’ath-bash, uno strumento esegetico che consiste nella sostituzione della prima lettera con l’ultima e così  proseguendo…, la Mem viene sostituita da Yod, se unite queste due lettere formano la parola Mi,  Chi. La Mem ci spinge a porci la grandi domande: chi siamo, quale lo scopo della nostra esistenza? E’ il tarlo del pensiero umano che lo spinge a porsi i grandi interrogativi, ad intraprendere la ricerca del senso ed i percorsi in cui questa si svolge.
La Mem è purificazione, questo attributo ci viene indicato dalla  ghematria, il numero quaranta che compare ripetutamente nelle Sacre Scritture, indica approssimativamente la durata di una generazione umana, 40 furono i giorni del Diluvio, i giorni di Mosè sulla montagna, i giorni dell’esplorazione di Canaan, i giorni di meditazione di Gesù nel deserto, e molti altri esempi si potrebbero citare.
E’ il numero che, simbolicamente indica il periodo necessario a trarre frutto da un’attività umana, anticamente la cabala veniva insegnata solo agli uomini che avessero compiuto i quarant’anni, fossero sposati ed avessero figli, ed ancora oggi molti maestri ritengono che solo a partire da questa età si possa effettivamente trarre beneficio dallo studio e dalla pratica di questa disciplina.
Il numero quaranta è connesso con la purificazione, ovvero con un processo in cui ci si libera di ciò che è superfluo, in alchimia la vibrazione della Mem e di questo numero governano l’opera al nero, a cui si ispira la parte iniziale del Rito di iniziazione massonica. Nel Gabinetto di Riflessione il neofita incontra il ben noto acronimo V.I.T.R.I.O.L., è la forza centripete della Mem che consente di esplorare i più reconditi recessi dell’ Io, di individuare le domande giuste da porre ed infine di trovare, forse, in se stessi le risposte.
Nella cabala si adotta una nota espressione: “vuotare per riempire”, questa metafora ci indica la necessità di evolvere continuamente nelle nostre presunte conoscenze, quando pensiamo di avere raggiunto un traguardo la pratica cabalistica ci inviata prontamente a superarlo ad andare oltre, questo complesso processo evolutivo viene rappresentato nel Rito di York con lo svilupparsi delle diverse elevazioni fra le tre camere, un percorso logico che viene proposto ai Compagni dotandoli di volta in volta di più efficaci strumenti interpretativi del proprio essere e del proprio essere nel mondo.
L’elemento dell’acqua è connesso alla purificazione, ma come tutti i simboli si presta a letture ambivalenti, esso rappresenta anche i meandri più inesplorati del nostro inconscio, pulsioni, desideri, richiami verso gli istinti più bassi della materia, ma è anche simbolo della più pura conoscenza, nella cultura ebraica la Torah stessa viene paragonata alle acque superiori.
L’acqua della vita, la Mem, condivide la medesima ghematria con la parola halav, il latte, alimento che richiama amore e sostengo nelle fasi iniziali nella vita, il latte è simbolicamente connesso con la sephira Chesed, la Grazia, la Misericordia, di polarità maschile, posta sul lato destro dell’Albero della Vita, essa è l’Amore incondizionato del Padre Divino verso le sue creature, è una forza espansiva nella costruzione cosmica.
La plenitudine di Mem vale ottanta, numero che si scrive affiancando una Mem aperta ed una Mem chiusa, corrisponde alla parola Klal, insieme, totalità, si tratta della capacità usare in modo proficuo tutte le energie di cui siamo dotati, il senso più autentico della “purificazione”, che risiede nelle acque della Mem infatti non è liberarsi di qualcosa bensì liberare ogni energia rendendola utile alla piena realizzazione umana.
La Mem finale ha la forma di un quadrato chiuso essa rappresenta ciò che è celato e che ancora non è stato dischiuso, la Mem aperta è la conoscenza rivelata.

mercoledì 1 luglio 2020

In ricordo di Zambeccari. Repubblicano e massone



Il 30 giugno 1802, a Bologna, nasce Tito Livio Zambeccari. Affiliato alla Carboneria, costretto all’esilio dopo i moti del 1821, combatte a fianco dei costituzionalisti in Spagna, tra le file degli ussari unitarios contro i federales in Argentina e successivamente è con Garibaldi nel Rio Grande do Sul, venendo catturato dall’esercito imperiale nel 1836. Liberato dopo tre anni a patto di lasciare il Brasile, vive a Londra, dove conosce Mazzini, e poi a Parigi. Tornato in Italia nel 1841, è tra i protagonisti dei moti mazziniani in Romagna tra il 1843 ed il 1845, nel 1848 comanda il battaglione volontario dei Cacciatori del Reno, partecipa alla difesa di Ancora nel 1849. Esule in Grecia e poi a Torino dove nel 1859 è tra i fondatori della Loggia “Ausonia”, che è all’origine del Grande Oriente d’Italia. L’anno successivo è ancora con Garibaldi nella battaglia del Volturo, venendo nominato generale dell’esercito meridionale. Tra i riorgazzatori della Massoneria italiana, viene nominato Gran Maestro ad interim, poi nel 1861 Gran Maestro, ed è tra i fondatori della Loggia “Concordia Umanitaria” di Bologna e nel 1862 diventa membro effettivo della Loggia “Osiride” di Torino. Ammalatosi, muore a Bologna il 2 dicembre 1862.