di Michele Leone
Perché tornare al silenzio? Perché parlare della circolarità del silenzio? Perché farlo partendo dall’accenno al silenzio fatto a Proclo nel brano sotto riportato?
Prima di rispondere, di accennare una risposta, alle domande appena poste mi piacerebbe leggessi il brano di Proclo.
Una volta stabilite da noi preventivamente queste distinzioni, mettiamoci a trattare degli ordinamenti divini cominciando dall’alto, introducendo a partire dall’Uno tutti gli ordinamenti degli dei nella loro totalità e facendoci accompagnare da Platone: in primo luogo ricavando tutte le singole concezioni dagli altri dialoghi connettiamole per mezzo dei ragionamenti inconfutabili, e in seguito connettiamo così anche le conclusioni del Parmenide alle processioni divine e confrontiamole con queste ultime, e mettiamo in rapporto le prime conclusioni alle prime processioni, e le conclusioni che vengono per ultime alle ultime processioni.
A questo punto dobbiamo riprendere la mistica dottrina sull’Uno, per celebrare, procedendo "per la nostra via", a partire dal Principio Primo i secondi e i terzi principi del Tutto. Di fatto a tutti quanti gli enti preesiste una Causa unica, trascendente ed impartecipabile, ineffabile ed indicibile per ogni ragionamento, ma pure inconoscibile ed incoglibile per ogni conoscenza, che da un lato fa apparire da sé tutte e le cose, e che dall’altro preesiste in modo ineffabile a tutte le cose; e che per un verso fa rivolgere tutte le cose verso di sé, e che per un altro è il fine supremo di tutte. Ebbene questa Causa, che risulta realmente trascendere in modo separato tutte le altre cause, che fa sussistere in modo unitario da un lato tutte le enadi delle realtà divine, e dall’altro tutti i generi e le processioni degli enti, Socrate nella Repubblica la chiama "il Bene" e attraverso l’analogia con il sole svela la sua meravigliosa ed inconoscibile superiorità rispetto a tutti gli intellegibili; a sua volta Parmenide la chiama Uno, e d’altro canto attraverso le negazioni, dimostra che la trascendente ed ineffabile realtà di questo Uno è causa della totalità delle cose; poi nella Lettera a Dionisio, il discorso, procedendo per enigmi, celebra tale Causa come quella "attorno alla quale sono tutte le cose" e come "causa di tutte le cose belle"; infine Socrate nel Filebo onora questa Causa quale principio che fa sussistere la totalità delle cose, proprio per il fatto che è causa di ogni natura divina: infatti tutti gli dei ottengono di essere dei ad opera del Primo Dio.
Dunque sia che risulti lecito chiamarla “Fonte della natura divina”, sia “Re di tutte le cose”, sia “Enade di tutte le enadi”, sia “Bontà generatrice della verità”, sia “Realtà che trascende tutte quante queste realtà” e “al di là di tutte le cause” sia di quelle paterne sia di quelle generatrici, questa Causa sia onorata da noi con il silenzio e con l’unificazione che precede il silenzio e che essa faccia risplendere il destino “del mistico compimento” che si confà alle nostre anime; si contemplino poi con l’intelletto le due sorte di principi che procedono a partire da essa e dopo essa. Cos’altro infatti si deve porre dopo l’unità della natura divina universale se non la diade dei prinicipi? (Proclo, Teologia Platonica, libro III,7, Bompiani, Milano 2012, pp. 337-339).