di Michele La Rocca
I Cavalieri del Tempio, punta di diamante dell’orgoglioso braccio armato cristiano fino alla loro indegna fine, rappresentarono l’Ordine più temuto, invidiato ed ammirato del passato. A noi sono giunti attraverso le loro misteriose ed eroiche vicende tali da alimentare le fantasie di milioni di appassionati in tutto il mondo. La realtà si sa, quasi sempre è meno fascinosa del surreale che ammalia la malcelata curiosità degli appassionati anche se in questo caso, misteri a parte, la vita del templari doveva essere davvero più interessante di quella della maggior parte della gente comune. Nulla di strano infatti che un numero elevato di giovani desiderasse prender parte a questa confraternita tanto famosa nel medio-evo.
ll postulante, se dotato di tenacia e buona cultura poteva aspirare a diventare cavaliere e forse anche avere un incarico di comando, sempre che fosse vissuto abbastanza a lungo anche se non era per carriera e notorietà che si entrava nell’Ordine giacché l’anonimato era davvero una regola ferrea da cui prescindevano solo i comandanti in quanto a contatto continuo con le comunità e/o per la fama acquisita in seguito ad una decisione dalle conseguenze poi note. L’apprendistato del postulante cominciava in una commenda a carattere agricolo dove avrebbe svolto le attività previste per portare avanti la produzione delle risorse alimentari del posto. Spesso prudevano le mani a questi ragazzi che molte volte erano i cadetti delle famiglie nobili dove il primogenito aveva preso tutto e loro erano destinati alla Chiesa ma avevano l’azione nel sangue e i templari rappresentavano la massima aspirazione raggiungibile.
Entrando a far parte del Templari si abbandonava tutto, dal cognome ai beni materiali cui si doveva far dono all’Ordine e ci si chiamava per nome usando l’appellativo “Fratello”. Molti candidati durante e dopo la prima crociata appartenevano a famiglie nobili cadute in disgrazia a causa della guerra, famiglie costrette a vendere molti dei loro beni a prezzo svantaggioso per armarsi o armare soldati da far partire per la Terrasanta da cui non molti facevano ritorno. Molte richieste arrivavano da sopravvissuti ormai con il solo equipaggiamento da guerra anche perché a volte non avevano più neppure una casa dove tornare. Altri, come spesso accade per le congreghe di prestigio erano ricchi nobili che pur sapendo della regola dell’anonimato, erano desiderosi di vedere il loro nome immortalato in eroiche gesta, calati nella bianca tunica con la rossa croce sul petto in nome del dio cristiano; Infine uomini che con l’ingresso nell’Ordine sarebbero scampati alla forca o alla prigione, questi ultimi ovviamente venivano reclutati in tempo di massima allerta o durante le battaglie, che le probabilità di morte erano sovente più alte di altra più fortunata sorte. Il reclutamento avveniva ponendo al postulante semplici domande alle quali egli doveva rispondere con sincerità e le richieste erano tutte relative alla difesa della cristianità a cui si doveva rispondere con solenni promesse, poi la formula dell’accoglimento ed infine il cappellano della commenda avrebbe benedetto la cappa bianca con la croce rossa ricamata ed il cordiglio con cui cinger la vita. La testa rasata e la crescita della barba avrebbero terminato l’aspetto che ci si aspettava da un monaco-guerriero. Tutto ciò però non sarebbe bastato a fare del giovane neofita un vero cavaliere che da monaco agricoltore doveva far gavetta prima di indossare un bianco mantello brandendo la spada a cavallo. Se non fosse morto prima…
Ma come era strutturato l’Ordine del tempio? In primo luogo teniamo presente che non tutti combattevano e secondo lo schema delle tre funzioni alcuni sarebbero divenuti monaci e così sarebbero rimasti avita, sì che i fratelli non sarebbero dovuti ricorrere per le funzioni religiose all’ausilio del clero esterno all’Ordine.
Per fare un po’ di chiarezza bisogna spiegare innanzitutto che i cavalieri veri e proprio costituivano una parte non certo consistente dell’organigramma capeggiato dal gran maestro, che era costituito dai cavalieri appunto, i quali erano seguiti in battaglia dai più numerosi fratelli sergenti, dai fratelli scudieri con abbigliamento nero o marrone e dai cappellani con saio e mantello nero e guanti bianchi. Infine i fratelli di mestiere, specializzati i tutti i rami delle scienze conosciute. Per le battaglie più consistenti i templari assoldavano i “Turcopoli” mercenari a cavallo con equipaggiamento leggero assoldati tra gli indigeni del posto e spesso trattenuti per un periodo di “ferma volontaria” purché prendessero anch’essi i voti. Sempre al seguito con carri e totalmente itineranti i fabbri per le armi chiamati zingari. In tutto questo contesto occorre precisare che quindi il numero dei “Cavalieri del tempio” quelli con il mantello bianco per intenderci era piuttosto ridotto, non arrivò mai, sembra, alle 400 unità. A proposito di mantello,non si pensi che i cavalieri del tempio non avessero delle regole ben precise sul modo di abbigliarsi; Ogni regola monastica deve descrivere con dovizia di dettagli l’abito del monaco e la regola del tempio era davvero particolareggiata in questo. Intanto l’abito doveva essere comodo ed indossato senza aiuti in segno di umiltà ma anche di velocità e praticità soprattutto considerando che nelle roccaforti della Terrasanta lo stato di allerta era perenne. Come appena scritto il mantello bianco era riservato ai soli cavalieri in virtù del fatto che solo coloro che abbandonando la via delle tenebre riconciliandosi con Dio avevano diritto di vestirsi del colore della purezza, mentre i sergenti portavano un mantello grigio scuro. Per tutti pantaloni di stoffa e camicia di lana senza “fronzoli” e mal rifinite che non era dato ai cavalieri di Cristo di fregiarsi di “abbellimenti”, solo visto il caldo del posto quando erano di stanza in terra santa dalla Pasqua al I novembre era concesso portare sotto il mantello, una camicia di lino. Per le battaglie con qualche differenza tra Cavalieri e Sergenti o Turcopoli erano previste delle protezioni per il corpo in maglie di ferro mentre l’elmo dei cavalieri cambiò nel corso degli anni fino a divenire un casco cilindrico munito di fori anteriori per la respirazione. Tutti dovevano inoltre, tagliare capelli e barba in maniera tale da risultare regolari e decenti. Anche in “libertà” e quindi quando erano nei conventi i Cavalieri potevano indossare qualunque capo purché fosse bianco e per l’abito da rappresentanza ad uso civile in luogo del mantello vestivano una “cappa” rotonda rigorosamente bianca con cappuccio e lunga fino ai piedi. Il corredo comprendeva inoltre biancheria intima, calze, coperta leggera, pesante ed una tenda da campo per le battaglie Anche per la tavola era prevista una biancheria composta da tovaglioli, asciugamani oltre ovviamente ad una serie di stoviglie che potevano essere affidate ad uno scudiero. E per il cibo? Per parlare di questo bisogna fare innanzitutto alcune considerazioni riguardo a ciò che era reperibile al tempo in cui vissero: I Cavalieri Templari contribuirono non poco alla diffusione in larga scala del cibo simbolo della ritualità cristiana “Pane e Vino” (sangue e corpo di Cristo) ed accanto ad ogni chiesa, monastero, cattedrale costruite ma anche agli uffici postali si piantavano nel limite del possibile il grano, le viti, gli ulivi ed i frutti degli orti perché la loro regola imponeva loro di mantenersi con quello che producevano. Tutto ciò non fu difficile perché con la caduta dell’Impero Romano, erano ormai moltissime le aree divenute incolte e sfruttabili per chi sapeva coglierne l’opportunità. Dal nord difeso dai Cavalieri Teutonici essi appresero ad allevare il pesce in apposite vasche che a loro volta approntarono nelle loro zone di competenza ed insegnarono a costruire soprattutto nel sud dell’Europa fondendo così questi sistemi di sfruttamento del territorio che sono stati portati avanti fino alla odierna globalizzazione. Ovviamente il pesce era in poca parte di mare, importato quasi esclusivamente dai templari dall’oriente ed il resto essendo la rete commerciale marittima dedicata per lo più allo scambio dei prodotti non deperibili era prevalentemente di fiume per cui si allevavano carpe, Lucci, Storioni, Anguille ecc.. Accanto a questi prodotti i cereali come orzo, avena, miglio e segale e i legumi come ceci, piselli, lenticchie e fagioli i Cavalieri del Tempio importarono anche le melanzane e gli spinaci presi in medio oriente. In tutto il nord Europa crebbe l’allevamento dei suini mentre nel sud, e qui l’Italia era già tagliata in due, quello degli ovini legato anche alla produzione dei latticini e a quello della lana. L’apporto di carne quindi diffuso in tutte le classi sociali fu davvero sostanziale e tra gli allevamenti di cui facevano parte anche gli animali da cortile come polli, oche e anatre la caccia ebbe un ruolo di fondamentale importanza essendo giuridicamente aperta a tutti. In ogni territorio v’era abbondanza di lepri, fagiani e quaglie e fatta eccezione per il sud Italia e paesi di egual latitudine, i cervi, caprioli e cinghiali che costituirono la primaria fonte di approvvigionamento fornita dal popolo venatorio.
Dopo tutto, essere Cavalieri del tempio doveva portare pur qualche privilegio e non solo privazioni e far parte dei “Mantelli Bianchi” era considerato un grande onore che ad alcuni di loro di sicuro recò un po’ di alterigia da senso di appartenenza. In effetti negli ultimi anni di stanza in terra santa il loro motto cambiò nel finale e non fu più “nomini tuo da gloriam – per la gloria del tuo nome Signore” ma “per la gloria dell’Ordine”, tuttavia nel complesso non vennero mai meno al loro senso del dovere fino a spingersi all’estremo sacrificio trasformandosi nella più temibile e perfetta macchina da guerra conosciuta nelle crociate. Quell’avventura secolare ove svettarono per coraggio e spirito di sacrificio questi ordini cavallereschi della Chiesa Cristiana, teatro di guerra orientale divenuta tragedia di immani proporzioni fu anche l’ultima grande avventura occidentale combattuta con la spada prima che le ragioni ed i torti venissero decisi a cannonate.