lunedì 30 marzo 2020

Esiste un inferno? Esiste un paradiso? E se esistono, da dove si entra? Confronto tra Buddismo zen e Massoneria

di Angelo Vincenzo Saia



Mi sono chiesto in questa riflessione lasciando aperto il discorso a tutti voi, cos’è la riflessione e se a volte la confondiamo con la meditazione e ancora il dubbio che tante volte evochiamo, come massoni viene dal raziocinio o dal cuore? Arrivare al centro di noi stessi ci arriviamo con la riflessione o con la meditazione? E ancora come il raziocinio convulso ci tiene lontani dalla nostra Anima, dimenticandosi così della nostra parte spirituale.
Ecco che in tutte queste mie domande, riflessioni e piccole esperienze di meditazione, è stato fatale nella lettura l’incontro con Hakuin Ekaku ( 1685/86–1768/69) una delle figure più importanti del buddismo zen giapponese, rigoroso riformatore del rinzai, che ricondusse verso una pratica più attenta della meditazione e del koan; una riforma tuttora attuale e a cui si riallacciano anche molte scuole zen d'oggigiorno. Raggiunse l'illuminazione all'età di 41 anni circa mentre leggeva il Sutra del loto, un testo che in gioventù aveva disprezzato e di cui aveva pensato – e detto- che non era nulla più che una raccolta di racconti sulle cause ed effetti. Dedicò il resto della sua vita all'insegnamento, e lasciò ottanta discepoli dietro di sé. Si spense nella città natale di Nara, che grazie a lui si era trasformata in un fiorente centro di studi, all'età di 83 anni.
Zen e Massoneria s’intrecciano più di quanto possa apparire a prima vista. Due Vie una sola Vetta. Metodi diversi per uno stesso scopo: conoscere se stessi.
All’interno di queste Vie c’è una figura fondamentale per entrambe: il Maestro. Nell’immaginario collettivo (occidentale) il Maestro Zen è quell’ometto che se ne sta buono a meditare sotto un Loto, che è sempre pacato e dispensa gocce di saggezza ogni volta che parla. Niente di più sbagliato: il Maestro Zen, in genere, è un tipetto sufficientemente “fumino”, che gira con un bastone che utilizza per svegliare gli Allievi, non dispensa nessuna goccia di saggezza, dice la sua solo ed esclusivamente se gli viene richiesto e soprattutto non gli importa niente dell’Allievo.
È l’Allievo che cerca e sceglie il Maestro, il Maestro, di contro, decide se accettare o meno di essere “visibile” all’Allievo. Quando dico: non gli importa niente dell’Allievo, intendo che non insegnerà nulla, indicherà soltanto, sarà l’Allievo che dovrà apprendere dal Maestro. Il Maestro dona la sua esperienza attraverso il proprio “essere”, e l’Allievo potrà imparare facendo esperienza a sua volta.
Lo Zen è vita, la Massoneria è vita. Il Maestro in Massoneria indica all’Apprendista il metodo simbologico di apprendimento, lo indica… non lo insegna, non lo spiega. Lo affianca nel percorso iniziatico intrapreso… lo affianca, non sta né davanti e né dietro. Operazione difficile per i malati di grembiulite o cinturite (per le Arti Marziali). Il Maestro ormai ha raggiunto la consapevolezza dell’essere, traccia le sue Tavole, osserva in silenzio ciò che l’Apprendista fa, avverte ogni cambiamento di vibrazione per poi sparire su livelli sottili irraggiungibili da chi ancora sta appeso alla Materia. Lo stesso fa il Maestro Zen, rastrella le foglie in giardino, dà da mangiare alle Carpe Koi per poi trasformarsi in scimmia in modo che chi si specchia in Lui veda esattamente la propria immagine.
Il Maestro e l’Allievo, o l’Apprendista, in fondo, fanno le stesse cose, sono sulla stessa Via, solo che uno ancora deve raggiungere la consapevolezza di chi è, mentre l’altro “è”. Diverse volte mi è capitato di ascoltare maestri (massoni) dire: io so di non sapere, sarò sempre un Apprendista! Eh… giusto, sarai sempre un Apprendista. Nell’apparente umiltà di questa frase può celarsi tutta la grandezza dell’ego e della presunzione. Il Maestro non è presuntuoso, il Maestro “è” e basta. Ha già superato la fase del Sapere, il sapere che intende il finto umile fa parte del mondo dell’avere, e tutto ciò che fa parte di questo mondo non attrae più chi “è”. Il Maestro non ha saggezza, “è” la saggezza; non ha conoscenze, “è” la conoscenza… il Maestro Massone non ha bisogno di dimostrare nulla perché è consapevolezza allo stato puro, tanto che nella frase che Platone fa dire a Socrate: so di non sapere, c’è tutta la consapevolezza dell’essere. Socrate ha chiuso il cerchio (toh… simbolo dello Zen, un cerchio che si sta chiudendo), ha trasceso la conoscenza, sa di non sapere perché non ne ha bisogno: lui è il sapere. La stessa frase ripetuta a pappagallo non supportata dalla consapevolezza risulta stucchevole e puzza d’illusoria umiltà. Quindi non confondiamo la consapevolezza del Maestro con l’arroganza dell’ignorante.
Un Maestro non farà mai nulla per farvi ombra, anzi, cercherà sempre di tirare fuori il meglio da voi stessi, a volte facendovi scoprire doti che nemmeno immaginavate di possedere. Il finto umile invece cercherà in ogni modo di dimostrarvi che, dietro sorrisi e sguardi bassi, lui, in fondo è meglio di voi perché ha fatto il tal percorso, conosce quel tale autore, sa a memoria tutti i libri del Wirth e il Guénon lo leggeva all’asilo. Leggere non significa capire. Avere una mente nozionistica significa avere una mente piena… ma sono le menti vuote che si elevano, quelle piene restano attaccate ai metalli e, come ben si sa, pesano parecchio. Oltretutto in una mente piena zeppa non c’è posto per null’altro. Perciò apprendete tante nozioni e dimenticatevele, incidete la Tavola di cera e poi cancellatela, in modo che potrete inciderne una nuova.
Lo stesso fa il Maestro Zen con il Mandala… passa le giornate a disegnalo con la sabbia colorata e una volta finito lo distrugge, in questo modo avrà la possibilità di rifarne un altro senza restare attaccato a ciò che ha fatto.
Oggi in Massoneria c’è troppa mente… poco cuore questo direbbe un Maestro Zen, e magari lo direbbe tirando bastonate a destra e a manca. Finita la sfuriata si metterebbe una ciabatta in testa e uscirebbe dal Tempio, perché le Carpe Koi hanno fame.
Ecco allora Hakuin e il Koan, metodo meditativo zen, che, come quello massonico, è volto ad azzerare nell’uomo il punto di vista profano e a risvegliarlo, invece, alla propria essenza spirituale, portando la vita e la morte sullo stesso piano, dove la morale naturale è indicatrice dell’essere.

Dice il maestro Hakuin :

“Un giorno un samurai andò dal maestro spirituale Hakuin e chiese:
“Esiste un inferno? Esiste un paradiso? 
Se esistono da dove si entra?”
Era un semplice guerriero. 
I guerrieri conoscono solo due cose: la vita e la morte. Il samurai non era venuto per imparare una dottrina, voleva sapere dov’erano le porte, per evitare l’inferno ed entrare in paradiso.
Hakuin chiese: “Chi sei tu?”
Il guerriero rispose: “Sono un samurai”
In Giappone essere un samurai è motivo di grande orgoglio. Significa essere un guerriero perfetto. Uno che non esiterebbe un attimo a dare la vita.
“Sono un grande guerriero, anche l’imperatore mi rispetta”
Hakuin rise e disse: “Tu, un samurai? Sembri un mendicante!”
L’uomo si sentì ferito nell’orgoglio. Sfoderò la spada, con l’intenzione di uccidere Hakuin. 
Il maestro rise: “Questa è la porta dell’inferno – disse – con questa spada, con questa collera, con questo ego, si apre quella porta”.
Il samurai rinfoderò la spada… 
e Hakuin disse: “Qui si apre la porta del paradiso”.
L’inferno e il paradiso sono dentro di te. Entrambe le porte sono in te.
Quando ti comporti in modo inconsapevole, si apre la porta dell’inferno; quando sei attento e consapevole, si apre la porta del paradiso.
La mente è sia paradiso che l’inferno, perché la mente ha la capacità di diventare sia l’uno che l’altro.
Ma la gente continua a pensare che tutto esista in un luogo imprecisato all’esterno…

Il Guerriero Samurai seguiva un codice di condotta militare: il Bushido, parola composta dai due Kanji (ideogrammi) Bushi  (guerriero) e Do via, morale, condotta. Il bushido, cioè il modo di vivere da guerriero, improntato su principi di onore, rispetto, fedeltà, autocontrollo (ecco il suo comportamento nel racconto) imperturbabilità, motivo di successo dell’élite dei Samurai.
All’inizio le regole non scritte erano tramandate con l’esempio e per via orale, poi alcuni maestri tra i quali Yamamoto Tsunemoto (1659 – 1719), autore dell’Hagakure, e Miyamoto Musashi (1584 – 1645) autore de “Il libro dei cinque anelli”, ne codificarono alcuni aspetti che ci hanno permesso di comprendere l’essenza del codice dei Samurai.

Nello stesso periodo del codice bushido, i Templari difendevano Gerusalemme e le affinità tra Samurai e cavalieri Templari sono molte. Templari e Samurai, oltre ad essere dei guerrieri, erano anche uomini di fede dediti alla preghiera ed alla meditazione.
Certamente entrambi coltivavano la vita interiore ed avevano una visione spirituale della vita. Da uomini d’arme quali erano avevano un continuo confronto con la morte, per questo praticavano le virtù, al fine di far trovare la loro anima pronta nel momento del trapasso che poteva avvenire in battaglia o fuori di essa. Ecco cari compagni la mia personale riflessione, ricca di cuore e spero si arricchisca con la vostra.