La Redazione della Rivista Agorà ci invita alla pubblicazione dell'editoriale del suo ultimo numero pubblicato, cosa che altri Blog Massoni hanno già fatto e che anche noi oggi facciamo. La redazione della rivista sarà grata a tutti coloro che vorranno far loro sapere cosa pensano in merito a tale problematica (red.blog)
EDITORIALE di Silvio Nascimben in Nea Agorà Telematica - www.nea-agora.com
“Bereshit barà elohim et hashamaim veet haretz”.
In principio Dio creò il cielo e la terra, e poi...creò l'uomo.
Nell'uomo, come del resto in ogni essere vivente, con il primo vagito inizia la convivenza di due opposti principi terreni: vita e morte, uniti in un indissolubile binomio destinato a ritmare la costante alternanza tra cellule che invecchiano e muoiono, ed altre che nascono per sostituire quelle morte.
L'esasperante monotonia del ripetersi del dramma della “morte”, sebbene sorretto, si fa per dire, dalla speranza di una vita postuma, è l'incubo che accompagna ogni essere umano, fin dalla sua comparsa su questo pianeta.
Dallo studio comparato delle religioni si può dedurre che la “sopravvivenza” è un postulato di fede legato sempre all'esperienza di vita terrena, sia come Karma reincarnativo, per quelle orientali, che accesso a piani esistenziali superiori e inferiori come il Paradiso e l'Inferno dei cristiani, molto simili alle praterie celesti e agli abissi oscuri e senza fine degli indiani d'America.
Per la “scienza”, quella ufficiale s'intende, la morte coincide con la cessazione dei fenomeni vitali e degli impulsi non più trasmessi dal cervello.
Con l'arresto del battito cardiaco, infatti, s'interrompe la circolazione del sangue che ristagna nei vasi, avviando così il processo putrefattivo.
Tutto finisce con la cessazione degli impulsi cerebrali? Proprio tutto?
Notevole inquietudine destarono alcune dichiarazioni del dottor David W.Evans, dimessosi nel 1988 da uno dei più famosi centri mondiali di trapianti, il Papworth Hospital di Cambridge, in merito all'espianto di organi e di alcuni dubbi in merito alla certezza della morte dell'individuo non proprio coincidente con la cessazione delle funzioni dell'encefalo...
Sebbene il primo articolo della legge 578/93 sui trapianti d'organo identifichi la morte con la “cessazione irreversibile dell'encefalo”, ovverosia “la morte cerebrale”, che l'Harvard Medical School teorizzò nel 1968 segnando l'avvio su scala mondiale dell'era dei trapianti d'organo, il “fronte dei contrari agli espianti” si è notevolmente ingigantito anche, e soprattutto, a seguito delle dichiarazioni avallate da più fonti circa le reazioni dei cosiddetti “morti cerebrali” nella fase dell'espianto.
Il cadavere, allorché è inciso dal bisturi nella fase dell'espianto, reagisce al punto tale che il battito cardiaco aumenta e, mentre la pressione sanguigna sale, il corpo si agita.
Se il cervello del donatore fosse veramente morto – sostiene il Dott. Evans – non dovrebbero assolutamente verificarsi reazioni al dolore tant'è vero che in molti casi viene aumentata la dose di anestetico.
Lapidaria, quindi, la motivazione resa pubblica da David Evans, che apertamente ha contestato la normativa vigente in materia di espianti: “... Noi non ne sappiamo abbastanza sul modo in cui funziona il cervello.
Non v'è alcun dubbio che nel momento in cui gli organi vengono prelevati, il cuore del donatore e parte del suo cervello continuano a funzionare.
Quindi è possibile che il donatore sia tutt'altro che morto, e si trovi in uno stato d'incubo in cui si può provare dolore.
Mi sono rifiutato di collaborare al trapianto cardiaco perché esso rende necessaria la rimozione di un cuore battente da una persona prima che questa sia indiscutibilmente morta.
I criteri della cosiddetta morte cerebrale non garantiscono che tutto il cervello sia morto, e le reazioni al dolore lo confermano...”.
Anche il primario del Norf e Norwich Hospital, Philiph Keep, condividendo la tesi del dottor David Evans, ha precisato che a causa della lesione cerebrale, la temperatura corporea, notevolmente inferiore alla norma, deprime i riflessi rendendo alcuni test di morte cerebrale non attendibili.
Sono dichiarazioni che hanno sollevato, negli ambienti degli addetti ai lavori di tutto il modo, un ginepraio di polemiche e di prese di posizione le più disparate.
Alla luce di quanto sta avvenendo negli ambienti scientifici internazionali, circa il concetto di morte cerebrale, è stato reso noto il documento “Revisione della morte cerebrale”, di cui si ignorava il contenuto, redatto addirittura nel 1992 dalla stessa Università di Harvard, ad opera di una equipe di docenti anestesisti, coordinati dai professori Robert Truog e James Fackler.
Nella stesura del documento, si evidenzia tra l'altro che la stessa Università di Harvard, riesaminando il concetto di morte cerebrale espresso nel 1968, effettuava un'eclatante retromarcia con la motivazione: “... la definizione di morte cerebrale e quella operativa sono incompatibili tra loro anche perché è impossibile pretendere la condizione di irreversibilità, a meno che non sia manifesta la putrefazione”.
Dichiarazioni del genere non certo favoriscono i sostenitori dei trapianti di organi, soprattutto per le rivelazioni di Truog e Fackler, a corredo del documento, da cui si evidenzia palesemente che dall'esame di diverse centinaia di cervelli appartenenti a morti cerebrali, dopo il sezionamento, più del 70% non presentavano lesioni talmente gravi da giustificare una tale prognosi. “La morte cerebrale non è che una conveniente finzione”.
Con questa frase sconcertante, il presidente della Società Internazionale di Bioetica, Peter Singer, terminò il suo intervento al secondo Convegno Internazionale sulla morte cerebrale tenutosi a Cuba nel 1996, aggiungendo che dovremmo anzi ritornare al concetto tradizionale di morte che coincide con la cessazione irreversibile della circolazione sanguigna.
Per la scienza ufficiale, la morte coincide con la cessazione dei fenomeni vitali e degli impulsi non più trasmessi dal cervello. Torniamo a chiederci: la morte dell'essere coincide veramente con la cessazione degli impulsi cerebrali?
L'eterno interrogativo, che tormenta l'essere umano da sempre: “Cosa c'è oltre la morte?”, si riaffaccia, inquietante più che mai, evidenziando l'indissolubile trinomio “spirito, anima e corpo fisico” di questa creazione divina chiamata Uomo.
Certo, il cammino della scienza non incontrerà giammai i percorsi del mondo dell'inspiegabile, né tanto meno quel che asseriscono le religioni circa la sopravvivenza dopo la morte.
Un fatto incontrovertibile ritengo debba essere evidenziato. La scienza, malgrado abbia in questi ultimi tempi conquistato notevolissimi traguardi, a tutt'oggi non riesce a fornire adeguate spiegazioni scientifiche su fenomeni inspiegabili come l'improvviso “risveglio da un coma irreversibile”, per non parlare delle “guarigioni miracolose”, delle “manifestazioni paranormali” e dei “fenomeni ESP”, d'accertata dimostrazione.
Il sottilissimo filo che separa la vita dalla morte, si sottrae, ahimè, alle normative ufficiali in materia che, seppur necessarie secondo l'aspetto legale, investono una sfera di coinvolgimenti di varia natura non certo estranei a quelli emozionali ed affettivi.
Il complesso trauma che accompagna solitamente la morte, dovrebbe indurci a riflettere con più attenzione sull'esperienza ultima cui nessuno può sottrarsi: l'ultima prova che conclude il ciclo esistenziale dell'Uomo.
Forse, e solo con l'umiltà di chi è sempre disponibile a rivedere le apparenti verità conquistate nel corso della propria esistenza, potremo un giorno ammettere finalmente che della vita sappiamo veramente troppo poco, o quasi niente.
Figuriamoci poi ... della morte!