di Luca Delli Santi
Nella cabala lurianica, ovvero nella dottrina cabalistica sviluppata dal grande Arizal, Isaac ben Solomon Luria ( Gerusalemme 1534 - Safed 25 luglio 1572 ), uno dei più importanti cabalisti mai vissuti che scrisse molti commentari ai testi sacri ed alle dottrine cabalistiche divenendo un punto di riferimento anche per le scuole di cabala contemporanea, l’atto cosmogonico fondamentale fu lo Tzimtzum, letteralmente una restrizione, la formazione dello “ spazio” in cui il Creatore pose il Creato. Si tratta come si può intuire di un atto di forza, propriamente di una autolimitazione, la manifestazione stessa nasce con un atto legato alla sephira Ghevurà ed alle sue prerogative.
Le caratteristiche di Ghevurà attengono anche all’assolvimento dei doveri legati all’elargizione della giustizia, uno dei sette precetti noachiti, quelli a cui tutti gli esseri umani sono tenuti a conformarsi, è proprio quello di istituire tribunali ed assicurare l’erogazione di pene quando questo si renda necessario.
Il giudizio, in ebraico Din, contiene insidie, esso può sconfinare nel giudizio severo e determinare squilibri nell’Albero della Vita.
E’ affrontando Ghevurà e le sue possibili precipitazioni nell’Altro Lato che i cabalisti hanno sviluppato la riflessione relativa alla teodicea, ovvero alla natura ed al ruolo del male nell’equilibrio cosmico.
In merito a questa complessa questione accenneremo che Ghevurà, di cui sono espressione anche alcuni episodi cruenti della Tanakh che hanno persino portato a qualche ingenua interpretazione per cui YHWH sarebbe un “dio malvagio e vendicativo”, vanno colti in una logica di rapporto causa-effetto, del tutto analoga al concetto di Karma sviluppato dalle filosofie dharmiche.
Ghevurà non contiene il “male” in se ma contiene elementi di Din, giudizio severo, che se non equilibrati da Chesed portano ad essere interpretati e vissuti come “male”, perché in effetti dal punto di vista umano sono elementi distruttivi e calamità.
La corrispondenza fra i pianeti e le sephirot associa, in questo caso per la prima volta in modo unanime fra tutte le scuole di cabala, Ghevurà al pianeta Marte, in ebraico Meadim, da sempre questo pianeta è associato al colore rosso, il colore di questa sephira, che nel corpo umano è anche associata al sangue e negli alimenti al consumo di carne. Meadim vale 95 come pachaz, impetuosità, precipitazione, corrisponde inoltre al nome Daniel, Dio è il mio giudice, nel nome Daniel è contenuta la parola Din. Meadim contiene al suo interno la radice che forma la parola Adom, rosso, come si può osservare le specificità astrologiche e ghematriche di questo pianeta corrispondono a quelle della sephira.
Il patriarca tradizionalmente associato a Ghevurà è Isacco, in Genesi 31 si fa riferimento al “ timore di Isacco” la parola ebraica è pachad, i Midrashim affermano che, senza alcun dubbio, Isacco era consapevole delle intenzioni paterne di sacrificarlo. La Forza qui assume un connotato completamente differente è la capacità di giungere anche all’estremo sacrificio, la fede assoluta, che chiaramente è preceduta dlla pachad, dalla paura, dal timor di Dio, quella particolare sensazione che pervade i mistici quando percepiscono di essere oltre lo stato di percezione ordinaria e che stanno per vivere un’esperienza al di là di ogni categoria percepibile con i sensi ordinari ed interpretabile con categorie esclusivamente razionali.
Nel Chassidismo la qualità attribuita a Ghevurà è la Ir’ha, si tratta di una parola che esprime il concetto di Timor di Dio, arricchendolo di un elemento attivo, infatti siamo di fronte alla qualità del mistico che supera la propria tendenza al male e si porta con costanza nel percorso di ascesa dell’Albero della Vita, siamo nelle prerogative di Ghevurà intesa come autodisciplina, requisito indispensabile per un percorso iniziatico.
Nel tempio massonico la sephira Ghevurà corrisponde alla colonna della Forza, ma è anche connessa con i concetti di risveglio e perseveranza cui è invitato l’iniziando nel Gabinetto di Riflessione.