lunedì 22 giugno 2020

Il mito gnostico

di Filippo Goti



È facile per il lettore esaltarsi nella meraviglia, o sprofondare nello sconforto, innanzi ai raffinati miti gnostici; le elaborate teogonie, le machiavelliche cosmogonie, gli oscuri nomi, gli Eoni infedeli, le suicide missioni salvifiche, sono gli ingredienti comuni ad ogni scuola e comunità gnostica, e realizzano, nel loro eterogeneo insieme, un intricato, quanto raffinato, ordito per mente e anima.  All'estraneo, al curioso, potrebbe sembrare che nessuna di queste fratellanze gnostiche cristiane avesse requie fino a quando non si differenziava rispetto alle altre per qualche peculiarità, per un nuovo estroso nome demoniaco, o per una nuova epopea. Vi è però differenza fra ciò che appare all'estraneo e la sostanza che coglie l'adepto, ed è proprio su questo binomio (apparenza –sostanza) che si fonda l'intera speculazione gnostica cristiana.
Prima di proseguire nella trattazione, è però necessario ricordare come la comunicazione gnostica non ha mai avuto come finalizzazione l'universalità umana, ma bensì la trasmissione di un insegnamento all'interno della ridotta delle singole comunità. Tale distinzione ragionevolmente ci porta a considerare che è l'uomo moderno, il non gnostico per eccellenza, che deve sforzarsi di comprendere ciò che i pneumatici riservavano ai loro simili, e non stupirsi per la presunta incomunicabilità di questi, che certamente non volevano e non potevano parlare per colui che giunto quasi duemila anni dopo.

Il mito racconta una storia sacra; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle origini [...] È dunque sempre il racconto di una "creazione": si narra come qualcosa è stato prodotto, come ha cominciato a essere» (Mircea Eliade , Aspects du Mythe)

Qualcuno, leggendo uno dei testi di Nag Hammadi, potrà avere il dubbio che gli antichi gnostici fossero dei politeisti che antropomorfizzavano gli Eoni o gli Arconti, e che tutta la saga della caduta altro non fosse che una questione di un amore divino ai limiti dell’incesto: riducendo quindi lo gnosticismo ad una versione romanzesca, estremamente elaborata e sofisticata, di un rapporto amoroso tragicamente concluso, in un’ordalia bestiale ed infernale, fra una divinità femminile di ordine inferiore e il Padre del tutto.
Infine, come ultima estensione, si potrebbe essere successivamente tentati di fornire una spiegazione psicologica o di creare archetipi di interpretazione psicanalitica proprio attraverso lo gnosticismo, ipotesi questa che potrebbe trovare ulteriore alimento dalla constatazione che lo gnostico si ritiene straniero alla creazione, ed il suo continuo anelare ad un mondo superiore di eterno equilibrio potrebbe suggerire una qualche forma di rifiuto, alienazione o di dissociazione da leggersi proprio attraverso i miti proposti.

A mio avviso è questa una strada veramente impervia ed errata. In realtà ogni mito umano è, in lucida analisi, l’estremo e ardito tentativo della capacità dell'uomo di rappresentare il perché della propria esistenza, ricostruendo, su di un tessuto non logico ma immaginifico, quella catena di esistenza, rimembranza e sostanza di cui egli si sente, e vuole, essere anello.
È nella natura umana leggere il mondo circostante, dare ordine allo stesso, creare dei punti fermi di relazione e tracciare la propria posizione presente, passata e futura. Ovviamente tale rappresentazione comprende elementi reali, sensibili, interpretativi e speculativi. Tutto ciò si accentua e si amplifica in modo esponenziale, man mano che ci allontaniamo dalla semplice interpretazione e comprensione di quanto afferisce il quotidiano, il consueto e l’esperienziale. Fino a giungere alla decadenza di ogni sistema logico dialettico, nel tentativo di rappresentare uno stato dell’esistenza e dell’esistente sovrumano: l’uomo che si interroga attorno a quanto è altro rispetto all’uomo: il divino.
Ecco quindi il mito assumere la funzione di vettore, atto a deflorare i viziosi e angusti confini in cui è relegato il pensiero logico-razionale: vittima dei suoi stessi postulati e della incongrua e mutevole unità di misura che è l’uomo stesso. Il mito diviene una via alternativa, o meglio l’unica via, con cui colmare l’abisso irrazionale che si determina dal riflesso dell’Esistente nel Non Esistente e giungere infine alla Verità perennemente eguale a sé stessa in cui si riflette l’impermanenza umana.

Nello gnosticismo tale vertigine del pensiero, assume iperbolica originalità dalla peculiarità “ontologica” di questo composito movimento spirituale, iniziatico e filosofico. Sappiamo come la grande novità, incarnata dallo gnosticismo, sia la rottura di ogni legame con la manifestazione stessa, non riconoscendo ad essa la dignità di essere stata creata da parte della vera divinità, ma bensì da una potenza di ordine inferiore; tale intuizione porta l’uomo ad essere finalmente arbitro del proprio destino, in lotta perenne contro forze titaniche che altro non sono che forme particolari di quella manifestazione che, nella sua integralità, è avversa ed ostativa al desiderio gnostico di ascesa.
Lo gnostico credendo che la creazione sia ingannevole, non ha fede verso il dio che l'ha partorita. Esso intuisce in sé una particola elementare, che lo ricollega ad un piano superiore, precedente a questa manifestazione sensibile; in ciò possiamo trovare forti richiami sia al pensiero cabalistico delle origini, che del resto è stato fortemente influenzato dallo gnosticismo, sia ad una parte del pensiero platonico, che a taluni tradizioni orientali quali il taoismo.
Comprendiamo quindi che lo gnosticismo si collega da un lato in modo trasversale rispetto a movimenti religiosi-spirituali, e che dall'altro si pone in quella tradizione metafisica che tratta ciò che è reale ed irreale rispetto alla capacità dell'uomo di realizzarsi attraverso il risveglio interiore.
.