giovedì 9 marzo 2017

Il Ritorno al Pleroma: l'Ascesa dell'Anima Gnostica

«Il salvatore mi ha rivelato ciò che l’anima deve
dire quando risale al cielo e come deve rispondere
a ciascuno dei poteri supremi: ho conosciuto me stessa
e ho raccolto le mie membra disperse; non ho seminato 
una procreazione per l’arconte ma ho strappato le sue radici. 
So chi tu sei: perché sono di quelli che vengono dall’alto.»
(Tratto da un antico codice gnostico)


di Filippo Goti



1. Introduzione

Così come nella creazione del mondo inferiore, quello attinente alla sfera umana, anche in riferimento al destino ultimo dell’uomo, escatologia, gli arconti occupano un ruolo di assoluto rilievo nella speculazione gnostica. Non essendo intendimento di questo lavoro addentrarsi nella genesi degli Arconti e del Demiurgo loro Padre, ci limiteremo a dare qualche breve cenno, scusandoci in anticipo per la necessaria approssimazione.
I miti gnostici concordano nel sostenere che questo mondo è il frutto dell’opera di un Dio Minore, solitamente indicato nel nome di Jaldabaoth o Samael, e qualificato come cieco o arrogante. Tale potenza intermedia è il frutto dell’Errore di Sophia, eone che invaghitosi del Padre Ineffabile, la fonte primigenia, e frustrato in questo suo intendimento precipita, intorbidito, nel mondo inferiore. Grazie alla potenza redentrice e salvifica del figlio unigenito del Padre Ineffabile, il Cristo, Sophia si redime, e spogliatasi del male, del dolore e della confusione che l’affligeva, ascende nuovamente al trono spirituale che aveva perduto.
Quanto da lei espulso, durante il travaglio di redenzione, e cioè quel coacervo di emozioni, inquietudini, desideri, si coagula dando forma e intendimento al Demiurgo, che abbandonato dalla madre, dà ordine al mondo inferiore, come speculare di quello superiore da cui proviene Sophia. Come il mondo oltre la volta celeste è organizzato in regni, troni e dominazioni, anche il mondo sottostante ad essa lo è, e su ogni potestà pone un proprio figlio: arconte.

«E l’invidia generò la morte; la morte generò i proprio figli, e installò ognuno di loro nel suo cielo; tutti i cieli del caos furono riempiti dalle loro moltitudini.»
(La Gnosi e il Mondo, a cura di L. Moraldi, Tea, Milano, 1988.)

È l’etimologia dei termini arconte e demiurgo che ci offre un utile punto di partenza per la nostra ricerca, e soddisfazione per quanto propostoci per questa introduzione: il Demiurgo è l’artefice che ha ordinato una nuova realtà. L’artigiano divino che ha forgiato ogni cosa, dando forma, a suo capriccio e volontà, alla materia di cui disponeva. Da ciò si evince sia che vi è un’ulteriore realtà extramondana, sia che la materia oggetto del suo lavoro è alla forma finale estranea e precedente nella genesi, a cui lo gnostico si rivolge. L’Arconte è titolo che nella Grecia antica veniva riservato ad alti magistrati, cioè a uomini di alto lignaggio delegati al governo e al giudizio della e sulla cosa pubblica.
Queste potenze intermedie, frutto di un processo intellettivo degenerativo ed enucleativo, nella visione cosmogonica gnostica forgiano e dominano il mondo dei fenomeni, dove lo gnostico si trova come prigioniero, separato dalla casa del Padre, intuita ma non vissuta, e dall’inizio dei tempi tessono l’umano destino, in virtù dei pesi e delle misure che esse stesse rappresentano nel quadro del dispiegamento polare della manifestazione, impedendo l’agognato ricongiungimento.

La valenza positiva, negativa o neutra, che possiamo dare a queste figure, e che è stata data sia da gnostici, sia da studiosi di cose gnostiche, è in realtà il riflesso di come noi percepiamo non solo questo mondo, e noi stessi, ma le relazioni tutte che fra questi due poli si pongono in essere. A tale umana legge non sfugge neppure lo gnostico, e sarà tanto più ostile agli Arconti e al Mondo, quanto più si lascerà sopraffare dall’anelito del ritorno, e dal dolore che tale impossibilità comporta.




2. Il disagio gnostico, la natura del mondo e i sette arconti

Alla domanda del perché del dolore, e del massimo fra i dolori, la morte, in opposizione all’assoluta libertà della mente e dell’anima, gli gnostici hanno come risposta la creazione di questo mondo da parte di potenze malvagie, interessate a mantenere l’anima prigioniera di involucri gradatamente predisposti al suo contenimento. Fino a quando l’anima, elemento che proviene dal mondo superiore, è relegata in questo mondo, gli arconti se ne possono nutrire, e mantenere così la propria vita e il loro dominio. L’anelito del ritorno alla casa del padre assume quindi una duplice natura, rappresentata dalla volontà di tornare alla patria nativa, e non essere più costretti a vagare in terra straniera, ma anche di sfuggire ad una ciclica sorte di cibo per potenze astute, ed ingannatrici.
Interessante notare come su questo paradigma siano fondati molti movimenti esoterici neognostici, che ripropongono in chiave di psicologia esoterica il dominio di io-demoni sulla mente dell’uomo, che lo costringono a porre in essere azioni, situazioni, adatte alla loro manifestazione, quindi al loro nutrimento attraverso assimilazioni di emozioni, energie e quanto altro prodotto. Indubbiamente qualcosa di quanto, troppo spesso, viene tacciato di new age, da parte di eruditi di facciata, andrebbe riletto con occhio diverso, e con maggiore attenzione.

In molti testi gnostici, vi è coincidenza nella descrizione del mondo inferiore (natura/manifestazione), dove l’anima è prigioniera. Esso è creato, come il corpo umano, dalle potenze arcontiche, e un numero variante fra sette e oltre trecento cieli, presieduto da arconti e angeli del demiurgo, a rappresentare le potenze di queste signorie, lo separano dal mondo superiore (Pleroma). Fino a quando l’anima vive nel corpo, essa è vincolata, e ogni fuga è impossibile. Lo gnostico, che vince il dolore per la propria condizione, si impegna ad acquisire la gnosis, in grado di permettere all’anima di intraprendere con successo il viaggio astrale. In mancanza di essa, la gnosis, l’anima si troverebbe in balia delle potenze arcontiche, che dominano lo spazio (la terra e i pianeti ), oltreché il tempo, entrambi loro manifestazione e illusione.

Il numero maggiormente ricorrente, nei trattati gnostici, in riferimento alle dominazioni dei cieli del caos degli Arconti è sette:

«Sette apparvero dal caos, come esseri bisessuati. Essi hanno un nome maschile e un nome femminile. Il nome femminile di Jaldabaoth è Pronoia Sambathas, cioè Ebdomade. Il figlio chiamato Jao ha come nome femminile signoria; Sabaoth ha come nome femminile divinità; Adonaios ha come nome femminile regalità; Eloaios ha come nome femminile invidia; Oraios ha come nome femminile ricchezza; Astafois, poi, ha come nome femminile Sofia. Queste sono le sette forze dei sette cieli del caos.»
(La Gnosi e il Mondo.)

Oltre al valore simbolico del numero sette, che sarà tra breve affrontato, due sono gli spunti di riflessione che emergono dal breve brano riportato. La natura bisessuale degli Arconti (sigizia) similare a quella degli eoni superiori, da cui discende la loro capacità del creare, e i loro nomi che sono riconducibili al Dio dell’Antico Testamento, identificato da numerose comunità gnostiche come Satana: il signore di questo mondo. La genesi, e il simbolismo, del numero 7 è da ricercarsi nella somma del 3 e del 4. La triplice manifestazione del sacro, e i quattro inerti elementi. Il risultato, sette, è il principio ordinatore di tutta la manifestazione (le sette note musicali, i sette colori, le sette direzioni, i sette giorni della settimana), senza dimenticare la valenza teologica di questo numero (le sette ferite della Maria addolorata, i sette peccati capitali, i sette doni dello Spirito Santo, i sette gradini della Scala di Giobbe, le sette Chiese dell’Apocalisse di Giovanni). Il simbolismo grafico di questo numero è dato dalla comunione del triangolo con il quadrato, sia inscrivendo il primo nel secondo, sia sovrapponendolo. Nell’ultimo caso abbiamo un pentagono o un pentacolo, a simboleggiare l’uomo realizzato, il maestro che ha trasceso l’umana condizione. Il pentacolo che così si forma è anche la mistica rosa che nasce al centro della croce.

Da quanto sopra indicato si evince come gli gnostici tendessero a rappresentare la manifestazione in simboli e numeri, per meglio evidenziare, in una geometria spirituale, i pesi e le misure che tutto regolano nell’universo in cui le anime sono precipitate e prigioniere, e come, attraverso lo studio di questi, inoltrarsi lungo la via del ritorno alla casa paterna.



3. Il mito gnostico del ritorno alla casa del padre


«Dal centro della terra attraverso la settima porta
mi sono innalzato, e sul trono di Saturno mi sono seduto,
e molti nodi ho sciolto lungo il cammino;
ma non il nodo maestro del destino umano.
C’era una porta per la quale non ho trovato chiave;
c’era un velo attraverso il quale non potevo vedere;
c’eran momenti di vero discorso tra me e te,
e poi non più né te né me "
(Ruba’is, 31-32)

Il mito gnostico dell’ascesa dell’anima, del gran ritorno nella casa del Padre, trova convergenza sia con gli eroici miti greci, sia con il viaggio egizio dell’anima; ciò a riprova della comune matrice solare di queste tre grandi correnti iniziatiche. L’eroe greco è colui che nato uomo, attraverso innumerevoli prove conquista il proprio posto fra le divinità dell’Olimpo, in quanto in virtù del superamento delle fatiche viene riconosciuto dagli dèi loro pari. Il viaggio dell’anima egizia nell’oltretomba trova massima espressione, nei vari incantesimi per superare le potenze inferine, presso il tribunale presieduto dalla dea Maat, e durante la pesatura del cuore. Dove l’iniziato deve dare sia prova della conoscenza delle arti iniziatiche, sia testimonianza della sua vita terrena appena conclusa. Il defunto egizio veniva posto nel sarcofago assieme ad una serie di rotoli, contenenti gli incantesimi necessari per superare i guardiani dell’Oltretomba. In questo vedremo, fra breve, una fortissima analogia con le formule per infrangere i sigilli degli arconti.

Tratte da formulari ofiti:
a) «Io, essendo una parola del puro Nous, opera perfetta per il figlio e il padre, in possesso di un simbolo impresso col carattere della vita, apro la porta del mondo che tu hai chiuso col tuo eone, e passo attraverso il tuo potere di nuovo libero. Possa la grazia essere con me, sì, Padre, che sia con me.»
b) «Arconte del quinto potere, governatore Sabaoth, avvocato della legge della tua creazione, ora disfatta da una grazia che è più possente del tuo quintuplice potere, osserva il simbolo inespugnabile da parte della tua arte e lasciami passare oltre.»

Tratte dal Libro Egiziano dei Morti:
a) «Io sono il Dio Leone, che proviene dall’Arco che ha saettato. Egli è l’Occhio di Horo, e l’Occhio di Horo è aperto, al momento in cui giunge l’Osiride...»
b) «O Ureo! Principio solare! L’Osiride, con una testa di Fuoco, splende e schiude l’eternità: gli stendardi di Tenpua, gli stendardi dei fiori in boccio. Allontanati dall’Osiride, poichè egli è la divina Lince.»

La coincidenza escatologica e cosmogonica fra l’universo gnostico e quello egizio risulta evidente attraverso una lettura comparata dei due testi suddetti e della Gnosi e il Mondo, ma non essendo questa la sede per una simile disquisizione rimando a tali indicazioni.

Concludo con una doverosa menzione ad Alessandria, crogiuolo della cultura ellenistica, dei misteri egizi, e del nascente cristianesimo, che rappresenta la massima espressione della divulgazione della Tradizione Solare, racchiusa nello gnosticismo. L’anima gnostica anela a tornare al Pleroma, il regno attorno al Padre, dove aveva dimora prima della caduta pneumatica. Ma tale desiderio è frustrato da quelle potenze che risiedono nello spazio intermedio posto fra i due limiti estremi della manifestazione, e che la mitologia gnostica ha voluto indicare come i reggenti dei pianeti. Non possiamo esimerci dal chiederci quanto di tali immagini ha influito nel dare forma e contenuto a tante branche dell’occultismo e dell’esoterismo, anche moderno. È grazie alla gnosi che l’anima (veicolo) ha la possibilità di compiere questo periglioso ed incerto viaggio, dove gli Arconti dai terribili poteri, e dalle mostruose e stravolte sembianze, attendono al varco, ognuno nella propria dominazione, che deve essere espugnata e superata per procedere oltre.
La vita terrena dello gnostico era finalizzata alla trasmissione/ricevimento (Tradizione) della gnosi da maestro ad adepto, che si traduceva nell’apprendimento delle formule magiche e dei simboli in grado di rompere il sigillo (potere) degli arconti, disposti sul trono dei sette cieli/pianeti, attorno alla terra. Non dobbiamo però credere che tali informazioni rivestissero un mero significato intellettuale o letterale; al contrario, attraverso un lavoro intimo, dallo strato conscio esse filtravano in quello inconscio, forgiando così l’anima, in preparazione del confronto con gli arconti. Ecco quindi la gnosi, a differenza della fede, operare un mutamento non solo negli aspetti mediati dell’uomo (pensiero - azione - etica), ma anche nelle sue profonde qualità, rendendolo diverso tra i diversi, straniero tra gli stranieri.



4. Conclusione 

Abbiamo appurato come per lo gnostico esistono due mondi, e come quello terreno altro non sia che l’immagine contorta e ingannevole di quello celeste. Allo stesso modo anche la «vita» in realtà non è unica, ma scindibile in quella del corpo e in quella dell’anima. Fino a quando l’anima non riuscirà a liberarsi della propria condizione di prigionia, e di alimento per gli arconti, essa vagherà da corpo a corpo, aumentando così il proprio fardello di «dolore». L’apice della drammaticità nell’ascesa dell’anima verso la propria condizione regale precosmica viene raggiunto nella gnosi valentiniana, dove il ritorno al Pleroma comporta una tragedia cosmica. In tale speculazione, la manifestazione, privata del pneuma, lentamente ma inesorabilmente tende a morire per consunzione, come un fiume che perdendo progressivamente la portata dell’acqua, si inaridisce fino a scomparire. In alcune manifestazioni di tardo gnosticismo, come le comunità catare, notiamo invece una cosmogonia ciclica della caduta/ascesa/caduta dettata da un rigidissimo dualismo.
Il viaggio dell’anima gnostica fra i cieli è un viaggio nel terrore, nell’illusione, e solo in virtù dei simboli e delle parole di potere potrà aprirsi un varco fra le potenze dell’ignoranza. Al fallimento segue il precipitare nuovamente nel mondo inferiore, aggiungendo angoscia ad angoscia, per essere così reincarnata in altri corpi fino alla fine dei tempi. Lontano dall’essere, ieri come oggi, una mera speculazione dialettica, o arabesco di menti sofisticate, lo gnosticismo ha rappresentato un esteso scrigno di gemme iniziatiche, dove non erano estranee operatività a carattere occulto.
Attraverso i simboli, studiati in vita, e vivificati nella carne, nella mente e nell’anima, lo gnostico cerca di assimilare quel contenuto conoscenziale che vi è racchiuso, e di divenire con essi cosa unica, attraverso un riadattamento costante verso l’ideale da essi rappresentato. Le parole di potere da proferire durante l’incontro con gli Arconti, in quanto manifestazioni del Logos divino, altro non rappresentano che vere e proprie operazioni teurgiche. Ed infine la magia sui morenti, compiuta dai sacerdoti gnostici per agevolare il distacco dell’anima, e impedirne il ritorno.
Sono quindi i simboli, le parole di potere e la magia, il vero cuore pulsante dell’iniziazione gnostica, mentre le ardite mitologie, e le ampie dissertazioni sulla manifestazione, rappresentano la giusta cornice, il paradigma, in cui muoversi, e la necessaria soglia di sbarramento per il debole, che confonde il riverbero della luce sulla neve con il Sole. La vita dello gnostico è spesa nello studio di se stesso e della manifestazione, dando nuovo significato alla fenomenologia dello Spirito. Questa creazione, frutto di potenze mediate, offre motivo di conoscenza dell’arte e della natura dei suoi creatori, e quindi preziose informazioni per come sconfiggerli, lungo la via del ritorno. Un ritorno che, a ben comprendere quanto è posto sotto la superficie della parola enunciata, altro non è che una settuplice spogliazione dalle impurità di questo mondo, e al contempo una riacquisizione di «poteri» dimenticati, e apparentemente posti oltre noi.
La teologia cristiana, attinente alla sfera mesoterica dello gnosticismo, ci ha indicato nei sette peccati capitali l’ostacolo per il ricongiungimento con il Padre. Ma così operando ha privato questi aggregati di «profondità» e volontà loro propria, facendo loro assumere valore incidentale e contingente. Non è così nello gnosticismo, dove non solo si manifestano come forze inerziali, da espellere, ma bensì come entità, dotate di propria identità e volontà, fieramente convinte a perpetuare se stesse. Ma dove ricercare tutto questo? Dove i sette cieli? Dove questi Mostri spaventosi? E dove il Pleroma?

Queste domande trovano degno compimento nei seguenti brani del Vangelo di Tomaso e del Vangelo di Maria:
[3] Gesù disse: «Se coloro che vi guidano vi dicono: Ecco il Regno (di Dio) è in cielo! Allora gli uccelli del cielo vi precederanno. Se vi dicono: È nel mare! allora i pesci del mare vi precederanno. Il Regno è invece dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete, allora sarete conosciuti e saprete che voi siete i figli del Padre che vive. Ma se non vi conoscerete, allora dimorerete nella povertà, e sarete la povertà.» (Vangelo di Tomaso)
«... la materia sarà distrutta, oppure no?» Il Salvatore disse: «Tutte le nature, tutte le formazioni, tutte le creazioni sussistono l’una nell’altra e l’una con l’altra, e saranno nuovamente dissolte nelle proprie radici. Poiché la natura della materia si dissolve soltanto nelle (radici) della sua natura. Chi ha orecchie da intendere, intenda.» (Vangelo di Maria.)
Ecco quindi come il viaggio dell’Anima, verso il Pleroma, è in realtà un viaggio all’interno dei nostri mondi intimi, e solo riassorbendoli nelle loro radici (la sfera fenomenologica ricollocata in quella ontologica) sarà possibile porre fine all’eterno ciclo del cosmo e del tempo.
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