di Valentina Marelli
Le città nelle quali viviamo quotidianamente sono piene di misteri e segreti che molto spesso non immaginiamo nemmeno. La città di Napoli si offre molto come esempio in questo caso. Forse, essendo napoletana, si potrebbe pensare che io sia un po’ di parte, e ci potrebbe pure stare, ma a voler essere sincera è una città che ho apprezzato quando sono andata via più che quando ci vivevo. In questo percorso di riscoperta anche delle mie radici, ho imparato a conoscere gli aspetti più squisitamente pagani della mia città.
Napoli è la città nata da una sirena, le origini della mia città sono fondamentalmente queste, un mito di fondazione che si mescola con la leggenda; si narra appunto che tremila anni fa, sullo scoglio dove oggi ritroviamo Castel dell’Ovo, si fosse adagiata per riposare una sirena dopo essere uscita dall’acqua. Il nome di questa fantastica creatura era Partenope.
Napoli è una città tanto intrigante e misteriosa in superficie quanto nel suo sottosuolo. Ed è proprio di quel sottosuolo, che i napoletani abitano e vivono, di cui ora vogliamo parlare, raccontando di un culto la cui origine si perde nella notte dei tempi; quello delle Anime Pezzentelle. I morti e la morte in genere fanno paura e ce ne si tiene accuratamente a distanza per quello che si riesce, bisogna proprio inciamparci dentro la Morte, non è propriamente qualcosa che ti vai a cercare, a Napoli è tutto un po’ diverso in quanto la Morte è una presenza costante della vita di questa città e dei suoi abitanti. Il culto delle Anime Pezzentelle lo dimostra abbastanza: la città di Napoli sorge su un lungo ed intricato labirinto di cunicoli sotterranei che nel corso dei secoli sono stati usati per gli scopi più disparati, uno di questi, durante le epidemie di peste bubbonica che colpirono la città, fu quello di luogo di sepoltura. I cunicoli furono trasformati in ossari atti ad accogliere i resti delle centinaia di persone morte di peste. Li furono accumulati alla rinfusa centinaia di corpi senza vita e senza nome, privando in questo modo i familiari di avere un simulacro a cui rivolgere le proprie preghiere. Ma i napoletani, esperti nell’arte detta dell’arrangiarsi, non si persero d’animo e, partendo dal presupposto che nella morte siamo tutti uguali, decisero di “adottare” semplicemente uno qualsiasi di quei teschi e di pregare tramite lui per la redenzione di tutte le anime del Purgatorio.
Da allora questo culto è assai presente nella ritualità napoletana, tanto che le Anime Pezzentelle sono nella pratica il punto di incontro tra il materiale e lo spirituale, sono l’intercessione tra questi due universi, ed è un culto nel quale un simulacro viene rivestito da una veste Sacra e Sacrale, in una forma di religiosità che non ha bisogno di intermediari, ma che è una comunicazione tra Uomo e Dio, in cui alle volte Dio risponde.
Tanti sono i luoghi in cui si può osservare e perché no partecipare a questo culto nella città di Napoli, uno è il Complesso museale di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco, lungo l’antica via Tribunali. La chiesa fu edificata per volontà di un Opera Pia e consacrata nel 1638, è un monumento che non solo è un capolavoro dell’arte barocca, ma il luogo dove nasce e si perpetua il culto delle Anime Pezzentelle. La visita al monumento consente di ammirare i capolavori di Massimo Stanzione, Luca Giordano, Andrea Vaccaro, Dionisio Lazzari; i preziosi oggetti di culto nella raffinata sagrestia e soprattutto, di scendere fisicamente nel Purgatorio.
Una stretta scaletta introduce il visitatore nella grande chiesa inferiore, da cui inizia il percorso sotterraneo che si snoda in cunicoli stretti ed umidi letteralmente ricoperti da teschi e ossa.
Il più famoso in assoluto è quello di Lucia che è facilmente distinguibile dagli altri perché ornato da una corona di perline ed un candido velo da sposa, tante sono le leggende legate al teschio di Lucia, una di esse racconta che Lucia era una giovane e bellissima donna in procinto di sposare l’amore dalla sua vita quando si ammalò di peste e morì. Da allora, ogni giorno, decine di giovani si recano da Lucia e la pregano di far loro incontrare l’amore della vita. In segno di riconoscenza e come testimonianza dell’efficace intercessione di Lucia, è uso deporre ai piedi dell’altare su cui è custodito il suo teschio, il velo da sposa. Periodicamente i veli deposti sono portati via perché sono talmente tanti da occupare tutte la stretta stanza.
Questa è un’esperienza unica, un viaggio nel complesso mondo di una spiritualità che i più reputano scomparsa, un assaggio di quell’aspetto misterioso della cultura napoletana, di cui solo i napoletano conoscono le chiavi di lettura.
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