di
Davide Riboli
L’origine del male è sempre stato un abisso di cui nessuno ha mai potuto vedere il fondo. È questo che ha ridotto tanti antichi filosofi e legislatori a ricorrere a due principi, uno buono e l’altro cattivo. Tifone era il principio del male presso gli egizi, Arimane lo era presso i persiani. I manichei adottarono, come si sa, questa teologia; ma poiché essi non parlarono mai né col principio buono né con quello cattivo, non bisogna credere loro sulla parola.
[...]
Basìlide, seguendo i platonici, pretese, fin dal primo secolo della Chiesa, che Dio diede da fare il nostro mondo agli angeli della schiera più bassa, e che costoro, poco abili, fecero le cose quali le vediamo. Ma questa favola teologica va in fumo davanti alla tremenda obiezione che non è nella natura di un Dio onnipotente e saggio far costruire un mondo da architetti che non sanno affatto il loro mestiere.
Voltaire - Il Dizionario Filosofico, Bene (Tutto è Bene) - 1764
Riprendiamo esattamente da dove ci eravamo lasciati [ http://goo.gl/lha0uV ]: Carducci e quell’"Inno a Satana" che ancora costituisce un notevole imbarazzo pei programmi della pubblica istruzione. In un suo articolo del 1869 su "Il Popolo", Carducci rende pubblico il proprio concetto luciferino:
Il mio Satana è una specie di ebreo errante che per panteistica trasformazione passa di fenomeno in fenomeno, di mito in mito, di uomo in uomo. E così segue da molti secoli. Se una forma propria volessi dargli, lo rappresenterei giovin di verde ed immortale gioventù, come gli dèi della Grecia, ma severo e mesto a un tempo nella sua raggiante bellezza. Con la spada nell’una mano e nell’altra una fiaccola, egli salirebbe di monte in monte guardando all’alto.
Excelsior è il suo motto, come quello dell’ignoto peregrino americano del Longfellow. E nella immaginazione mia, egli non può sostare che sulla cupola di Michelangelo, in vetta al San Pietro. Quando egli sarà colassù, noi suoi fedeli sotterreremo finalmente Geova. Perocché cotesto vecchietto Dio è vivace: altri si è affaticato finora a seppellirlo, ed egli fa mostra di rassegnarsi; ma a un tratto scoverchia la tomba e salta fuori. Ma noi lo sotterreremo profondo, più profondo che i cretesi non facessero con Giove, perocché gli accatesteremo a dosso la grave mora del cattolicesimo romano. Questo è l’officio degli italiani.
Pare destino che debba essere proprio Carducci a presentare al mondo una lirica incompiuta di Giacomo Leopardi, dedicata a Satana.
L"Inno ad Arimane" fu scritto da Giacomo Leopardi, probabilmente nella primavera del 1833, subito prima del trasferimento a Napoli dove l'autore morirà nel 1837. Si tratta di uno studio in fase di bozza avanzata che - per motivi non difficili da comprendere - non raggiunse mai la pubblica diffusione, sino a quando proprio il Carducci non lo presentò nel proprio saggio del 1898 "Degli spiriti e delle forme nella poesia di Giacomo Leopardi". Freud e la sua “Interpretazione dei sogni” distavano solo due anni.
Leopardi si rivolge al Grande Oppositore chiamandolo Arimane, vale a dire Angra Mainyu ("Spirito del Male") che nel Mazdeismo è lo spirito avversario di Spenta Mainyu ("Spirito Santo"). Su questa coppia d'eterni opposti Mircea Eliade ci dice che:
La teologia di Zarathustra non è “dualista” in senso stretto, poiché Ahura Mazdā non è messo a confronto con un "anti-dio"; l'opposizione si esplicita all'origine tra i due Spiriti. D'altra parte è più volte sottintesa l'unità tra Ahura Mazdā e lo Spirito Santo. Insomma il Bene e il Male, il santo e il demone procedono entrambi da Ahura Mazdā, ma poiché Angra Mainyu ha scelto liberamente la sua natura e la sua vocazione malefica, il Signore non può essere considerato responsabile della comparsa del Male.
Seguire i sentieri di etno-antropologici di Eliade ci porterebbe troppo lontano: restiamo in Arte. Dove pesca Leopardi termine e concetti legati ad Arimane?
Secondo Fubini, Leopardi ne avrebbe tratto il nome dal "Manfred" di Byron. Per Antonioni invece, la fonte ispiratrice avrebbe potuto essere il "Poème sur le désastre de Lisbonne" di Voltaire; Fregnani considera quella di Voltaire una ipotesi da legarsi anche al fatto che il grande illuminista abbia citato esplicitamente Arimane nel "Dizionario Filosofico" alla voce "Bene (Tutto è Bene)".
Rigoni, nel suo "Il pensiero di Leopardi", sottolinea come:
[...] con Sade e con Leopardi, forse per la prima volta nella storia del pensiero occidentale, il principio negativo cessa di avere una funzione dialettica e subordinata rispetto al principio positivo e diventa il solo che determina e spiega il reale [...] l’Arimane leopardiano non conosce l’opposizione vittoriosa di alcun Ormuzd.
Non rimane che leggere e ascoltare l'ode leopardiana. Ascoltare, sì, perché - sebbene bandita da qualsiasi antologia di largo consumo - fu inclusa da Carmelo Bene nella propria antologia di canti leopardiani. Di seguito troverete due versioni della stessa lirica [l'originale leopardiano e la versione rifinita da Bene per la sua esecuzione] ed il video della interpretazione beniana.
Inno ad Arimane (1833, testo incompiuto)
Re delle cose, autor del mondo, arcana
Malvagità, sommo potere e sommo
Intelligenza, eterno
Dator de’ mali e reggitor del moto,
io non so se questo ti faccia felice, ma mira e
godi, contemplando eternamente…
Produzione e distruzione… per uccidere partorisce… sistema del mondo, tutto patimen… Natura è come un
bambino che disfa subito il fatto. Vecchiezza. Noia o passioni piene di dolore e disperazioni: amore.
I selvaggi e le tribù primitive, sotto diverse forme, non riconoscono che te. Ma i popoli civili
… te con diversi nomi il volgo appella Fato, Natura e Dio. Ma tu sei Arimane, tu quello che…
E il mondo civile t’invoca.
Taccio le tempeste, le pesti tuoi doni, che altro non sai donare. Tu dai gli ardori e i ghiacci.
E il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione. Ma l’opra tua rimane immutabile, perché per natura dell’uomo sempre regneranno l’ardimento e l’inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso.
Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai.
Invidia degli antichi attribuita agli dei verso gli uomini.
Animali destinati in cibo. Serpente Boa. Nume pietoso.
Perché, dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? L’amore? … per travagliarci col desiderio, col confronto degli altri e del tempo nostro passato?
Io non so se tu ami le lodi o le bestemmie. Tua lode sarà il pianto, testimonio del nostro patire. Pianto da me per certo Tu non avrai: ben mille volte dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà.
Ma io non mi rassegnerò.
Se mai grazia fu chiesta ad Arimane, concedimi ch’io non passi il 7° lustro. Io sono stato, vivendo, il tuo maggior predicatore, l’apostolo della tua religione. Ricompensami. Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama beni: ti chiedo quello che è creduto il massimo de’ mali, la morte (non ti chiedo ricchezze, non amore, sola causa degna di vivere). Non posso, non posso più della vita.
Inno ad Arimane (versione recitata da Carmelo Bene)
Re delle cose, autor del mondo, arcana
Malvagità, sommo potere e somma
Intelligenza, eterno
Dator de’ mali e reggitor del moto,
io non so se questo ti faccia felice, ma mira e godi, contemplando eterno…
Natura è come
un bambino che disfa subito il fatto.
Vecchiezza.
Noia e passioni piene di dolore e disperazione: amore.
Te con diversi nomi il volgo appella Fato, Natura e Dio.
Ma tu sei Arimane.
Taccio le tempeste, le pesti, tuoi doni, che altro non sai donare.
Tu dai gli ardori e i ghiacci e il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione.
Ma l’opra tua rimane immutabile, perché natura dell’uomo sempre regneranno l’ardimento e l’inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e la fortuna sarà nemica al valore, e il merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso.
Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai.
Invidia dagli antichi attribuita agli dèi verso gli uomini.
Perché, dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? L’amore? Per travagliarci col desiderio, col confronto degli altri e del tempo nostro passato?
Io non so se tu ami le lodi o le bestemmie. Tua lode sarà il pianto, testimone del nostro patire. Pianto da me per certo tu non avrai: ben mille volte dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà.
Ma io non mi rassegnerò.
Se mai grazia fu chiesta ad Arimane concedimi ch’io non passi il settimo lustro.
Io sono stato, vivendo, il tuo maggior predicatore, l’apostolo della tua religione. Ricompensami. Non ti chiedo nessuno di quelli che il mondo chiama beni: ti chiedo quello che è creduto il massimo de’ mali, la morte (non ti chiedo ricchezze, non amore, sola causa degna di vivere). Non posso, non posso più della vita.