Il processo di revisione critica, attualmente in atto, all’interno della Chiesa Cattolica nei confronti dei famigerati comportamenti inquisitoriali, che produssero la condanna di Galileo Galilei, può, forse, evidenziare una certa buona volontà delle gerarchie ecclesiastiche nel riconoscere i propri errori passati e, al contempo, il chiaro imbarazzo di chi si vede costretto a difendere posizioni ormai anacronistiche e irrevocabilmente condannate dalla storia, ma sicuramente non può nascondere il profondo e indissolubile legame che unisce tali eccessi al dogmatismo intransigente di una fede religiosa, quale è quella cattolica, convinta di detenere il monopolio della verità assoluta e rivelata. Infatti, mentre riguardo al processo Galileo il Papa vacilla e sente sulle proprie spalle il peso di tutta la vergogna che deve ricoprire l’ignoranza di una dottrina ormai sconfitta dalla ricerca scientifica, rispetto al processo Giordano Bruno tace e tenta di far dimenticare il rogo sul quale fu bruciato il 17 febbraio 1600 in Campo dei Fiori a Roma, per ordine del successore di Pietro, del rappresentante di Cristo in terra, di quel Clemente (di nome e non di fatto) VIII, il filosofo di Nola. Per leggere tutto l'articolo Clikka quì.
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martedì 26 maggio 2009
GIORDANO BRUNO: IL PROCESSO
Giordano Bruno non si reputava eretico; egli sapeva di aver cercato con onestà intellettuale la verità religiosa, credeva in una Divinità panteistica che permea tutto e tutti, lui compreso, e non riusciva a comprendere per quale motivo la Chiesa Cattolica non si comportasse con la medesima onestà e impedisse la libera ricerca di Dio. Morris Ghezzi, membro del Grande Oriente d’Italia (Revista massonica svizzera febbraio 2009)