Nel pubblicare sul Blog questa presentazione del Fr:. Gianmichele Galassi della Sezione di Fisica Medica - Dipartimento di Fisica- Università degli Studi di Siena al libro del Fr.: L.C. e invitandovi tutti a comperarlo e leggerlo: "Ipotesi su San Francesco Ed. Erasmo - V.San Pancrazio,8 - Roma" - invito tutti i visitatori e lettori del Blog a segnalare eventi che si intendono pubblicizzare. (A.Duranti)
Oggi sono stato chiamato ad un arduo, ma gradito compito, quello di presentare un saggio del nostro Fr! Cappelli dal titolo «Ipotesi su San Francesco». Ogni qual volta ci accostiamo ad una figura storica, è bene concentrarsi sugli avvenimenti della sua vita cercando sempre di capire l’uomo che si cela dietro al personaggio.
I lunghi anni di studio mi hanno insegnato che le cose non stanno quasi mai come vengono ufficialmente raccontate e gli storici, solo recentemente,
hanno compreso quanto il distacco temporale sia indispensabile per ottenere una visione quanto più obiettiva.
hanno compreso quanto il distacco temporale sia indispensabile per ottenere una visione quanto più obiettiva.
Per questo motivo porrò l’accento su alcuni risvolti della vita di Francesco,
lasciandone agli esperti – come il ns. Fr! Cappelli – l’analisi completa, nè tantomeno commenterò il suo lavoro: vorrei evitare il rischio di svelarne i
punti salienti, lasciando così al lettore il piacere della scoperta.
Certamente è facile rimanere affascinati da figure di questo calibro, alquanto rare nel panorama storico umano; quando la prima volta mi sono interessato a Francesco, mi ha immediatamente risvegliato il ricordo della vicenda di un uomo per molti aspetti assonante, quello di San Galgano.
Galgano Guidotti compì infatti un gesto di valore simbolico assoluto, specie se consideriamo il contesto storico-sociale: egli dicise platealmente di rinunciare al potere ed al dominio della spada, intrinsecamente legata alla propria posizione sociale, per dedicarsi totalmente alla croce, simbolo di pace, amore e fratellanza.
Questo gesto è facilmente e popolarmente interpretabile con il netto rifiuto dei propri privilegi a favore di una condizione più naturale dell’uomo, traducibile in una contestazione pubblica del modus vivendi dell’epoca.
Galgano, con questo suo gesto straordinario, risalì la scala della notorietà divenendo uno dei maggiori testimoni di quella corrente eremitica e riformatrice caratterizzante i primi secoli del nuovo millennio: simbolo di una Chiesa più umile, fu certamente guardato con interesse da Francesco che, dopo le sofferenze causate dalla malattia durante la prigionia, decise anch’egli di emulare le gesta di Galgano abbandonando le armi ed il suo status sociale di ricco borghese per dedicarsi a più alti ideali.
Abbandonò quindi la materia in favore dello spirito, si eresse a rappresentante degli humiles che, pur nella sfortuna materiale, potevano contare sulla speranza dell’eternità nella «piena luce» del Creatore.
Galgano e Francesco, attraverso le proprie scelte, sollevarono un’onda dirompente paragonabile ad una vera e propria rivoluzione sociale destinata a minare le fondamenta stesse di una Chiesa e di una classe clericale alla deriva: lusso e potere - ovvero i moderni idoli - stavano corrompendo i rappresentanti di Dio, sempre più lontani dallo stile di vita indicato dal Cristo nelle Sacre Scritture.
Ecco la caratteristica principale dell’opera divulgativa di Francesco d’Assisi che l’ha reso così popolare: il suo essere «imitatore perfetto di Cristo».
Certamente Francesco non ha mai apertamente contestato la gerarchia
ecclesiastica anzi, tutt’altro: i suoi testamenti, soprattutto quello “di Siena”1, esortano al rispetto ed all’obbedienza all’Istituzione romana ed ai suoi rappresentanti.
Ma come non leggere e notare una vena polemica nel suo agire e nelle sue opere? Come tutti i grandi sogni, a cominciare da quelli biblici, i Fioretti sono profezia e polemica, sogno e scandalo, e come non leggervi un’aperta e chiara chiamata in giudizio dell’intera Chiesa di Roma? Ad un certo punto della sua vita, al termine di un momento delicato e difficile, fu probabilmnete avvolto dal calore di un’umanità spontanea, da quel tipo di calore che solamente la vista della “luce” è capace di creare e che, una volta
provato, è impossibile dimenticare.
provato, è impossibile dimenticare.
Dal punto di vista massonico questo è paragonabile alla piena comprensione ed al raggiungimento dei primi due gradi: l’apprendistato ed il compagnonaggio.
Nel primo si acquista la piena coscienza di sé, arrivando alla certezza di chi siamo e quindi di ciò che è veramente importante per noi stessi; successivamente il compimento dell’essere umano, ovvero la trasposizione della raggiunta armonia interna verso il “tutto”, ovvero con ciò che ci circonda, l’esterno.
Detto ciò, è facile comprendere come un uomo che abbia raggiunto tali traguardi possa essere diventato esempio e guida per tutti gli altri, forte della virtù ingenerata dalla piena coscienza di sé e del proprio posto nel mondo.
A testimonianza di queste affermazioni troviamo numerosi momenti in cui
Francesco ricrea unità ed armonia fra il corpo e l’anima, il visibile e l’invisibile, fra materia e spirito, attraverso il dialogo e la riconciliazione con “tutte le creature”.
Non dimentichiamoci infatti che nelle numerose versioni del rituale dell’Agape massonica in nostro possesso, l’oratore dà lettura proprio del “Cantico delle Creature”.
Si dà, così, grande rilevanza proprio al rapporto dell’uomo con la natura ed i suoi frutti, facendo particolare riferimento agli altri esseri viventi.
Difatti, l’armonia con il creato è cercata nel momento forse più difficile - quello del nutrimento – interpretato come grande dono da vivere con consapevolezza e serenità.
Fra i numerosi simboli dal risvolto esoterico che hanno accompagnato vita ed opere di Francesco, mi sembra opportuno in questa sede porre l’accento sulla TAU2, non a torto è considerato l’emblema principale dell’Arco Reale.
Di antichissima origine, questo segno ha ricopertogrande importanza in molte culture; seppur neesistano molte varianti3 è chiaro che fosse ritenuto simbolo magico e vitale.
Nella società egizia il geroglifico Anck4 (variante uncinata) stava ad indicare la divinità; mentre in quella ebraica rappresenta forse il compimento dell’opera di Dio, almeno della parte rivelata, essendo l’ultima lettera dell’alfabeto; in più era utilizzata (e lo è ancora) davanti al nome come segno distintivo dell’alto valore di una persona: nell’antichità se ne fregiavano i guerrieri che si erano particolarmente distinti in battaglia, salvandosi. A questo proposito, fra le frequenti menzioni bibliche5, vorrei ricordare un passo di Ezechiele (9,3-4): «Il Signore disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau6 sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono...».
Nella cultura cristiana è perciò segno di riconoscimento del figlio di Dio scampato dal pericolo, ovvero del salvato dallo sterminio.
Considerata la potenza della TAU come segno di protezione contro il male, Francesco la utilizzò nella nota lettera (Chartula) di “Benedizione a Frate Leone” per restituire la speranza all’amico assalito dal dubbio sul suo destino eterno.
Secondo alcuni studiosi, poi, la TAU7 rappresenterebbe la parola perduta, ovvero l’ineffabile segreto, scopo primario del massone, ed è curioso come - per talaltri autori - lo stesso Francesco l’abbia disegnata che pare uscire dalla bocca (Signum tau cum capite).
Riprendendo il titolo della presentazione, la scelta di vivere in povertà ha profondi significati esoterici.
La pratica dell’abbandono delle cose materiali in favore dello spirito è, indubbiamente, il metodo più rapido per salire la scala curva di cinque gradini.
Le distrazioni dell’uomo, infatti, sono spesso legate al desiderio profano e l’assoluta povertà elimina gran parte delle tentazioni offerte dal mondo.
Inoltre Francesco si dimostrò più volte immune alle lusinghe del potere.
Tale risolutezza nell’agire secondo principio, lo rese esente dai tentennamenti procurati dalla brama, permettendogli di ricevere la conferma mistica di assoluta rettitudine in vita8:
1) Da Innocenzo III (ma regalmente sua dura intenzione/ ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe/ primo sigillo a sua religione.).
2) Dallo Spirito Santo per mezzo di Onorio III, che approvò la sua regola (di
seconda corona redimita/ fu per Onorio da l'Etterno Spiro/ la santa voglia d'estoarchimandrita.).
3) Ed infine da Gesù stesso con il dono delle stigmate9 (nel crudo sasso intra Tevero e Arno/ da Cristo prese l'ultimo sigillo,/ che le sue membra due anni portarno.).
Questa considerazione, insieme ad altre, conduce il F! Cappelli alla formulazione di alcune ipotesi non prive di fascino, descritte nel volume in
modo da indurre il lettore ad una meditata riflessione su metodo e scopi perseguiti dal non comune Santo d’Assisi.
Certamente è doveroso il ringraziamento all’autore di questo intenso saggio
vuoi per la sapienza con cui espone le proprie tesi su un personaggio così conosciuto vuoi per la generosità dimostrata, insieme alla Società Edizioni Erasmo, donando il ricavato delle vendite in beneficienza.
Concludendo, ne consiglio la lettura a tutti gli iniziati: gli stimoli di approfondimento e riflessione che è capace di trasmettere saranno una ricca fonte per gli assetati di conoscenza.
Lasciando la parola all’autore e ringraziandovi per l’attenzione, non mi resta che augurarvi buona lettura!
1 Testamento di Siena, dettato dal santo nella primavera del 1226: «Scribe qualiter benedico cunctis fratribus meis, qui sunt in religione et qui venturi erunt usque in finem seculi. Quoniam propter debilitatem et dolorem infirmitatis loqui non valeo, breviter in istis tribus verbis patefacio fratribus meis voluntatem meam, videlicet: ut in signum memorie mee benedictionis et mei testamenti semper diligant se ad invicem, semper diligant et observent dominam nostram sanctam paupertatem et ut semper prelatis et omnibus clericis sancte matris ecclesie fideles et subiecti existant.» ovvero «Scrivi che benedico tutti i miei frati, che sono ora in questa Religione e quelli che vi entreranno fino alla fine del mondo. E siccome, a motivo della debolezza e per la sofferenza della malattia, non posso parlare, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre parole. Cioè: in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino gli uni gli altri, sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chirici della santa madre Chiesa.» (Francesco d'Assisi, Testamento di Siena, [FF 132-135]. trad.: F. Olgiati - C. Paolazzi)
1 Testamento di Siena, dettato dal santo nella primavera del 1226: «Scribe qualiter benedico cunctis fratribus meis, qui sunt in religione et qui venturi erunt usque in finem seculi. Quoniam propter debilitatem et dolorem infirmitatis loqui non valeo, breviter in istis tribus verbis patefacio fratribus meis voluntatem meam, videlicet: ut in signum memorie mee benedictionis et mei testamenti semper diligant se ad invicem, semper diligant et observent dominam nostram sanctam paupertatem et ut semper prelatis et omnibus clericis sancte matris ecclesie fideles et subiecti existant.» ovvero «Scrivi che benedico tutti i miei frati, che sono ora in questa Religione e quelli che vi entreranno fino alla fine del mondo. E siccome, a motivo della debolezza e per la sofferenza della malattia, non posso parlare, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre parole. Cioè: in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino gli uni gli altri, sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chirici della santa madre Chiesa.» (Francesco d'Assisi, Testamento di Siena, [FF 132-135]. trad.: F. Olgiati - C. Paolazzi)
2 Da notare che è l’unica lettera presente sia nell’antico ebraico sia nell’antico greco, oltre che nell’aramaico, nel latino. Ed in generale in tutte le lingue semitiche ed indoeuropee.
3 È presente in numerosi ritrovamenti archeologici risalenti al II°-III° millenio a.C.
4 Gli antichi egizi la riproducevano con un cartiglio simile ad un manico e la chiamavano la croce della vita e della morte, donata all’uomo spirituale dal Dio della Conoscenza Thot.
5 Lo si ritrova anche nel libro della Genesi (4,15), nell'Esodo (12,7) ed in Giobbe (31,35).
6 In questo modo coloro che lo meritavano sarebbero stati risparmiati dai “sei messaggeri della distruzione”, in molte recenti versioni della Bibbia al posto della “Tau” è trascritto erroneamente “croce”.
7 Christopher Knight e Robert Lomas nella Chiave di Hiram: “La traduzione ebraica del carattere egizio è 'Giosuè', attraverso cui poi si perviene al greco 'Gesù'. In buona sostanza, il crocifisso non è il simbolo di Gesù, ma il suo stesso nome!”.
8 Come del resto ci fa notare Dante nell’XI° Canto del Paradiso (vv.30-117).
9 Come riportato in: Legenda Major di San Bonaventura e Vita Prima (III, 95) di Tommaso da Celano.