di Davide Riboli
Tiger, tiger, burning bright
In the forests of the night,
What immortal hand or eye
Could frame thy fearful symmetry?
Quando ho cominciato a scrivere per questo blog sapevo che, prima o poi, mi sarei dovuto occupare di William Blake. E, finché ci sono riuscito, ho sempre rimandato l'occasione di farlo. Perché Blake è irriferibile: ciò che abita la sua opera non può che risultare appannato da qualsiasi restituzione mediata. Nei suoi quadri, nelle sue incisioni, nei suoi scritti il Simbolo è una forza primigenia e vitalissima - quasi febbricitante - e non una mera testimonianza di ciò che fu nell'antico.
Nello spazio tra un quadro di Blake e gli occhi di uno spettatore si palesa apertamente il demone di cui parla Pierre Klossowski quando descrive l'atto di dipingere e quello di guardare un dipinto.
I suoi lavori non possono essere "guardati", perché in realtà sono artefatti che guardano noi, spingendoci a interrogarci sulla pochezza di una certa contemporaneità e non solo.
In ultima analisi, l'opera di Blake non necessita di intermediari, come di intermediari non necessita l'azione illuminante del Simbolo che opera su ciascuno di noi in modo al tempo stesso potente e sottile, uguale e differente.
The world of men are like the numerous stars
That beam and twinkle in the depth of the night
Con questo ultimo intervento la rubrica prende una pausa estiva. Ci ritroveremo, se vorrete, a settembre.