giovedì 30 marzo 2017

Online la registrazione del convegno di Gallipoli. Con Mauro Cascio, Nuccio Puglisi, Francesco Bernabucci e Tiziano Busca



È disponibile online la conferenza del Rito di York di qualche giorno fa a Gallipoli. Francesco Bernabucci, Mauro Cascio, Nuccio Puglisi introdotti da Antonio Bove, con le conclusioni di Tiziano Busca. Buon ascolto.

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La foto: il Rito di York a Detroit nel 1890



Una foto storica, segnalata da Fortunato Gaudio. Una sfilata di alcune commende templari del Rito di York. Siamo a Detroit, intorno al 1890. Da notare la disposizione dei cavalieri: formano una spada, e non una croce.

Gnosticismo Storico: fra Nichilismo e Titanismo

di Filippo Goti



«Ciò che libera è la conoscenza di quello che eravamo, di ciò che siamo diventati; di dove eravamo, dove siamo stati gettati; verso dove ci affrettiamo, da dove siamo redenti; che cosa è nascita, che cosa è rinascita» (Exc. Theod. 78, 2).


Lo gnosticismo? Un'eterna conoscenza dal sapore amore, raccolta nell'effimero calice della vita.
Lo gnosticismo storico, per intenderci quello sviluppatosi nel bacino del mediterraneo nei primi due/tre secoli della cosiddetta era cristiana, attorno al grande quesito dell'uomo "attorno al perchè dell'esistenza e della fine delle medesima", offre una risposta che sembra discostarsi, ed in realtà lo fa, da quanto professato dai sistemi religiosi, sapienziali ed ermetici.

Lo gnosticismo al quesito del perché della vita e del perchè della fine di ogni vita, risponde non appellandosi al volere di un Dio che comunque opera per il bene delle sue creature, non suggerisce nessuna disubbidienza da parte dell'uomo che cagione il male e la morte, non rimanda a percorsi attribuitivi e retributivi tipici dei sistemi ermetici, non narra di meccaniche compensazioni karmiche e neppure di cause ed effetti più o meno diretti.

Lo gnosticismo risponde che la vita stessa oscilla fra l'errore e l'illusione e che il male non è frutto del libero arbitrio mal riposto dell'uomo. I Maestri della Gnosi, con spirito assolutamente radicale e con animo sovversivo, a gran voce, e con la forza della loro filosofia dell'essere, sottolinearono che se tutto quanto è limitato, caduco e malevole è insito nella creazione allora questo non è opera dell'uomo, che anch'egli è parte della creazione, ma del Creatore stesso.

Comprenderai amico mio diletto, che siffatta posizione è al contempo radicalmente nichilista e assolutamente titanica.

È nichilista in quanto nega la totalità degli aspetti apparentemente positivi insiti nella vita: i quali sono visti come ingannevoli ed inebrianti. «Avendo una volta vagabondato nei labirinti delle malvagità, la misera [Anima] non trova la via di uscita… Essa cerca di sfuggire all’amaro caos, e non sa come potrà liberarsene». (Salmo naasseno, Hippol. V, 10, 2).
Del resto, a ben pensare, non è forse vero che la totalità degli elementi che compongono l'insieme dell'esistente è condannato alla caducità e alla mutevolezza ? Le emozioni ci traggono fuori dal nostro centro interiore, e sovente quelle positive sono sostituite da quelle negative. Perchè qualcosa in noi necessità delle scariche, a prescindere di quale qualità siano, date da esse. Una miriade di pensieri cacofonici assiepa la nostra mente: quali di essi è autentico? Oscilliamo fra giudici di varia ed opposta natura nei confronti di identico oggetto. Niente è eguale a se stesso. La natura, nel corso degli eoni, si è sbizzarrita a dare vita a forme dove raccogliere l'elemento vitale. Forme sostituite da altre forme: come l'argilla dei vasi rotti viene recuperata dall'abile artigiano, così la materia organica viene recuperata per dare vita a nuovi contenitori e perpetuatori di vita.
L'uomo gnostico deve ringraziare per tale meccanicità?

È titanica in quanto l'uomo, finalmente settato dall'attesa della divina provvidenza e liberato dal gioco dell'idea di una natura benevola, torna in possesso del proprio destino e al governo della propria anima.  «La via che dobbiamo percorrere è lunga e senza termine» (G 433) (1); «Quanto vasti sono i confini di questi mondi di tenebre!» (G 155)
Quando l'uomo gnostico ha reciso ogni legame e ogni legato, in sé solamente può trovare, semmai sussistono e semmai è capace, quelle energie atte a porre in essere un dinamismo di ascesa e superamento dei limiti della condizione di uomo naturale. Egli è drammaticamente diverso dai suoi simili, in quanto cerca una conoscenza che è veicolo e forma di salvezza.

Ovviamente questa posizione di estraneità dello gnostico nei confronti della creazione, lo porta, sovente, ad un'inversione dei ruoli nella lettura dell'Antico Testamento. Dove i personaggi che si ribellano al Dio di questo mondo e alla sua creazione, sono visti come "eroi" e precursori dello gnosticismo. «Questo serpente universale è anche la Parola sapiente di Eva. Questo è il mistero dell’Eden: questo è il fiume che scorre dall’Eden. Questo è anche il segno con cui è stato marcato Caino, il cui sacrificio non fu accettato dal dio del mondo, mentre egli accettò il sacrificio sanguinoso di Abele perché il signore di questo mondo si diletta del sangue. Questo serpente è quello che apparve in forma umana negli ultimi giorni al tempo di Erode…».

Lo gnosticismo? Un'eterna conoscenza dal sapore amore, raccolta nell'effimero calice della vita.

La nube sul Santuario



Un altro classico in uscita per Tipheret. Questo libro è composto complessivamente da cinque lettere e da un’appendice. Il Santuario di cui in esse si parla, non è altro che il Santo dei Santi ovverosia il santuario interiore del tempio di Salomone. E la Nube che lo copre, è come una tenda che vela il santuario alla nostra vista; non per tenere la sua luce lontana da noi, ma per nasconderci misericordiosamente il suo fulgore perché nello stato attuale in cui noi siamo ci abbaglierebbe. Come von Eckartshausen afferma nella sua terza lettera, Dio e Natura non hanno misteri per i loro figli. Questi misteri sono causati dalla debolezza della nostra natura, incapace di sostenere la luce, perché non è ancora preparata a sopportare la luce casta della verità svelata.

mercoledì 29 marzo 2017

Il silenzio, la parola e i fatti. Speculativo e operativo. Potenzialità, virtualità ed effettività

di Ventamore



     Il Silenzio è preferibile alla Parola così come i fatti sono preferibili alle parole.
La migliore risposta alle parole è il silenzio, così come «la migliore vendetta è il perdono». Ma dobbiamo pur chiarire cosa intendiamo per «Parola», «parole» e «fatti».
Se il Silenzio è superiore alla Parola, esso lo è perché nei confronti di quella ne è il principio; allora può dirsi che nel silenzio risiede una certezza superiore che non nella parola, per cui può concludersi che se il silenzio appare meno «reale» della parola, esso è invece assai più reale, così come il non-manifestato è incomparabilmente superiore al manifestato. Se dunque il rapporto tra Silenzio e Parola è tale, può dirsi che il Silenzio è un «fatto», poiché esso si identifica col principio del Verbo, cioè con la Verità stessa.
Quanto alle «parole», esse  stanno alla Parola come quest’ultima sta al Silenzio. Pertanto, diremo che la Parola per eccellenza è un «fatto», mentre le parole, come vien detto nei testi ermetici, sono soltanto «rumore»: la Parola è il Verbo, le parole sono chiacchiericcio; la Parola è Realtà, le parole sono vanità.
La Parola è il Verbo discendente dall’Ordine divino per Cui si dispiega la manifestazione universale; le parole sono proferite dagli uomini, ed esse si differenziano secondo le intenzioni che le generano.
Se le parole sono propriamente ispirate da una intenzione aderente al Verbo, esse sono vere e, pertanto, sono un «fatto»; se invece non sono aderenti al Verbo o alla Verità, esse sono clamore disarmonico, quindi inganno e illusione.
«Chi non è con me, è contro di me», dice il Cristo, Avatâra eterno, ed egli dice pure: «La lingua parla per la sovrabbondanza del cuore».
Ma abbiamo parlato di intenzione, ed essendo questa una delle caratteristiche qualitative che più caratterizzano particolarmente l’essere umano in quanto tale (1), è nel merito di questa intenzione che intendiamo brevemente esplicitare.

L’intenzione (da in-tendere, tendere verso) è lo “strumento” proprio della ragione, dipendente dalla facoltà intellettuale che vi presiede, che l’individuo umano possiede e che  lo caratterizza e lo distingue da tutti gli altri esseri non-umani o di specie diversa che sono manifestati, quali “compossibili”, sullo stesso piano di manifestazione quale è il nostro.
Ora, se questa intenzione o tendenza (2), la quale è anche una «prospettiva», corrisponde al «retto intendimento», il quale è identico a quell’«intelletto  sano» indicato da Dante, l’azione dell’uomo viene ad esserne informata  e diretta al fine del superamento di determinate condizioni le quali, corrispondendo a delle limitazioni, costituiscono gli elementi disarmonici che si oppongono all’Armonia: questi elementi disarmonici sono precisamente quelli che la dottrina massonica designa come «metalli» o «vizi».
Considerati nella loro generalità, gli elementi disarmonici di cui parliamo e che l’individuo porta in se stesso, costituiscono ciò che la tradizione indù designa come adharma; Dharma essendo la Legge dell’Armonia in tutti i suoi aspetti, i quali discendono interamente dai princìpi metafisici e costituiscono il canone della perfetta ortodossia, la lettera a preposta ne è il prefisso di negazione; quindi il termine adharma designa l’insieme delle tendenze avverse che si oppongono all’equilibrio e all’Armonia.
René Guénon, nel suo studio Introduzione generale allo studio delle dottrine indù (Parte terza, cap. 5), dice: «[Adharma] non è affatto il « peccato » in senso teologico, né il « male » in senso morale, nozioni entrambe estranee allo spirito indù; è semplicemente la «non conformità» con la natura degli esseri, lo squilibrio, la rottura dell’armonia, la distruzione o il rovesciamento dei rapporti gerarchici».
Ricapitolando, possiamo affermare che ciò che qualifica l’azione è l’intenzione la quale ne è la «causa». Se quindi l’azione è mossa o generata  da una intenzione conforme all’ordine o al Dharma, essa non produrrà squilibrio; in altre parole, se un’azione non è generata da una mera intenzione                     «soggettivistica» (intenzione «deterministica», volta all’ottenimento del frutto dell’azione stessa), essa si innesta quale elemento armonico della realizzazione del Piano; tale azione, spogliata dal desiderio, potrà pertanto esser detta una non-azione e si identificherà, pertanto, con la superiore dottrina del non-agire.
Ma a questo punto si rende necessaria un ulteriore chiarimento, il quale è strettamente connesso all’intenzione di cui parliamo.
Vogliamo riferirci precisamente a ciò che nell’ambito della dottrina iniziatica della Libera Muratoria Universale viene designato come «operativo» e «speculativo», nel cui merito si sono manifestati degli spiacevoli quanto gravi equivoci sorti da una incomprensione di fondo.


Se la Massoneria è divenuta vieppiù «speculativa», in ciò deve intendersi che l’oggetto o lo scopo dell’iniziazione è divenuto via via sempre più obliato e come messo in ombra, fino anche, in certi casi, a scomparire del tutto; in tali condizioni sarebbe rimasta soltanto più una iniziazione virtuale; in altre parole, è venuta a mancare propriamente la «prospettiva» iniziatica e il fine o la mèta da raggiungere.


In termini «operativi», possiamo dire che è venuta a mancare proprio l‘intenzione; intenzione che sorge dalla vera quanto profonda aspirazione alla realizzazione iniziatica.
Ma se le cose stanno così, non è la Massoneria, nella sua essenza dottrinale e iniziatica, ad essere divenuta «speculativa», bensì è il punto di vista dei moderni Massoni ad essere, nella stragrande maggioranza, non più che «speculativo» o teorico.
In realtà, se è vero che normalmente l’iniziazione massonica dovrebbe essere supportata dalla pratica di determinati e ben definiti mestieri, quali quello dell’arte muratoria, è pur vero che ciò che è veramente indispensabile ed essenziale è soprattutto l’intenzione, la quale fa tutt’uno con la prospettiva esoterica  e  l’effettiva operatività iniziatica.
Parlare indefinitamente della «ricerca della verità» è speculazione; tendere «operativamente» ad elevarsi, per quanto possibile, alla Verità stessa è operatività.
Abbiamo voluto brevemente dire qualcosa in proposito ad un problema il quale sembra sia stato artificiosamente reso quasi inestricabile; d’altra parte, chi avesse la sincera intenzione di comprendere e non perdersi in chiacchiere, potrà trovare nella più che magistrale esposizione dottrinale di René Guénon tutta l’inesauribile abbondanza dei chiarimenti necessari, nonché quella effettiva «operatività» resa possibile dalla rivificazione insita nell’Opera stessa.
Ogni sforzo a comprendere queste cose non sarà mai vano e ogni scalino conquistato sarà sempre una «pietra miliare» dalla quale mai più si tornerà indietro. Tanto non ha nulla a che vedere con la disquisizione di ipotesi o di congetture; così come le semplici parole non possono saziare l’affamato, allo stesso modo tutte le indefinite chiacchiere sulla bontà dell’acqua mai potranno spegnere la sete dell’assetato. Non basta levar canti alla bella amata per lenire il desiderio del suo amore; bisognerà pur decidersi all’incontro per sublimare effettivamente l’incontro stesso.

Nell’uovo fecondato si sviluppa l’embrione del pulcino.
Poi giunge il momento che, per vedere finalmente la luce, egli becca con forza la scorza dell’uovo che lo imprigiona, fino a romperla e a uscirne fuori!
Queste non sono chiacchiere, ma fatti.
Possiamo dunque concludere dicendo che è proprio questa possibilità (Regnum Dei intra vos est) che, quantomeno potenzialmente, pone l’uomo al centro del Piano, che è il suo Mondo o stato dell’esistenza universale; egli infatti, per tale «centralità» non ha gli stessi limiti degli altri esseri i quali, più o meno periferici sullo stesso Piano di manifestazione, sono questi che in realtà si sintetizzano nell’uomo, poiché egli tutti li realizza nella sua natura propriamente «centrale» e profonda.

A conclusione di questa breve disamina, occorre precisare intorno alla considerazione deii tre gradi o stati principali costituenti l’integrazione gerarchica delle modalità nella realizzazione dell’essere umano:
I – La potenzialità: essa, in proporzioni indefinite, è comune a tutti gli esseri umani (ma pure a tutti gli altri esseri) nella loro generalità; naturalmente, questa potenzialità sarà tanto più evidente in quegli individui che manifesteranno una più o meno intensa aspirazione alla conoscenza. Pertanto la più evidente potenzialità può essere considerata come una vera e propria qualificazione intellettuale o iniziatica capace di condurre l’essere umano all’acquisizione della conoscenza, teorica o effettiva.
Questa potenzialità, se è permesso dire, può essere paragonata alla qualità di una pianta che pur essendo bella e vigorosa, in atto non è però suscettibile di dare alcun frutto. A tale similitudine può essere anche accostato l’esempio di un uovo che non è stato fecondato.    
II – La virtualità: essa corrisponde allo stato dell’uomo qualificato che ha ricevuto l’iniziazione: l’individuo umano, nella pienezza della sua attuale coscienza, è stato così ricollegato ai princìpi sopra-umani o agli stati superiori dell’Essere; egli ha così accettato il «Patto» con il Principio Supremo;  un germe luminoso è stato posto nel suo cuore: un’influenza spirituale l’ha penetrato e pervaso, e un infallibile insegnamento sacro lo guiderà sulla Via.
La virtualità può dunque essere paragonata a quella pianta di cui sopra che, scelta dal Maestro Agricoltore (ricordarsi che Adamo è detto pure il «Custode del Giardino»), viene liberata dalle sterpaglie che la soffocano; quindi viene troncata  al punto dovuto, ed in essa viene innestato un virgulto capace, con tutte le cure dovute della Maestria, di svilupparsi e di fruttificare. Allo stesso modo, potremmo dire di un uovo fecondato il quale,  covato e custodito, è ora suscettibile di sviluppare il pulcino.
III – L’attualità: essa corrisponde al lavoro iniziatico effettivo o alla effettiva operatività nell’avanzamento sulla via della conoscenza iniziatica. Seguire dunque la Via corrisponde alla attualizzazione; cosicché, ciò che prima era soltanto una virtualità, ora, nel suo pieno ed armonico sviluppo, diviene attuale o, in altre parole, ciò che prima era una conoscenza soltanto teorica, essa diviene man mano effettiva o reale.
Tale processo iniziatico conduce quindi alla Realizzazione, la quale è la ragione profonda, lo scopo vero e il fine ultimo e supremo dell’essere.
Seguendo ancora una volta i precedenti esempi, possiamo dire che questa terza fase di attualizzazione corrisponde alla fruttificazione dell’albero, così come al completo sviluppo del pulcino.
Tuttavia, a ben considerare, occorre precisare che la Realizzazione vera e propria corrisponde in vero ad una  quarta “tappa” del processo iniziatico. Essendo infatti la Realizzazione ben al di là della sequenzialità dello sviluppo in quanto tale, il suo dominio si pone, per così dire, fuori dalla serie del concatenamento degli indefiniti stati dell’essere; ed è così per il fatto che la Realizzazione tutti ormai li contiene e li sintetizza nella sua onnicomprensiva realtà principiale.

Volendo insistere sulla similitudine dell’uovo e del pulcino in esso sviluppato, potremmo dire che a questa quarta “tappa” corrisponde l’uscita del pulcino dall’involucro che lo trattiene. Ciò che corrisponde alla effettiva uscita dal Cosmo e all’avvio verso gli stati superiori dell’Essere.
Così come, analogicamente, un bambino o un pulcino nascono (nel Cosmo), questa “liberazione” dall’involucro corrisponde anche all’«uscita dalla caverna» e quindi, per l’iniziato, all’uscita dal Cosmo stesso.
Ma questo è un punto che non possiamo affrontare in questa sede; potremmo forse invitare ad una riflessione su cosa sta, nel Tempio, rispettivamente sotto e sopra la «cornice» che delimita i «nodi» zodiacali dal Cielo stellato.
Diremo comunque che l’intero processo iniziatico, procedendo in senso inverso a quello dello sviluppo ciclico della manifestazione, è simboleggiato, in tutte le tradizioni, dal cerchio, dal suo centro e dai raggi che da esso si dipartono: se «prima» (ovvero dal punto di vista della manifestazione) il centro sembrava come essere contenuto dalla circonferenza, «dopo» (cioè dal punto di vista della Realizzazione o del Principio) viene finalmente compreso che in realtà è la circonferenza ad essere contenuta dal suo centro, il quale la genera, e che solo in virtù di esso (che ne è l’essenza e la causa prima) è possibile la manifestazione della circonferenza la quale, con la moltitudine indefinita dei suoi piani generati dal Punto Centrale Supremo, realizza la globale realtà della manifestazione universale.
Questo è un «fatto» così vero, che se così non fosse non potremmo essere   qui a parlarne e a poter riconoscere l’infinità del Supremo «Luogo Primo» da Cui in verità veniamo e a Cui ritorneremo.
Vincit Omnia Veritas.


1) – Notiamo appena che, pure se «istintivi» e periferici, certi aspetti dell’intenzione possono similmente riscontrarsi negli animali; se, per esempio, viene dato un pesce a un gatto, questi lo mangia tranquillamente sul posto; se invece lo stesso gatto «ruba» un pesce, porterà via di corsa quanto ha sottratto, e andrà a mangiarlo di nascosto. Una tale modalità comportamentale, più o meno riscontrabile nel regno animale, sarebbe suscettibile di diverse analoghe considerazioni in merito all’effettiva «buona fede» nell’agire degli uomini.  

2) – Al riguardo è della massima importanza segnalare lo studio dei tre guna, specialmente su:  Introduzione generale allo studio delle dottrine indù (Parte III, cap. II); Il simbolismo della croce (specie il Cap. V); La Grande Triade, Cap. XXII, di René Guénon.  

martedì 28 marzo 2017

L'alchimia speculativa nel terzo millennio

di Nuccio Puglisi





L’alchimia, nonostante l’enorme materiale e il gran numero di studiosi che l’hanno analizzata ed interpretata da vari punti di vista, anche tra loro opposti, è rimasta nella sostanza un “mistero”.
Al giorno d’oggi la definizione che molti scienziati danno dell’alchimia è che essa sarebbe stata il primo embrione, rozzo e fantastico della scienza che verrà poi chiamata chimica ed i successi ottenuti dagli antichi alchimisti, quali la scoperta della potassa caustica, del fosforo, dell’ossido di stagno etc sono stati dovuti esclusivamente all’inesauribile laboriosità di quest’ultimi che a forza di bruciare e mescolare composti a casaccio, ottennero inevitabilmente dei risultati.
Sarà meglio spiegare una volta per tutte che alchimia e chimica non hanno nulla in comune, neppure dal punto di vista della derivazione storica di una dall’altra. Sono due concezioni della realtà distinte ed autonome; la sola cosa che le avvicina è l’azione sulla materia degli elementi o dei composti chimici, per il resto il rapporto che esiste tra loro può essere paragonato, e sempre approssimativamente, a quello che c’è tra pittura e fotografia.
La differenza tra chimica, come disciplina delle scienze naturali e l’alchimia, consiste nella diversa concezione della natura.
L’alchimia asseconda la natura per quanto spetti proprio all’alchimista il compito di portarla a compimento; il chimico, invece, considera la natura una specie di “cava” il cui materiale grezzo è utilizzabile e sfruttabile a volontà.
All’alchimia, in quanto improntata alla sintesi, lo smembramento dei corpi in parti sempre più piccole non interessa; il suo interesse è diretto al perfezionamento delle sostanze.
La chimica è basata essenzialmente su una concezione analitica, il suo interesse è diretto alla composizione delle sostanze.
La moderna chimica ignora l’aspetto immateriale della natura e trascura il fattore qualitativo a favore di quello quantitativo.
L’intelligenza nello studio dei trattati di alchimia sta non nella presunzione di trovare un senso chiaro e razionale nei suoi testi, ma studiarli come se si trattasse di una lingua sconosciuta e l’arte di questi autori sta nell’avere creato parole e figure direttamente comprensibili da qualsiasi individuo provocando quella illusione immediata di comprensione che deve provocare un criptogramma ben composto.
Geber nel suo Libro del Mercurio orientale scriveva: «In realtà vi è accordo tra gli Autori, benchè per i non iniziati sembri esservi divergenza»; e la Turba Philosophorum così si esprimeva: «Qual pur sia il modo con cui i filosofi ermetici hanno parlato... essi sono tutti d’accordo, e dicono le medesime cose ... chè noi siamo tutti d’accordo, qualunque cosa diciamo».
I Figli di Ermete sembrano quindi avere perfetta coscienza di dire tutti la medesima cosa al di là delle apparenze; e ciò li induce a ripetere orgogliosamente il loro motto: quod ubique, quod ad omnibus et quod semper. Ovunque la medesima verità: ed il Saggio sa subito riconoscerla pur sotto i veli dei differenti linguaggi.
Se gli alchimisti parlano, allora, la stessa lingua e nelle loro opere mandano messaggi a coloro che sono in grado di capirli è indubbio che quest’ultimi possiedono la chiave necessaria alla comprensione di questo linguaggio attraverso qualche modalità differente dalla tradizione scritta.
Nessuno può avvicinarsi all’Alchimia e comprenderne il messaggio se non è in qualche modo “chiamato” a seguire il percorso iniziatico.
È bene fare, a questo punto, una doverosa differenza tra il concetto di iniziazione e di vocazione. La vocazione si manifesta con l’immediata comprensione della terminologia ermetica e con l’intuizione dei segreti alchemici, un dono ritenuto divino.
L’iniziazione, invece, ha luogo sotto forma di trasmissione diretta (maestro che insegna all’allievo) o indiretta (l’opera di altri alchimisti). L’iniziazione può avvenire anche attraverso una serie di eventi che tra loro non hanno alcuna correlazione ma che portano la persona poco per volta, attraverso scoperte successive, ad accumulare conoscenze ed esperienze necessarie ad intuire le verità alchemiche.
Risulta, quindi abbastanza evidente perché la maggior parte degli alchimisti non ha ritenuto né utile né necessario esporre con chiarezza i principi e le pratiche alchemiche: solo chi è iniziato o chiamato per via quasi soprannaturale potrà accedere alla scienza segreta, mentre gli altri che non sono ritenuti degni, ne rimarranno esclusi.
L’alchimia, trattata dal punto di vista spirituale ha come fine l’ascesi dell’operatore verso le vette più elevate della conoscenza.
Ascesi spirituale: ossia la capacità di domare il proprio Io egoistico inferiore, e di mettersi totalmente al servizio dei propri simili, unicamente permeati da un possente afflato di Amore; capacità dunque, di trasmutare da quella condizione individuale che è propria di chi vive nel mondo del divenire, in quella superindividuale prima (compimento del Piccolo Magistero) e poi in quella impersonale con cui si perfeziona il Grande Magistero.
Sono queste le tre fasi dell’Opera che gli antichi alchimisti mediante varie allegorie hanno definito fasi al nero, al bianco e al rosso.
L’alchimia viene definita “Arte Reale” ma si può dire anche “Arte Sacra”, perché nelle pratiche che si devono necessariamente seguire per superare queste fasi, vi è qualcosa di sovrumano che sfugge ad ogni definizione e che l’ignoranza di molti interpreta come una serie di procedimenti di magia nera o nella migliore delle ipotesi “esoterismo pericoloso”, non capendo che colui che segue questa via deve sottoporsi ad una serie di privazioni aiutandosi con la preghiera.
L’Alchimia nei suoi più alti aspetti si occupa della rigenerazione spirituale dell’uomo, ed insegna come un “dio” possa svilupparsi da un essere umano o, per esprimermi in maniera più chiara, come stabilire quelle condizioni necessarie allo sviluppo dei poteri divini nell’uomo, in modo che un essere umano divenga un “Dio” per il potere di Dio, nello stesso modo in cui un seme diventa una pianta con l’aiuto dei quattro elementi e l’azione di un invisibile quinto elemento.
La Grande Opera alchemica mira a creare le condizioni per consentire al soggetto di superare i propri limiti, attivando le proprie intrinseche potenzialità spirituali.
L’anima può passare dallo stato caotico grave, rappresentato dal piombo, attraverso una purgatio, al “sole interiore”, la perfezione spirituale della coscienza, la “luce solidificata” rappresentata dall’oro.
La trasformazione della personalità, in quanti si sono realizzati, consente i più alti poteri spirituali e materiali ed è per questo motivo che potremmo chiamarla “Arte Sacra” e che, come tale, richiede un processo iniziatico.
Prima che una persona possa compiere delle meraviglie sul piano fisico, la sua volontà deve prima divenire autocosciente dentro di sé; la luce che brilla dal centro del suo cuore deve divenire vivente onde agire su quelle sostanze che entrano nell’opera di trasmutazione alchemica.
Le qualità ed i poteri di quella luce, o anche la sua esistenza sono ignorate assolutamente dai cultori delle cosiddette “scienze ufficiali”, ma sono descritti, sotto il velame simbolico, nei libri sacri di tutti i popoli.
Nell’esposizione delle fasi della Grande Opera trova inveramento un mito antico e misterioso come quello dell’Androgino.
Sin dalle più antiche civiltà, il simbolo dell’Androgino appare come schermo ancestrale della coesistenza di tutti gli attributi dell’esistente nella Unità divina ed in quella dell’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio. L’idea di una divinità androgina è feconda di stimoli cognitivi in quanto ci rimanda al concetto di autosufficienza analogo alla concezione secondo cui tutta l’esistenza proviene da una unica fonte.
Nelle dottrine gnostiche, l’androginia è presentata come lo stato iniziale che deve essere riconquistato. Uno dei principi fondamentali dell’arte alchemica è definito in tre parole: en to pan cioè “nell’uno è il tutto”.
Questa visione unitaria del Tutto, presuppone la fondamentale unità dell’universo e quindi totalità risulta essere sinonimo di completezza o di compiutezza a tutti i livelli.
A livello cosmologico il raggiungimento di questa unità trova la sua espressione nella scoperta che il singolo è parte attiva dell'universo: la relazione armonica che lega l'individuo all'universo è una relazione di interdipendenza e di interazione. A livello umano l'unità del tutto implica che anche psichicamente l'individuo sia un essere umano completo, cioè tanto maschile che femminile, mentre il sesso biologico di ognuno è determinato dalla predominanza di uno dei due principi sull'altro. A livello psicologico la frattura causata dalla divisione del Sé guarisce quando si raggiunge una armoniosa integrazione dialettica degli aspetti maschili e femminili.

Le fasi dell’Opera.
La prima fase, detta al Nero, consiste nell’affrontare e vincere una metaforica battaglia con colui che custodisce la porta del tempio della verità.
Chi è questo “Guardiano della Soglia?”
Il Guardiano della soglia, il drago nel simbolismo medievale, non è altro che il nostro sé inferiore, quella combinazione di principi materiali e semi materiali costituenti l’ego inferiore, che la grande maggioranza degli uomini amorosamente e ciecamente blandisce ed accarezza, a cagione dell’amore di sé. L’uomo non vede le sue vere qualità finchè è attaccato alla sua natura inferiore, se fosse altrimenti ne sarebbe, forse, disgustato: ma quando tenta di penetrare nel recinto del paradiso dell’anima, quando la sua autocoscienza incomincia ad accentrarsi nel suo Sé superiore, allora il Guardiano della Soglia diviene oggettivo per lui, ed egli può essere terrorizzato dalla sua (in verità, la propria) bruttezza e deformità.
La fase al Nero si compie in maniera graduale ed in un periodo di tempo che può essere anche molto lungo poiché le passioni non possono essere eliminate tutte insieme ma poco per volta
In questo stato di ridotta attività di coscienza (ridotta perché abbiamo imposto alle nostre forze mercuriali di non far caso ai messaggi trasmessi dal nostro Corpo Fisico) può accadere di tutto.
In questo stato che potremo definire al limite tra la vita e la morte, in quanto cominciamo a perdere contatto con la realtà materiale e a percepire quella spirituale che, non dimentichiamo è popolata sì da Angeli ed entità benefiche, ma anche da demoni e larve, può succedere che ci prenda una crisi di panico per la perdita di un punto di riferimento al quale eravamo abituati e che ci dava sicurezza; è come se precipitassimo in un vuoto sconosciuto, una paura tale da indurci in tentazione di abbandonare tutto.
Gli antichi alchimisti descrivevano questa “prova del vuoto” dicendo che il Leone Rosso, cioè il selvaggio istinto di conservazione dell’Io animale che credevamo di aver ucciso, si ripresenta riaffermando il suo primitivo potere, altri invece parlano di vortici che risucchiano o di correnti che trascinano per sottrarsi ai quali, il neofita terrorizzato, altro non desidera che riprendere il familiare contatto con l’elemento Terra, riportandosi, in tal modo allo stato iniziale.
È la resa, la rinuncia a progredire oltre, sulla via dell’Arte.
La paura, ogni paura è, per l’Alchimia, il nemico più terribile dell’evoluzione e della vita stessa, per cui combattere la paura che il nostro “guardiano” ci presenta, in ultima analisi significa compiere una scelta di VITA, per la vita.
Questa è la scelta che la Viriditas ci pone di fronte. Scegliere tra le nostre paure e la vita: crogiolarsi come “Dei mai nati” nell’alveo mercuriale acqueo ed uterino che “protegge” le nostre paure dalla loro trasmutazione oppure “trarle fuori” da esso per “nascersi”, trasmutando queste paure in conoscenza di vita.
Come si evidenzia, quindi, la via da percorrere è costellata da ostacoli ma soprattutto è importante che chi si presenta alla soglia del “Tempio” deve essere in condizioni di perfetto equilibrio psico- fisico in quanto questo percorso comporta al neofita impreparato una serie di scompensi mentali irreversibili.
Riassumendo, occorrerà sostituire con estrema gradualità quelle quantità di egoismo e di preoccupazione materiali che man mano vengono lavate via, con corrispondenti quantitativi di desiderio di ascesi e di brama di Dio; e man mano che queste gocce di rugiada celeste penetreranno nella nostra Terra saturandone i pori, rendendola sempre più coerente e compatta, noi diverremo sempre più forti. Tutto sta nel tenere a freno il Leone Rosso (Io egoistico) stancarlo, fino a ridurlo in uno stato di debolezza: allora avremmo vinto e la prova del vuoto non ci farà più paura. Per riuscire ad uscire vittorioso nella prova del volo del Drago, secondo un vecchio assioma ermetico occorre “uccidere allo stesso tempo che farsi uccidere” il che significa che mentre si uccide il Corpo (mentre lo si mortifica con la Fase al Nero) occorre anche uccidere lo Spirito, e cioè fissarlo affinchè non sfugga dalla prigione del Corpo.
È questa la fissazione filosofica del Mercurio.
Si apre così il passaggio dalla nigredo all’albedo.
Sulla porta ermetica di Piazza Vittorio a Roma è scritto: “Quando in tua domo nigri corvi parturient albas columbas, tunc vocaberis sapiens. (Quando nella tua casa i neri corvi partoriranno le bianche colombe, allora ti chiamerai sapiente).
Non c’è religione o mitologia che non abbia parlato diffusamente di questa prima trasmutazione, del miracolo di una componente fisica, materiale, che, assoggettata al fuoco di una pura e forte Volontà giunge a sublimarsi fino a formare un tutt’uno con quel flusso di Amore che permea l’intero Universo.
Dal punto di vista psicologico, l’albedo indica la condizione di veglia perenne, l’estasi attiva, come chi dormendo non dorme. In questa dimensione bisogna coinvolgere anche la corporeità, in modo che anch’essa venga trasfigurata dal nuovo stato di luce.
Occorre riconvertire (solve) il corpo in spirito; e corporizzare lo spirito (coagula). A questo punto si sono verificate le condizioni per l’immortalità. Non c’è più la prevalente dipendenza dalla fisicità, ma un armonico equilibrio psicosomatico che ha come centro l’energia vitale.
Albedo è la scoperta della natura androgina dell’uomo.
Quando l’uomo discese nel mondo fisico, entrò un mondo di dualità. A livello fisico ciò si manifesta attraverso la differenziazione dei sessi. Ma il suo spirito è ancora androgino, contiene la dualità nell’unità. La sua unità non è legata allo spazio, al tempo o alla materia. La dualità è una caratteristica del nostro mondo fisico. È transitoria e infine cesserà di esistere. Quando maschio e femmina saranno di nuovo uniti si avrà l’esperienza del vero Sé. Il conscio e l’inconscio saranno completamente uniti.
Il raggiungimento della consapevolezza, dell’autocoscienza, implica la scoperta della propria androginia. Consapevolezza ed androginia sono le due qualità essenziali delle divinità. Inoltre, dato che consapevolezza ed androginia implicano perfezione, la divinità è anche immortale. La divinità è immortale perché androgina, è immortale perché l’immortalità è attributo della perfezione e la perfezione, a sua volta, implica una personalità in-divisa. La persona che ignora la propria duplice natura funziona con una sola metà del suo essere, la sua personalità è scissa ed egli vive in uno stato di miseria spirituale. Al contrario, chi prende coscienza della propria personalità duale condivide le qualità del divino
L’albedo avviene quando il sole sorge a mezzanotte. È un’espressione simbolica che rappresenta il sorgere del sole nel profondo del buio della nostra coscienza. È la nascita di Cristo nel cuore dell’inverno. Nel profondo di una crisi psicologica, avviene un cambiamento positivo.
Nella fase al Bianco l’uomo si trova libero dal peso di ogni impurità terrestre; si trova in uno stato di purificazione passivo, femminile, lunare o argenteo che dir si voglia.
Questo ancora non è sufficiente bisogna procedere oltre, salire ancora un gradino fino a conquistare la gloria della purificazione attiva, solare, maschile fino a tracciare l’intero segno della Croce, aggiungendo il tratto verticale maschile al precedente tratto orizzontale femminile.
Il successivo passaggio porta alla rubedo, allo splendore del Sole allo Zenith, il fuoco cosmico, l’amore universale che abbraccia nutre e riscalda la coppia sacra.
Qualcuno potrebbe domandarsi: come sono possibili tutte queste trasmutazioni, come può il corpo fisico pesante, materiale, essere reso uguale prima allo spirito e poi all’anima?
Il segreto è tutto in quel Dogma dell’Unità che dice Omnia ab Uno et in Unum omnia (tutte le cose provengono dall’Uno e all’Uno tendono). La Materia è una e trina nella sua essenza e trina nella forma (Sale, Mercurio e Zolfo). E una nel suo amore verso Dio, trina nella sua manifestazione.
Ognuno di noi è uno in sé e per sé; ma, se non ha la forza di conoscersi, di scendere dentro se stesso per liberarsi da tutte le impurità, se preferisce, perché è più comodo, ricercarsi sul volto degli altri, allora non sarà più uno, ma una molteplicità: tanti quanti sono gli altri in cui si riflette.
Anche la fase al rosso ha le sue difficoltà, la così detta Prova del Fuoco che consiste nell’uccidere (calcinare) totalmente il nostro Io egoistico, sopprimendone le minime pulsioni, forgiare un nuovo Io, totalmente puro, solare capace di agire unicamente nell’interesse degli altri; ed è proprio questo totale annientamento di se stessi, questo riconoscersi unicamente in ciò che si è donato, che costituisce la gloria ed il trionfo dell’Opera.
Eccoci giunti alla riconquista della condizione edenica primordiale, il buon luogo (eu-topos) che però, nel mondo profano non c’è: (ou-topos – luogo che non c’è), ossia l’utopia da realizzare, dove il bene si compie: l’utopia ermetica.
È il buon luogo dove il microcosmo è l’immagine del macrocosmo, ove l’uomo (sviluppa in atto) la sua potenziale originaria androginia, la sua genetica somiglianza a Dio.
La ierogamia si è compiuta. i due Principi, uniti e fusi, non conservano più niente della propria vecchia sostanza e identità, ma la perdono e la trasmutano, “perdendosi” nell’altro, diventando Unità, manifestando il Tre. La perfezione divina.
Ma quale dovrebbe essere il prodotto di questo Matrimonio Sacro?
La Cristificazione del Corpo, la spiritualizzazione di quel Corpo che, attraverso la materializzazione dello Spirito, diventerà e, soprattutto, trasfigurerà in Corpo di Luce!
Le forze magnetiche polari, durante tutto il processo operativo, “lottano” interagendo continuamente tra loro, alternando nel corpo dell’operante il flusso elettrico, da carica positiva a negativa e viceversa.
Da stato ricettivo ad intuitivo e da intuitivo a ricettivo.
Nello “scontro-amplesso” di queste forze magnetiche di natura psico-fisica si genera una corrente energetica e spiraliforme che risveglia il Serpente di Fuoco Kundalini posto alla base della colonna vertebrale, attraendolo verso l’alto, attraverso l’albero della Vita a cui si attorciglierà e che lo condurrà, verso il luogo di quel giardino originale al cui albero ricollocherà il “frutto”, trasformandosi nel serpente alato, dispensatore di vita e di verità!
Ecco attivata la Croce Cosmica e il canale, Axis Mundi, tra Malkuth (il regno - la decima sefirot dell’albero cabalistico) e Kether (la corona – prima sefirot ), che squarcia il velo del Tempio del Corpo dell’Uomo aprendo la porta segreta dell’Ain Soph, dove dimora la Maestà Divina.
Tale processo, provocherà all’interno della volta celeste, della calotta cranica, una tempesta magnetica che genererà il “fulmine” che metterà in relazione i due lobi cerebrali, destro (femminile) e sinistro (maschile), attivandoli reciprocamente e rendendoli un tutt’Uno.
In questo modo le due parti del cielo saranno nuovamente riunite e da esse, dopo il fulmine si genererà il Tuono sotto forma di Verbo.
È così che, allora, il Logos discenderà nel Tempio del corpo e dal “cielo” farà piovere la Shekinah divina, irrorando tutto il corpo con la Luce della Sorgente Universale..

Qabbalà e Alchimia



Qabbalà e Alchimia, generalmente, vengono visti come due sistemi indipendenti che non hanno granché in comune, invece sono strumenti di una stessa forma iniziatica di Conoscenza che cerca di illuminare la Via per arrivare alla Sapienza, una via lunga e complessa di autocoscienza e trasformazione, che porta alla Conoscenza di Sé e alla liberazione dell'uomo dalle contraddizioni fondamentali della vita, di cui la trasmutazione dell'oro vile nell'oro filosofale è solo una metafora.
Avremo modo con questo nuovo libro proposto da Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno, di approfondire le diverse Vie che portano all’Uno – la Via della devozione, la Via dell’Eroe e la Via dell’Arte reale – utilizzando gli insegnamenti del Sefer Yetzirà per spiegare simboli e glifi necessari alla Rettificazione dell’Uomo e alla sua Reintegrazione, soprattutto tenendo ben presente che siamo in presenza degli echi della Scienza tradizionale divenuta, sul finire del Medioevo, Tradizione segreta ermetico-alchemica-cabalistica, in cui ritroviamo gli insegnamenti fondamentali di una visione simbolico-magica della Natura. Prossimamente in libreria.

lunedì 27 marzo 2017

Successo per il convegno del Rito di York

Una grande partecipazione di pubblico alla rotonda del Lido di San Giovanni, a Gallipoli, per il convegno «Sulla via dell'anima». Antonio Bove ha introdotto i due relatori, Mauro Cascio, autore de «Umberto Eco e la Massoneria» e curatore di decine di opere di svariati autori (tra cui l'«Ecce Homo» di Saint-Martin e il culto cognitivo di Rudolf Steiner) e Nuccio Puglisi, curatore tra l'altro del «Mutus Liber» in una recente edizione. Si è parlato di Tradizione, e di come la Sapienzialità si sia declinata nel mondo ebraico, con la Qabalah, e più in generale nel mondo occidentale, con l'Alchimia. Sono queste le due principali eredità della moderna Massoneria. È intervenuto anche Francesco Bernabucci, mentre le conclusioni sono state affidate a Tiziano Busca (autore di «Rito di York. Storia e metastoria). Era presente uno stand di Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno con i volumi di cui si è fatto cenno.








Tiziano Busca in visita alla casa massonica di Gallipoli

«Il Rito di York è ricerca e presenza. Ricerca di senso, per l'iniziato che nella nostra Tradizione sapienziale riesce a ritrovare il filo rosso che tutto lega. Presenza perché è un lavoro collettivo, che tutti riguarda. Da qui l'importanza della condivisione, come dello stare bene tra Fratelli». Lo ha detto il Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dell'Arco Reale del Rito di York in occasione della visita nei locali della casa massonica di Gallipoli.







Iniziativa del Capitolo Makeda, con il Concilio G. d'Arimatea e la Commenda Le Serpent Rouge

Un'altra bella pagina per il Rito di York. Si è svolta a Gallipoli, in un ambiente suggestivo, una iniziativa rituale curata dal Capitolo Makeda, dal Concilio G. d'Arimatea e della Commenda Le Serpent Rouge. Erano presenti il Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei Maestri dell'Arco Reale Tiziano Busca, con il Gran Sagretario Almerindo Duranti, il Gran Maestro del Gran Concilio dei Massoni Criptici d'Italia Mario Pieraccioli  e l'Eminentissimo Gran Commendatore della Gran Commenda dei Cavalieri Templari d'Italia Guido Vitali, il Presidente dell'Alto Sacerdozio Mauro Luzi.


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Don Ciotti chiede scusa

don Luigi Ciotti

Una lettera  e una telefonata  cordiale con il Gran Maestro Bisi per chiarire la sua uscita forte sulla Massoneria e dare la disponibilità per un prossimo incontro in cui parlarsi senza pregiudizi. Don Luigi Ciotti l’ha scritta e vergata di suo pugno inviandola al Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia. Il prelato, fondatore di Libera, ha voluto precisare che il suo riferimento alla Massoneria, nel corso della manifestazione di Locri,  riguardava la realtà emersa nel corso dell’operazione Gotha, il cui processo penale si sta svolgendo a Reggio Calabria.
Don Ciotti ha voluto sottolineare come nella concitazione del momento sia stata una sua mancanza non precisarlo e si è detto dispiaciuto dell’equivoco.
Ha inoltre voluto ribadire nella missiva di essere solito sottolineare l’importanza di affrontare i problemi in modo attento e approfondito, evitando le generalizzazioni.
Ha scritto pure che è importante per la massoneria così come per ogni associazione – incluse quelle antimafia – vigilare sulle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata, sempre più diffusa e sempre più capace di nascondere la sua presenza sotto mentite spoglie.

Fonte: GOI

giovedì 23 marzo 2017

La notte della democrazia. Il Gran Maestro risponde a don Ciotti: «La Legalità non ha bandiere»



A Don Luigi Ciotti

Le parole che ella ha pronunciato a Locri hanno profondamente offeso e indignato migliaia di liberi muratori e persone perbene che nulla hanno a che fare con le mafie che lei associa con disdicevole certezza e libera facilità d’espressione tout court alla Massoneria.

Le devo sinceramente dire che quella sua frase sulla massoneria accostata alla n’drangheta, alla corruzione e all’illegalita’ mi ha personalmente ferito come uomo e come massone del Grande Oriente d’Italia, Istituzione e scuola etica-iniziatica la cui storia e i cui meriti per l’affermazione della Libertà,  dei diritti dell’Uomo, la nascita dello Stato Italiano e della Repubblica sono state ampiamente riconosciute e vivono nei valori e nella grande ed alta considerazione di tanti Italiani non tutti appartenenti alla Libera Muratoria che lei ha messo sui roghi della più odiosa inquisizione.

Dal suo pulpito calabrese e con un populismo di facile presa Lei ha arringato la folla ed attaccato gli appartenenti alla Libera Muratoria come delle persone che non fanno parte della categoria buona del Paese ma della componente cattiva secondo quella che è la sua idea profondamente e vergognosamente sbagliata degli ideali e dei principi filantropici e umanitari portati avanti da 300 anni dai massoni in tutto il Mondo.

Mi spiace e sono deluso che una personalità del suo calibro si metta in prima fila fra i tanti, facili opportunisti e professionisti dell’Antimafia e che inneggi pure lei alla caccia alle streghe che qualcuno ha voluto forzosamente mettere in atto e che qualche altro utilizza e sbandiera come paladino della più totale legalità.
Sono deluso perché un simile affronto alla dignità ed alla lealtà di tanti uomini che affermano i principi di Libertà-Uguaglianza-Fratellanza sia venuto da un prete, cioè da chi dovrebbe unire gli uomini, anche se hanno visioni diverse o divergenti, non soltanto per la sua missione spirituale.

Invece, carissimo Don Ciotti, se mi permette di chiamarla così senza livore e senza alcuna ironia, lei con le sue provocatorie parole ha soltanto diviso, ha scavato un profondo solco fra italiani e italiani, fra calabresi della stessa generosa e martoriata terra, di un Sud di cui e’ facile parlare sempre male senza poi risolvere i problemi di quella terra.

In base al suo pregiudizievole assunto chi è massone non può rientrare nella folta schiera degli angeli che lei ha iscritto di diritto nel suo personale libro della purezza assoluta e della vera ed insindacabile Legalità condannando a destra ed a manca chi fa parte di una nobile associazione di uomini liberi e che, il sottoscritto lo ha dichiarato pubblicamente all’Antimafia, sono pronti a dare la vita per la cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro. Come sono pronti a combattere da sempre contro la malavita organizzata.
Caro don Ciotti, noi che siamo tolleranti e pazienti, che non siamo supponenti e che non ci scagliamo avventatamente contro nessuno, siamo uomini che hanno un’alta considerazione di tutti gli altri uomini e che ascoltano e aiutano il loro prossimo. Ha mai sentito qualcuno di noi attaccare la Chiesa di fronte ai numerosi e preoccupanti casi di pedofilia di tanti sacerdoti? Forse qualcuno ha chiesto le liste dei sacrestani calabresi di fronte all’indagine su un noto prelato coinvolto nelle inchieste di Reggio?
Qualora non lo sapesse, o lo avesse dimenticato, la invito a chiedere anche alle istituzioni della sua Torino chi sono i massoni e cosa fanno per l’Umanità. Asili notturni, vuol dire pasti caldi e cure dentistiche ai bisognosi e agli indigenti. Vuol dire Solidarietà che noi facciamo generosamente non certo per coprire le nefandezze che Lei pensa possano appartenere alla massoneria.

Ma perché i liberi muratori sono uomini di pensiero e di cuore. Che regalano le tende per dormire ai giovani operai africani che lavorano la terra a Campobello di Mazara e la luce per illuminare il campo di calcio dei ragazzi terremotati di Norcia.

È per tutto quello che facciamo, nella maggior parte dei casi sempre in silenzio, che non possiamo permettere a nessuno di offendere la nostra dignità usando un linguaggio e dei luoghi comuni che sono opposti a quella che dentro e fuori i Templi è la nostra sublime Opera.
E, siccome, pur offesi nell’animo, non portiamo rancore nei confronti di nessuno, e siamo convinti che anche il più acerrimo avversario può redimersi, La invitiamo sin d’ora ad incontrarci. La invitiamo a partecipare con noi, domani, alla cerimonia delle Fosse Ardeatine dove ricorderemo i morti dell’eccidio nazista fra cui vennero barbaramente uccisi diciannove fratelli massoni.

La invitiamo a sfilare insieme a noi contro la malavita organizzata, che non deve avere bandiere, colori, coalizioni ma essere un monito costante di tutti i liberi cittadini italiani. Fra i quali ci sono certamente anche i fratelli del Grande Oriente d’Italia.

Con cordialità

Il Gran Maestro
Stefano Bisi

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mercoledì 22 marzo 2017

Nostalgia gnostica

di Filippo Goti



È facile per il lettore esaltarsi nella meraviglia, o sprofondare nello sconforto, innanzi ai raffinati miti gnostici. Le elaborate teogonie, le machiavelliche cosmogonie, gli oscuri nomi, gli eoni infedeli, le suicide missioni salvifiche, sono gli ingredienti comuni ad ogni scuola e comunità gnostica, realizzando così un intricato, quanto raffinato, ordito per mente e anima.  All'estraneo, al curioso, potrebbe sembrare che nessuna di queste fratellanze gnostiche cristiane avessero pace, fino a quando non si differenziava rispetto alle altre per qualche peculiarità, per un nuovo estroso nome demoniaco, o per qualche particolare mitologico. Vi è però differenza fra ciò che appare all'estraneo, e la sostanza che coglie l'adepto, ed è proprio su questo binomio ( apparenza –sostanza) che si fonda l'intera speculazione gnostica cristiana.

Prima di proseguire nella trattazione, è però necessario ricordare come la comunicazione gnostica non ha mai avuto come finalizzazione l'universalità umana, bensì di trasmettere all'interno delle strette fratellanze nella luce, il verbo, i fondamentali, della scuola. Tale distinzione ragionevolmente ci porta a considerare che è l'uomo moderno, il non gnostico per eccellenza, che deve sforzarsi di comprendere, ciò che i pneumatici riservavano ai loro simili, e non stupirsi per la presunta incomunicabilità di questi ultimi, che certamente non volevano e non potevano parlare per colui che è esterno al cerchio.

Dobbiamo costatare come solitamente gli studiosi, i curiosi, gli esterni in generale, danno lettura del mito gnostico in chiave involutiva. Tale chiave discende dall'umana tendenza di ricercare ciò che è fuori, e non ciò che è dentro, l'esatto opposto dell'azione percettiva-cognitiva gnostica, che si muove dall’esterno verso l’interno.

La quiete del Pleroma è rotta dal desiderio di un Eone ( Sophia ), che in virtù della propria colpa lunare, crea un Dio inferiore che a sua volta plasma altre potenze psichiche, il mondo, e l'uomo. Nell'uomo è prigioniera una particola di pneuma, che anela a tornare al mondo celeste, sfuggendo dalla ferrea presa degli Arconti. Questo a grandi linee, salvo modifiche formali, è il tracciato del mito gnostico involutivo, com’è stato definito. Purtroppo tale lettura, o meglio la direzione della stessa, non corrisponde al moto iniziale, alla molla, della speculazione gnostica. Essa non è una nevrotica rappresentazione della Creazione, e della Genesi della Creatura per eccellenza innanzi ad un Dio prima di Dio, ma bensì, come mostreremo a breve, una risposta intimistica, e scevra dall'onnipresente fardello degli dei, sul perché pochi anelano a non essere, a liberarsi di ogni umano limite, di ogni imposizione posta dall’uomo a se stesso.

Lo gnostico è l'unità di misura d’ogni fenomeno, e ogni fenomeno è esterno allo gnostico, in tale prospettiva intima è negata ogni sostanza, ogni assolutezza, ogni immutabilità a tutto ciò che lo circonda. Lo gnostico intuisce ( attraverso i doni divini, conseguenti alla propria naturale condizione di risveglio ), la profonda caducità della creazione, il vacillare della mente nel trovare giustificazione omnicomprensiva a quanto la circonda, la persistente insoddisfazione che le cose di questo mondo gli procurano e, di riflesso, l'incapacità di trovare nel mondo ristoro per l'anima. Leggiamo:

«L'anima erra in un labirinto, infelice, non c'è via di uscita davanti al male... tenta di sfuggire al caos amaro, ma non sa dove dirigersi» ( salmo Nasoni )

L’anima gnostica è racchiusa nel corpo fisico, e resa in catene dalla percezione dei sensi, incapace di trovare soddisfazione, appagamento, in quanto la circonda. Il mondo esterno  assume forma di intricato un intricato labirinto. Essa non trova linimento alcuno al dolore, che anzi è amplificato dalla constatazione che ad esso non vi è uscita. Questo salmo Naaseno rappresenta al meglio l'origine della speculazione gnostica, che non è riconducibile a  fenomeno depressivo, ammantato di retorica o aulico fraseggio, ma bensì attivo interrogarsi su di uno stato di disagio, di perenne insoddisfazione, d’intuizione che vi è altro oltre il fitto ordito della realtà. Lo gnostico riconosce un disagio intimo, non dettato dall’avere, ma dall’essere, ed ad esso vuole dare risposta e rimedio. Il primo atto dell'anima gnostica è rappresentato dal riconoscimento di una prigione, e dalla ricerca di una via verso la libertà. Non è, infatti, il primo atto di colui che desidera evadere, quello di rendersi conto della prigionia in cui versa ? Questa volontà di trascendenza non è forse ciò un attivo relarsi ?

«Questo fuoco è ingannevole, poichè dà agli uomini un'illusione di verità e li imprigiona in una dolcezza tenebrosa» ( tratto dal Libro di Tommaso l'atleta )

Una sorta di profonda malinconia pervade tutto il pensiero gnostico, fino a prendere la forma della nostalgia che accompagna il pneumatico lungo il proprio viatico terreno. Se ogni aspetto di questo mondo è avvertito come estraneo ed alieno, è perché lo gnostico nella visione che incarna, è figlio di un'altra terra, di un reame lontano, e si trova per caso, capriccio o colpa, proiettato in una nazione lontana dagli usi incomprensibili. Attraverso i sensi l'anima è inebriata, portata a dimenticare una condizione di stato, precedente a questa in cui adesso si ritrova, ma che persiste a livello di rimembranza. Ecco che individuiamo nella nostalgia, la radice di ogni costruzione mitologica gnostica. E' la nostalgia, intesa sia come profondo lamento per ciò che fu, sia come, perenne, richiamo verso quella che sarà definito il Ritorno al Pleroma.      

«1 Quand'ero un piccolo fanciullo dimoravo nel mio regno, nella casa di mio padre 2 lieto della ricchezza e del fasto dei miei nutritori. 3 Dall'Oriente, nostra casa, i miei genitori mi equipaggiarono e mi mandarono,.... (tratto dall'Inno della Perla)»

Ritorno al Pleroma, o casa del Padre, è lo Zenit del percorso gnostico, la conclusione del sentiero di luce, e verso la luce, che l'anima deve compiere, guidata dalla voce della nostalgia, potente Koan interiore. La nostalgia è la creazione del mito dal mito, o per meglio dire la germinazione della mitologia e cosmogonia gnostica, dove il Nadir è rappresentato dalla condizione umana. Un mito titanico, per pochi eletti, che dal basso dalla prigionia, cercano di risollevarsi verso ciò che è perduto. È necessario rilevare come sia proprio la nostalgia, frutto della considerazione di ciò che si è, e di ciò che si prova a divenire, la pietra fondante di tutto il pensiero gnostico, il cardine attorno cui tutto ruota. È nel dilemma dell'uomo, nel dramma di uno spirito incorruttibile in un corpo corruttibile che si forgia il pensiero gnostico. Un pensiero che si articola nel rapporto fra uomo e uomo, uomo e creazione e uomo dio.

Lo gnostico non trova risposte nella Creazione, nella ciclicità del tempo, nel deperimento della materia, alla propria condizione. Egli si pone domande, cerca risposte, che incarnano uno spirito antisociale, anticomunitario, in quanto non vede nella comunità, nel sociale, negli ideali, nella religione, soluzione al lamento, termine al movimento di ricerca.

L'unica soluzione ad un universo feroce, che divora la vita per donarsi la vita, è volgere lo sguardo interiore verso un Dio prima di dio, estraneo al dolore del cosmo. Se attorno all’uomo vi è disperazione, e morte, ciò non può essere frutto del vero Dio, ma di un Demiurgo, di una divinità inferiore e di maligna, che si manifesta nell'ordine costituito, nella catena degli eventi. Ecco quindi il Dio oltre Dio: Altissimo, luminosissimo, e assolutamente incomprensibile per l'uomo non gnostico. Un Dio così diverso e lontano dal carnale Dio del mondo monoteistico giudaico, circondato da un Abisso di Silenzio.  Come estremità opposta lo gnostico ha un'idea infima della materia e della Creazione, proprio in virtù di quanto esposto in precedenza: la non risposta che essa fornisce al dilemma umano.
L'indagare i costrutti gnostici attorno a questo tema, esulano l'attuale portata di questo lavoro, teso esclusivamente ad evidenziare la molla che tutto pone in movimento: la nostalgia.

«Rifletto in che modo questo avvenuto. Chi mi ha trasportato in prigionia lontano dal mio luogo e dalla mia dimora, dalla casa dei miei genitori che mi hanno allevato ?» ( G 328)

L'anima gnostica s’interroga sul come e sul perché è oggi relegata in un corpo. Ecco il punto fondamentale che allontana ogni ombra di depressione dall'universo gnostico. Il pneumatico si pone delle domande sulla sofferenza che attanaglia il cuore, ed ad essa cerca risposta, individuando una via di uscita:

«O quanto mi rallegrerò allora, io che sono ora afflitta e paurosa nell'abitazione dei malvagi! O quanto si rallegrerà il mio cuore fuori delle opere che ho fatto in questo mondo! Per quanto tempo sarò vagabonda e per quanto tempo affonderò in tutti i mondi?» (J 196)

L'anima gnostica non si lascia schiacciare dal peso della vita senza senso, ma anzi individua in essa un momento di purificazione, per quanto dolorosa necessaria alla risalita. Constata lo stato delle cose, comprende che deve darsi, e mantenere al contempo coscienza di se.

«Sono una vite, una vite solitaria che sta nel mondo. Non ho un sublime piantatore, non ho un coltivatore, non un mite aiuto che venga ad istruirmi su tutte le cose» (G.346)

L'anima gnostica è sola, ma questo non l'abbatte, non distrugge l'anelito salvifico. Nessuna indicazione “diretta e lineare” nella creazione, della via del ritorno, ma ciò non le impedisce di essere una pianta solare ( l'uva è un frutto cristico). Apprendimento, ecco la via di uscita. Attraverso il porsi nel mondo, nel trarre esperienza da ogni accadimento, vi è la risposta ad ogni quesito. Se manca l’istruttore, allora è lo gnostico che si istruisce.

I Sette mi hanno oppressa e i Dodici sono diventati la mia persecuzione. La Prima Vita mi ha dimenticato e la Seconda non si da pensiero di me>> (J 62)

Oltre alle considerazioni che hanno accompagnato il nostro percorso fino a questo momento, non possiamo disconoscere come emerga una triplicità di elementi, che nelle loro relazioni determinano e formano l'essere gnostico: il suo sentire. Spirito, Anima (gnostica) e Creato, dove la seconda sostanza è posta al centro, dilaniata, attratta, dall'uno e dall'altro polo. Un polo superiore che avverte, che intuisce, che anela, e un polo inferiore che la invade, la inebria tramite il desiderio, i sensi, i bisogni della materia. La nostalgia gnostica perdura per tutta la vita, durante il tragitto infinito nel labirinto dei sensi, delle ombre e luci della mente... Ad un passo dalla follia, ad un passo dalla santità. In quanto la gnosi salvifica e liberatoria non è un tendere, è un essere o non essere, e fino a quando non è raggiunta perdura lo stato nostalgico, che anzi tende a dilaniare con maggiore violenza l'animo dello gnostico che più si inerpica lungo la via senza ritorno.  Chi sono i sette se non i le pulsioni, i desideri dei sensi, e i dodici non sono forse la ciclicità del tempo attraverso il ripetersi dei giorni, dei mesi e delle stagioni ? Tempo e desideri ci legano a questo mondo.

Da questo straziante condizione di essere e non essere, da questa amara constatazione sulla natura umana, si determina  la convinzione nello gnostico, di essere diverso: straniero, in terra straniera.

Sulla nostalgia gnostica, la Mater del Mito, incontriamo la germinazione del mito gnostico, che oltre gli Arconti, i bisessuati, la Sophia, la Zoe, gli Eoni Incorruttibili, la Barbelo e il Pleroma, trova conclusione nel ritorno, dopo l'epica lotta dei pochi, del solo, contro la moltitudine delle cose tutte. In un titanico sforzo di ricomposizione di ogni porzione psicotica dispersa, di ogni brandello di memoria, in quel mosaico chiamato Uomo, in un anelito sussurrato del Dio prima di Dio: dell'Uomo prima dell'Uomo.

99 Chinai il capo e adorai la maestà del padre mio che mi aveva mandato:

100 io avevo adempiuto i suoi comandamenti ed egli mantenne quanto aveva promesso

101 alla sua porta mi associai con i suoi principi:

102 egli si rallegrò di me e mi accolse ed io fui con lui, nel suo regno,

103 mentre lo lodava la voce di tutti i suoi servi.

104 Promise che anche alla porta del re dei re sarei andato con lui

105 con la mia offerta e con la perla mi sarei, con lui, presentato al nostro re.

Sicuri che vi è altro oltre i sensi, la carne e la mente, e che vive in noi attraverso il ricordo di un Ideale Superiore. Questa reminescenza ci anima, e ci guida nella follia di un mondo che muore ad ogni istante, per poi rinascere, come un Dio cannibale che si nutre dei figli che ha creato, per poi crearne di nuovi. Se questa molla fa difetto, se questo ricordo è assente, se questa volontà è un fuoco fatuo o spento, allora la nostra vita non sarà altro che un non senso, che un'occasione sprecata, che un servire da pasto alla Luna vorace e famelica. La nostalgia non come rammarico e fuga, ma come pallido ricordo di ciò che fu, e che può tornare ad essere: peso insostenibile per alcuni, via di redenzione per altri.

lunedì 20 marzo 2017

Buon equinozio di primavera

di Cesare Marco Delorenzi



Non poteva mancare una mia piccola comunicazione riguardante l’equinozio di primavera.
Poiché siamo in un periodo particolarmente avverso per la nostra Massoneria ed io sono impegnato, almeno emotivamente, a seguire le dolorose vicende della salute di un nostro faro del Pensiero Esoterico Massonico che è pesantemente in lotta con l’oscurità, mi permetto di rielaborare semplicemente una mia tavola a molti già nota e di chiedere di unirci in catena al momento equinoziale.

Alle 11.29 di oggi, 20 marzo 2017, cade l'equinozio di primavera.

Equinozio deriva dal latino "aequa-nox" cioè «notte uguale» in riferimento alla durata del periodo notturno uguale a quello diurno. È anche uno dei due giorni (insieme all'equinozio di autunno) in cui il Sole si trova allo Zenit dell'equatore; una curiosità: quest'anno è la 10’ volta consecutiva nel millennio in cui la primavera inizia il 20 marzo. Come l’anno scorso il 20 marzo cade l’Equinozio di primavera, ovvero siamo al punto vernale o punto dell’Ariete o punto y (gamma), mentre quello dell'equinozio d’autunno, a settembre, viene anche chiamato punto della bilancia (o punto omega Ω). Tale notazione, di derivazione astrologica oggi non è più valida, in quanto, a causa della prcessione degli equinozi, a sua volta dovuta al moto eccentrico dell’asse terrestre, tali punti non si trovano più nellacostellazione da cui prendono il nome: attualmente infatti, all'equinozio di marzo il sole si trova nella costellazione dei Pesci e nel 2600 dovrebbe entrare nell' Acquario, mentre a settembre si trova nella Vergine.

L'equinozio di marzo cade spesso il giorno 20 e, a partire dal 2044, chissà se ci saremo ancora, saltuariamente anche il 19 marzo. Questo anticipo è dovuto a come sono organizzati, nel calendario gregoriano, i giorni bisestili per cui l’anno del calendario non coincide esattamente con l’anno siderale e il mantenimento dell'alternanza quadriennale per l'anno 2000 ha causato quindi un progressivo spostamento di un giorno di tutti gli avvenimenti celesti, fino al prossimo riallineamento, previsto nell'anno 2100. Mantenendo poi un livello di erudizione elevato, scopriamo che l’Equinozio d’Autunno, risulta più tardivo, il 23 settembre, rispetto ai sei mesi da marzo poiché il moto di rivoluzione della Terra intorno al Sole, secondo la seconda legge di Keplero, risulta leggermente rallentato in prossimità dell’afelio terrestre, a luglio.

Come noto, la Terra gira su se stessa ed intorno al Sole lungo un’orbita particolare che si sviluppa sul piano dell’eclittica. Se l’asse di rotazione fosse perpendicolare a questo, il giorno e la notte avrebbero sempre la stessa durata in ogni zona del pianeta (ai poli ci sarebbe sempre luce).
L’asse di rotazione della Terra, però, è inclinato rispetto all’orbita di circa 67°, con tutto ciò che ne consegue. La parola “equinozio” deriva dal latino “equi” e “nox”, da intendersi come “notte uguale al dì”, definizione puramente teorica in quanto gli effetti della rifrazione atmosferica, il semidiametro del Sole e la parallasse solare fanno sì che negli equinozi la lunghezza del giorno ecceda quella della notte. L’equinozio in realtà dura un istante, e non può coincidere con un’intera giornata. Nei momenti degli equinozi, il giorno è sempre un po’ più lungo rispetto alla notte.

In tale coincidenza astronomica abbiamo alcune ricorrenze socioculturali importanti. Nell’antica Mesopotania si celebrava la festa del Nuovo Anno; per gli antichi egizi si celebrava Sham El Nessim; in ambito cristiano la Pasqua è legata all’Equinozio, di primavera, ed è pure legata alla festa dell’Annunciazione; nella mitologia dell’antica Persia il mitico re Jamshid ascende al trono, viene anche festeggiato il festival iraniano del Naw-Ruz; è una festività importante Zoroastrina. I Kurdi e pure in Afghanistan, in India, in Turchia, in Albania, a Zanzibar ci sono festeggiamenti per l’Equinozio di primavera.
Siamo ad un importante Sabbat minore, quello dell’Ostara o Eoster: giorno della Dea che porta nuova vita, simboleggiata dall’allungarsi delle giornate e dal comparire di nuove gemme sugli alberi. Nell’antica Roma si festeggiava Anna Perenne da cui noi chiamiamo l’Equinozio di primavera Festa degli Alberi. Ci sono poi tante tradizioni legate alla fertilità, la rinascita e i simboli: basti pensare al trifoglio, considerato come la pianta sacra dell’Equinozio di Primavera in Irlanda e non a caso in questi giorni si celebra anche San Patrizio. Inoltre, la prima domenica dopo la prima luna piena che accompagna l’Equinozio si festeggia la pasqua Cristiana. In Inghilterra, invece, tutt’oggi viene ricordata Eostre, dea sassone della fertilità, a Stonehenge ci si riunisce per accogliere il Sole tra i megaliti preistorici mentre a Chichen Itza, proprio il giorno dell’equinozio, si ripete lo spettacolo del Tempio Maya di Kukulkan. In occasione dell’Equinozio di primavera si svolgono anche tanti eventi nel mondo legati alla rinascita e a tema ambientale.
La nascita è un evento sacro sia fra gli Esseri della Natura che fra gli Dèi. La nascita èl’intervento di Persefone che dall’Ade spinge ogni utero, ogni seme e ogni uovo a germinare. Il Paganesimo celebra la sacralità della morte in quanto sacralità di ogni nascita. Nella Religione Pagana non esiste il concetto di morte, esiste solo il concetto di Nascita. Nascita come trasformazione di un presente che necessariamente sparisce dalla percezione del nuovo nato. Nella Religione Pagana gli DEI nascono, si trasformano e divengono nelle sfide che mettono in atto nella loro esistenza. Nella Religione Pagana non esiste il concetto di destino. Nascere significa scegliere nelle condizioni in cui si è nati. Nascere è un atto magico assoluto.
Il mito narrava che la madre degli dei, Cibele e descritta come un androgino, fu evirata per ordine della corte olimpica grazie ad uno stratagemma di Dioniso. Dal suo sangue, nacque il frutto del melograno, il quale attirò l’attenzione di Nana figlia di un dio fluviale. La fanciulla appoggiò il frutto nel grembo, che la fecondò e dal miracoloso concepimento nacque Attis, di cui Cibele si innamorò. E quando il figlio divino fu sul punto di sposarsi, lo fece impazzire spingendolo ad evirarsi il giorno stesso delle nozze. Attis morì dissanguato e dal suo sangue nacquero le viole mammole.Secondo un’altra versione si trasformò in pino. A che cosa alludeva questo mito? Cibele, è la Signora della vita e degli dei intelligibili sovracosmici.  In quanto Provvidenza, conserva ogni cosa soggetta a nascita e distruzione. Attis, prosegue la sua discesa fino agli estremi limiti della materia. Questa discesa viene contenuta a opera della Provvidenza, grazie alla mutilazione di Attis e il suo ritorno a lei. Egli torna alla madre primordiale, ridiventa androgino in lei, si separa dalla propria virilità per risorgere nell’Uno.
L’equinozio di primavera, prende il nome dal latino “aequus nox” ed è il momento in cui il sole transita dall’emisfero australe a quello boreale e la durata del giorno e della notte sono uguali. Il cosmo, vive una fase di grande espansione e la variazione delle ore di luce influenza tutti i fenomeni generativi. Nel mondo pagano l’arrivo della primavera viene festeggiato quale periodo di rinnovamento e fertilità; nella cultura assiro-babilonese era consacrata a Tammuz, il dio che dopo ogni inverno tornava alla terra dopo aver dimorato nel buio mondo sotterraneo. Il mito si ritrova nella tradizione greca di Persefone, che ogni anno alla fine del disgelo torna dalla madre Demetra, dopo il soggiorno con il suo sposo Ade negli inferi; Demetra, per la felicità di riabbracciare la figlia riempie la terra di frutti fino all’autunno.
Ad Atene si celebravano le Adonie: ne erano protagonisti gli amanti, le cortigiane e gli androgini. Era la festa della seduzione, degli amori senza frutto, simili a una sterile semina. Adone, figlio di Afrodite, fu ucciso da un cinghiale, epifania di  Ares e dal suo sangue sbocciarono gli anemoni, fiori vermigli che durano pochissimo. Si dice sia un fiore infero, in quanto il bellissimo fanciullo fu allevato da Persefone, tanto che, non lo voleva più rendere alla dea dell’amore. A Byblo, dopo le lamentazioni sulla sua morte se ne celebrava la resurrezione e l’ascensione al cielo.
Per il mitraismo durante l’equinozio di primavera, cadeva la nascita del mondo e il suo futuro rinnovarsi alla fine del grande anno. Il mito narra che Mitra sacrificò un toro bianco per ordine del Sole, dal quale nacquero tutte le piante salutari: dal midollo il grano, dal sangue la vite e dal seme, raccolto e purificato dalla Luna gli animali utili. Mitra e il Sole banchettarono nella Caverna cosmica, dividendo la carne del toro: quel banchetto costituiva il modello dei pasti rituali dove i fedeli, ornati di maschere che indicavano i sette gradi iniziatici, servivano il capo della confraternita. La vita del cosmo era segnata dal contrasto fra le forze del bene, guidate dal dio e quelle del male, capeggiate da Ahriman, sino alla fine del grande anno.
Allora sarebbe riapparso un toro annunciando l’apocalisse e Mitra, sceso sulla terra avrebbe separato i buoni dai malvagi, immolando l’animale divino. Dopo aver mescolato il grasso del toro al vino, avrebbe offerto la bevanda ai giusti che sarebbero resuscitati con i loro corpi, mentre dal cielo sarebbe sceso un fuoco che avrebbe bruciato Ahriman e la sua armata di malvagi; e il cosmo avrebbe goduto di un’armonia perfetta.
Nel mese successivo all’equinozio si celebravano ad Atene le Grandi Dionisie, in onore del liberatore Dioniso. La statua del dio morto e resuscitato, veniva portata in processione assieme a simulacri di falli, a rappresentare il mistero della sua presenza e creatività. Oggi ci è difficile cogliere la gioiosa ebbrezza, la sacralità di quella “possessione divina” che anticipava la beatitudine dell’oltretomba, promessa agli iniziati dei misteri di Dioniso.
La festa di S. Giuseppe, il 19 marzo, ricalca la tradizione latina dei riti di purificazione agraria e i Baccanali, feste della fertilità in onore di Dioniso, il dio capro, il satiro che incarna lo slancio erotico-creativo. Solo in epoca cristiana San Giuseppe si trasforma nella festa del papà, inteso come colui che dona il seme della vita. È legato anche ai riti di panificazione. Nelle campagne si usa ancora accendere, in prossimità della settimana santa, dei grandi fuochi per propiziare il rinnovamento e bruciare gli influssi negativi. Un altro elemento caratteristico del periodo è il vento: la corrente bizzosa di marzo e aprile che spazza via le polveri e le ultime foglie secche, ricordo della stagione fredda, evoca un’idea di pulizia, indispensabile per favorire i processi di rinascita.
Fra le piante simbolo della primavera spiccano il trifoglio, simbolo di San Patrizio; il luppolo noto per le sue proprietà calmanti, utili nel trattamento dell’insonnia di origine nervosa e dell’eccitabilità tipica della nuova stagione; le margherite, che aiutano a sconfiggere la paura di rimanere soli.

Alle radici della modernità. Online la registrazione



Tiziano Busca ha partecipato nei giorni scorsi al Convegno del distretto di Cosenza del Kiwanis «Alle radici della modernità». Ai lavori, coordinati dal prof. Giovanni Gallina, hanno partecipato anche Claudio Azzara, Università di Salerno, Fulvio Conti, Università di Firenze, Vincenzo Ferrari, Università della Calabria. Vi proponiamo la registrazione.

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