Era un giorno fortunato, «un giorno dorato», come dicevano gli antichi, quello in cui Pitagora riceveva il novizio nella sua dimora e lo ammetteva solennemente al rango di allievo. Prima di tutto, si entrava in rapporto continuativo e diretto con il maestro, si penetrava nel cortile interno della sua abitazione riservata ai fedeli. Di qui il termine di esoterici (allievi dell'interno), contrapposto a quello di essoterici (dell'esterno). La vera iniziazione cominciava allora.
La rivelazione consisteva in un'esposizione completa e ragionata della dottrina occulta, dai principi contenuti nella scienza misteriosa dei numeri alle estreme conseguenze dell'evoluzione universale, ai destini e ai fini supremi della divina Psiche, dell'anima umana. Questa scienza dei numeri era nota sotto diversi nomi nei templi d'Egitto e d'Asia. Essa costituiva la chiave dell’intera dottrina, e perciò era accuratamente nascosta al volgo. Le cifre, le lettere, le figure geometriche, o le rappresentazioni umane che servivano da segni a questa algebra del mondo occulto erano comprese solo dall'iniziato. Questi ne rivelava il senso agli adepti solo dopo averne ricevuto il giuramento del silenzio. Pitagora formulò questa scienza in libro scritto di suo pugno e intitolato Hiéros Logos, la parola sacra. Questo testo non ci è pervenuto, ma gli scritti posteriori dei pitagorici Filolao, Archita e Ierocle, i dialoghi di Platone, i trattati di Aristotele, di Porfirio e di Giamblico ce ne fanno conoscere i principi, rimasti incomprensibili ai filosofi moderni, perché non hanno saputo comprendere il significato e la portata, accessibili solo attraverso la comparazione con tutte le dottrine esoteriche dell'Oriente.
Pitagora chiamava i suoi allievi matematici, perché il suo insegnamento superiore cominciava con la dottrina dei numeri. Ma quella matematica sacra, o scienza dei princìpi, era insieme più trascendente e più viva della matematica profana, la sola nota ai nostri dotti e ai nostri filosofi. Il numero non vi era considerato come una quantità astratta, ma come la virtù intrinseca e attiva di un Uno supremo, di Dio fonte dell'armonia universale. La scienza dei numeri era la scienza delle forze vive, delle facoltà divine in azione nel mondo e nell'uomo, nel macrocosmo e nel microcosmo... Penetrandoli, distinguendoli e spiegandone il gioco, Pitagora costruiva niente di meno che una teogonia, o una teologia razionale. Una vera e propria teologia dovrebbe fornire i principi di tutte le scienze: sarà scienza di Dio solo se dimostrerà l'unità e la concatenazione delle scienze della natura. Merita tale nome solo se costituisce l'organo e la sintesi di tutte le altre scienze. Proprio questo era il ruolo occupato nei templi egizi dalla scienza del Verbo sacro, formulata e precisata da Pitagora con il nome di scienza dei numeri. Essa aveva l'aspirazione a fornire la chiave dell'essere, della scienza e della vita. L'adepto, guidato dal maestro, doveva cominciare dal contemplarne i princìpi nella sua stessa intelligenza, prima di seguirne le molteplici applicazioni nell'immensità concentrica delle sfere dell'evoluzione.
Estratto del testo “I Grandi Iniziati” di Schurè, ed. Laterza