giovedì 1 settembre 2016

Inno al Logos (prima parte)

di Filippo Goti





Il Nuovo Testamento offre molteplici spunti di riflessione attorno a quegli elementi caratterizzanti di ciò che oggi riteniamo essere il cristianesimo, ma che in quel limbo magmatico dei primi secoli dell’era cristiana era un movimento dalle mille espressioni, caratterizzato da una forte conflittualità teologica interna.  Ecco quindi che, direttamente o indirettamente, il Nuovo Testamento dona, per coloro che sanno dove posare l'intelletto, evidenze attorno a questa genesi eterogenea del cristianesimo; e alla conflittualità che inevitabilmente si è determinata nel momento in cui la forma spirituale cristiana è stata raccolta in una forma religiosa asservita ad un disegno politico. Ecco quindi la moltitudine di forme rituali attraverso cui preservare e trasmettere il sacro, frutto di una diversa prospettiva di lettura e di un’implementazione della “novella del cristo” sul precedente strato culturale/filosofico/misterico; l’alternativa fra una struttura piramidale con al vertice una classe sacerdotale oppure una gestione comunitaria ed elettiva del sacro; il ruolo della donna così diverso nelle comunità di estrazione giudaica da quella di radice gentile; ed infine la scelta fra una vocazione al settarismo o al proselitismo. Tutto questo, e molto altro ancora, non è frutto di una qualche fantasiosa lettura del fenomeno cristiano, purtroppo troppo spesso confuso con quello cattolico, ma emerge splendente e con vigore dalla lettura del Nuovo Testamento. Il Cristianesimo è un fenomeno magmatico e carsico, altra interpretazione è falsa.
Oltre a quanto sopra esposto che a diverso titolo investe la forma, o meglio le forme del cristianesimo, abbiamo anche un'evidenza eterogenea che riguarda la sostanza stessa del cristianesimo, tanto da determinare nel corso dei secoli a seguire, e fino ad oggi, attriti e incongruenze che solamente attraverso l'arte dell'ignoranza o dell'ipocrisia si possono in qualche modo pacificamente e orizzontalmente appianare. L'arte del non vedere, per non dolersi, non riguarda solamente le faccende comuni degli uomini, ma anche delicati problemi religiosi; i quali continuano evidentemente a scavare nel profondo degli animi umani, portando a più riprese a crisi di rigetto, a causa di innesti radicalmente incompatibili.

Nell’ambito del presente lavoro, lasciando i temi sfiorati in precedenza, ci occuperemo di un tassello importante lungo la strada della comprensione di quella che io chiamo la 'Questione Giovannita'. Evidenzieremo all’interno del Nuovo Testamento quel corpus d’insegnamenti filosofici e metafisici che non sono riconducibili all'ebraismo di Pietro o Giacomo, bensì pertinenti a una dimensione intellettuale contigua alla filosofia greca e alla metafisica alessandrina, a una sensibilità verso la radice spirituale delle cose tutte, piuttosto che alla cronaca auto celebrativa della vita di Gesù e delle persone a lui più vicine.
In precedenti lavori abbiamo posto l’accento sull’importanza della'Questione Giovannita', e di come all'interno della sfera religiosa cristiana si siano affrontate due diverse scuole di pensiero, due sensibilità verso il sacro, e di come questa rappresenti, che lo si comprenda o meno, il fondamento della mistica, così come dell'esoterismo cristiano.
Nel presente lavoro andremo quindi ad analizzare, senza lasciarci lusingare da voli pindarici e fornendo sempre degli utili elementi di raffronto, il cuore stesso del'insegnamento Giovannita. Una perenne memoria, di profonda “formazione”, che è stata inserita all'interno del Nuovo Testamento, e più precisamente nel prologo del Vangelo di Giovanni. 
Essa prende il nome di Inno al Logos.



Inquadramento Storico

La tradizione attribuisce il quarto vangelo a Giovanni il discepolo che Gesù amava maggiormente, anche se gli esegeti moderni indicano come estensore del Vangelo un erudito greco di Efeso facente parte di una scuola o comunità giovannea. Scritto in greco e composto di ventuno capitoli si suppone che esistita una prima versione in aramaico, o almeno un nucleo che poi è stato tradotto in greco, e che ad oggi è andato perduto.

Il manoscritto più antico contenente un brano del Vangelo secondo Giovanni è il Papiro cinquantadue, che può essere datato attorno al 120 d.c., questo non significa che il Vangelo di Giovanni sia stato scritto in tale data, ma solamente che ad essa si riferisce il documento più antico che lo contiene, e che quindi non esclude versioni precedenti. Il testo è conservato presso la John Rylands Library di Manchester, Inghilterra.
 Gli studiosi sono in forte disaccordo attorno alla prima stesura del Vangelo di Giovanni, alcuni tendono a collocarlo fra la fine del primo secolo dell'era cristiana e l'inizio della seconda, altri invece considerano che tale data non possa essere molto distante dagli anni della vita di Gesù. Poiché l'estensore pare dia per scontata a Gerusalemme l'esistenza della piscina di Betzaeta, ma ciò non sarebbe possibile dopo l'anno 70 in quanto la città, e con essa la piscina, furono distrutti dai romani. Sicuramente il testo ha subito una serie di rielaborazioni, aggiunte, che hanno prolungata la gestazione, e che possono attribuirsi ad una duplice necessità. Da un lato fornire un nuovo paradigma religioso agli ebrei-cristiani e agli ellenici-cristiani, e dall'altro di rendere meno traumatica la sua esistenza accanto ai sinottici. Dobbiamo considerare come l’azione di proselitismo e divulgazione di alcuni apostoli, a cui si aggiunse quella di Paolo di Tarso, aveva portato il cristianesimo nel mondo dei gentili, mentre la caduta di Gerusalemme aveva scaraventato gli ebrei nel mondo greco-romano. Esisteva quindi la necessità di fornire degli elementi di dialogo e integrazione a queste due diverse comunità di cristiani. Ecco quindi la ragione dei vari vangeli ognuno cadenzato maggiormente sulle esigenze di un gruppo rispetto all’altro. Inoltre non possiamo escludere che le aggiunte e i rimaneggiamenti che il nuovo testamento ha subito nel corso dei secoli, non trovino cagione nella necessità di rendere i vari libri, di cui è composto, fra loro quantomeno non conflittuali.
 Attorno a questo punto è interessante annotare come alcuni studiosi pongono il Vangelo di Giovanni come stesura indipendente, e anche precedente, rispetto ai sinottici. 
 ...Giovanni se non segue la tradizione sinottica, non la perde mai d'occhio. Giustamente ha detto il Renan che Giovanni "aveva una sua propria tradizione, una tradizione parallela a quella dei sinottici, e che la sua posizione è quella di un autore che non ignora ciò che è già stato scritto sull'argomento ch'egli tratta, approva molte delle cose già dette, ma crede d'avere informazioni superiori e le comunica senza preoccuparsi degli altri" ("Vita di Gesù Cristo" dell'Abate Ricciotti 1941, revisione del 1962)
Indubbiamente la lettura del Vangelo di San Giovanni, come dell’Apocalisse, ci pongono innanzi ad uno scritto che ha una sensibilità, una prospettiva, una ricchezza filosofica, simbolica ed immaginifica del tutto estranea dagli altri scritti del Nuovo Testamento. L’attento lettore, colui che è formato nella comprensione del simbolo e del rituale, non può che avvertire la possibilità di accedere ad una verticale spirituale, completamente assente nelle narrazioni a sfondo morale o profetico presenti negli altri testi. Siamo in presenza di un cambiamento di orientamento, di una completa inversione del paradigma. Non più la fredda testimonianza, non più la parola o il gesto, da raccogliere e ripetere, bensì l’immagine e il pensiero da fare propri e che permettono di andare ben oltre il fatto e l’evento.
Del resto la predilezione verso il Vangelo di Giovanni era presente anche in Origene di Alessandria, teologo e mistico del terzo secolo, che lo considerava il fiore dei Vangeli. Ancora il Vangelo di Giovanni ha esercitato fascino nei mistici e negli ordini monastici; suscitando interessi ben maggiori rispetto a Luca, Marco e Matteo. Per colui che è formato alla scienza esoterica, ben presto comprenderà come la base della ritualità di numerose realtà iniziatiche trova ispirazione proprio nel simbolismo e nelle cadenze di questa particolare forma del cristianesimo.
In conclusione possiamo affermare che il vangelo di Giovanni, si distanzia per contenuti dai precedenti vangeli poiché esso non ha come centro della propria narrazione gli aspetti morali ed escatologici della predicazione di Gesù, ma offre una profonda riflessione sugli aspetti teologici, sull'epifania del sacro incarnata in Gesù. Questo non significa che il Vangelo di Giovanni non contenga elementi storici, è infatti possibile trovare fra le sue pagine narrazioni dettagliate quali il processo di Gesù, con la figura di Anna e la data della morte, o i rapporti fra lo stesso Gesù e il Battista, che dimostrano come l'estensore della narrazione appartenesse a una scuola che ha tramandato tradizioni storiche attorno alla vita del messia. Quello che però lo caratterizza è il suo focus, che risiede nell'esigenza di contestualizzare non tanto l'aspetto storico, non tanto la vita e i miracoli di Gesù, quanto piuttosto delineare la struttura teologica (Prima che Abramo fosse, io sono 8,58) (Io sono la via e la verità e la vita 14,6) e metafisica (Inno al Logos) di cui Gesù rappresenta l'epifania e la divulgazione.

(continua)