lunedì 30 aprile 2018

Il Risorgimento della Tradizione. A Napoli la Grande Assemblea del Rito di York


Et in Arcadia Ego: l’esegesi segreta tra Accademie e Templari



Et in Arcadia Ego: l’esegesi segreta tra Accademie e Templari.  Si è tenuta nella splendida cornice di Palazzo Bracci, sede dell’Accademia degli Scomposti, la presentazione dell' ultimo libro di Massimo Agostini «Et in Arcadia Ego. I miti dei Popoli del Mare». Grazie ai relatori e al fantastico pubblico, il Convegno ha espresso il fascino di una storia dimenticata, ridonando luce a quello “scrigno della memoria”, sapientemente custodito da nobili animi. Come sempre Egidio Senatore ha saputo donare al pubblico il profumo della conoscenza misterica, legata a “verità” e ipotesi presenti nei lavori di Agostini. Un evento che, grazie agli interventi di Agostino Agostini Venerosi Della Seta e Valentina Radi, ha consentito di vivere le nostre moderne accademie come luoghi della memoria di arcani misteri. Ha portato i saluti dell'amministrazione comunale il Sindaco Massimo Seri.

Il pensiero iniziatico, Francesco Saverio Vetere in libreria




Il pensiero iniziatico è, nelle intenzioni dell’autore, l’opera nella quale si svilupperà il percorso di formazione della coscienza nella forma graduale tipica dell’iniziazione. Percorso di formazione ascendente, perché non presuppone una rivelazione da porre a base della gnosi, ma si struttura su un metodo che comprende necessariamente, per svilupparsi, il lavoro del singolo che inserisce il contenuto del pensiero nel metodo. Un percorso, quindi, che non parte dalla Verità ultima ma che pone le basi per la sua ricerca e si trasforma nella crescita progressiva. Il primo libro introduce il tema, delineando il rapporto del pensiero iniziatico con il nichilismo dell’occidente, nell’ottica del suo superamento. Francesco Saverio Vetere, prossimamente in libreria per Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno.

venerdì 27 aprile 2018

Il cibo di questo mondo

di Filippo Goti



È ricorrente nei testi gnostici il monito che viene rivolto in merito alla perniciosità del cibo di questo mondo.
Riscontrando questo elemento nella narrativa di oriente e di occidente, possiamo sicuramente affermare che esso è un caposaldo della strutturazione mitologica e simbolica gnostica.
Con richiami a volte imperiosi e a volte amorevoli viene ricordato allo gnostico di non nutrirsi degli alimenti di questo mondo, in quanto essi sono portatori di oblio, intorpidimento e spossatezza; spesso sono qualificati come mortifero veleno, che conduce alle morte o alla paralisi dello gnostico.

Riporto, a titolo di esempio, alcuni passi dove la metafora del cibo risulta essere centrale.

“Mentre essi mangiavano e bevevano, Giuda non assaggiava assolutamente nulla. Quelli che gli stavano vicino gli domandavano: "Perché sei venuto qui se poi non mangi e non bevi?". Giuda rispose: "Sono venuto qui per qualcosa di meglio che mangiare e bere, cioè per accontentare il re e compiere la sua volontà, e perché gli araldi proclamavano che colui che udiva e non veniva sarebbe stato punito". (atti di Giuda Tommaso)

L’assunzione di cibo e bevande, in questo primo stralcio, è posto in contrapposizione con il mandato che Giuda Tommaso ha ricevuto da Gesù; l’apostolo lascia intendere, appena interrogato attorno al suo diniego, come il ristorarsi non rientri nelle sue priorità, facendo in questo modo pensare che ciò sia comunque incluso in una scala di incombenze, alla cui vetta sussiste l’adempiere la volontà del Re, ma ciò è errato.
Tommaso viene da un lungo viaggio e per molti anni dovrà rimanere in terra d’Oriente svolgendo il ruolo di artigiano del legno e della pietra; in una logica orizzontale egli deve nutrirsi, onde poter espletare la sua missione.
Ovviamente, essendo in presenza di una metafora, il cibo ed il lavoro di mastro svolto da Tommaso devono essere letti attraverso una diversa prospettiva; egli è chiamato per  costruire templi e pietre tombali e questo è il lavoro che l’iniziato, in questo caso lo gnostico, deve compiere: la morte interiore e la costruzione del tempio intimo, la morte dell’io profano e della dipendenza dalle cose di questo mondo, ovvero la carnalità e la psichicità che avviluppano l’uomo rendendolo dimentico.
Ciò è rappresentato dal cibo e dalle bevande.

“Ma in qualche modo si accorsero che non ero uno di loro e cercarono di rendersi graditi a me; mi mescerono nella loro astuzia [una bevanda], e mi dettero da mangiare della loro carne; e io dimenticai che ero figlio di re e servii il loro re. Io dimenticai la Perla per la quale i miei genitori mi avevano mandato. Per la pesantezza del loro cibo caddi in un sonno profondo.” (Inno della Perla)

Tale evidenza mortifera delle cose di questo mondo, si staglia per lo gnostico all’interno di questo passo, dove il figlio del Protogenitore viene reso dimentico della missione di cui è stato incaricato. Gli Arconti, le potenze di questo mondo, con astuzia gli tendono un inganno mischiando nel cibo e nella bevanda la propria carne ed il proprio sangue, in modo che l’essere spirituale sia frammischiato, intaccato, intorpidito da ciò che è estraneo alla sua sostanza; lo gnostico proviene da un altro piano esistenziale, un luogo di puro spirito e pensiero, e si ritrova immerso in un mondo che è espressione di una diversa radice creatrice: un mondo di carnalità e di emozioni.
La commistione determina una sorta di oblio di perniciosa fascinazione.

Tale prospettiva viene estesa anche alla sessualità, troviamo infatti:

“La suonatrice di flauto, che si trovava in mezzo alla compagnia, stava girando da tutti e, giunta da Giuda, si arrestò a suonare su di lui. La suonatrice di flauto era ebrea. Mentre lei seguitava a restare a lungo presso di lui, Giuda non sollevò mai il suo sguardo ma lo tenne sempre fisso a terra, fino a quando un coppiere alzò la mano e lo colpì con uno schiaffo. Giuda lo guardò e gli disse: "Il mio Dio ti perdonerà quest'atto nel mondo futuro, ma in questo mondo egli mostrerà le sue opere meravigliose sulla mano che mi ha colpito: la vedrò presto dilaniata da un cane!". “(atti di Giuda Tommaso)

La danzatrice, con le sue sinuose movenze ed il suo mimare [...] attraverso il suono del flauto indugiando attorno a Tommaso Giuda, rappresenta la seduzione: ovviamente una sensualità non solamente ascrivibile alla sola dinamica sessuale, ma estendibile, nel suo potere di fascinazione, all’intera creazione demiurgica.

Le scuole gnostiche, d’oriente e di occidente, che sposarono questa imposizione di totale avversione verso le cose di questo mondo, diedero vita ad un rigido sistema ascetico basato sulla rinuncia e la privazione.
In questo modo viene tramandato dagli scritti degli eresiologi:

La «perpetua astinenza» in materia di cibo è «per distruggere e disprezzare e abominare le opere del creatore» (Hieron., “Adv. Jovinian.” II, 167).

«Non volendo aiutare a popolare il mondo fatto dal Demiurgo, i Marcioniti stabiliscono l’astensione dal matrimonio, sfidando il loro creatore e affrettandosi verso l’Unico Buono che li ha chiamati e il quale, essi dicono, è Dio in un senso differente: perciò, non volendo lasciare niente di proprio quaggiù, diventano continenti non per un principio morale, ma per ostilità al loro fattore, e per non voler servirsi della sua creazione» (Clem. Alex., loc. cit.)

Al contempo è attraverso il sacrificio, che qui assume forma di sacra cannibalizzazione, che in alcune escatologie gnostiche viene posta fine al potere arcontico; così come l’ingestione del cibo di questo mondo è velenifera per lo gnostico, così l’ingestione del corpo di luce è mortifera per gli arconti.

“Perciò l’Uomo Primordiale diede sé e i suoi cinque Figli come cibo ai cinque Figli della Tenebra, come un uomo, che ha un nemico, mescola un veleno mortale ad una torta e gliela offre. L’Arcidiavolo divorò parte della sua luce [cioè i suoi cinque figli] e nello stesso tempo lo circondò con i suoi generi ed elementi. Appena i Figli della Tenebra li ebbero divorati, i cinque dèi luminosi furono privati di intelligenza e mediante il veleno dei Figli della Tenebra divennero come un uomo morso da un cane arrabbiato o da un serpente. E le cinque parti della Luce furono mescolate alle cinque parti della Tenebra”

Sostanzialmente possiamo affermare come attraverso la metafora del cibo, nello gnosticismo si voglia sottolineare la reale natura dell’esistenza terrena, la quale pervade ognuno degli involucri che raccolgono l’essenza dello gnostico; l’azione delle interazioni attive e passive con le cose di questo mondo genera torpore, sonno, debolezza, ubriachezza e oblio.

Il movimento spirituale ed iniziatico moderno ha tratto numerosi spunti da queste riflessioni, riassumendo quanto sopra poeticamente esposto in una più cruda sintesi chiamata “alimentazione delle impressioni”. Essa si fonda sul principio secondo il quale così come il cibo viene scomposto in elemento biochimici che poi andranno a costituire il nostro corpo fisico, così la sessualità, le emozioni, le letture e le interazioni tutte sono a loro volta scomposte, attraverso il nostro sistema nervoso e sensitivo, in altrettante sostanze biochimiche che a loro volta andranno ad interfacciarsi con il nostro cervello ed implementarsi nella nostra psiche.
.

giovedì 26 aprile 2018

Et in Arcadia Ego: l'esegesi segreta tra Templari e Accademie

Egidio Senatore con Massimo Agostini

Si svolgerà a Fano, Accademia degli Scomposti, Palazzo Bracci, via Garibaldi, 17 il prossimo Sabato 28 aprile 2018 alle ore 18.30, la presentazione dell’ultimo saggio di Massimo Agostini: “Et in Arcadia Ego: i miti dei Popoli del Mare”, Tipheret - editore. Un intreccio storico affascinante sulle tracce di un enigma millenario. Con l'autore ci sarà Egidio Senatore, autore Rai Notte, Agostino Agostini Venerosi della Seta, Accademico dell’Ussero, comproprietario dell’Archivio Agostini Venerosi della Seta e Valentina Radi, architetto, consigliere alla cultura dell’Accademia degli Scomposti..
Gli appunti sconnessi e polverosi, riemersi da un antico archivio di una nobile famiglia toscana, sembrano tessere una sottile trama misterica che, attraverso il mito Templare, conduce il lettore a penetrare le stanze segrete di Accademie e Ordini iniziatici, custodi di un’antica conoscenza sapienza. Una ricerca che pone suggestive ipotesi sull'origine italiana dei Templari.  Il legame di Agostini con il Clan Sinclair, i suoi viaggi in Scozia e nelle isole Orcadi, donano alla ricerca il senso di una conoscenza iniziatica, appartenuta ad antiche nobili famiglie, per essere trasmessa di generazione in generazione.

«(...) Farò di questi rustici la sepoltura tua famosa e celebre. Et da’ Monti Thoscani è da Ligustici verrano pastori (...) Et in Arcadia Ego»..

martedì 24 aprile 2018

Tiziano Busca: «La Massoneria è il dubbio che si fa presenza, che si fa chiesa. Ma bisogna viverla, non leggerla»

di Tiziano Busca*

Tiziano Busca con Gustavo Raffi 

La Massoneria non la leggi, la vivi. La differenza è tutta qui. Certo, si potrebbe anche partire da lontano. Da quando il primo uomo si è chiesto: perché? Perché è in quel momento che la Massoneria è nata. La Massoneria è il dubbio che si fa presenza, che si fa chiesa. Lo si chiamava ‘segreto’ e oggi non lo si dice più così, perché il termine suggerisce cose torbide, sporche, da nascondere, che non si possono dire. Ma era la Verità che non si riusciva a dire, morto un dubbio se ne fa un altro ed è questo il motore del mondo, degli uomini che cercano di mettere a fuoco il loro esserci. Ecco in che senso, dicevamo, ‘segreta’. La Massoneria è sempre stata nella storia dell’uomo la chiesa di questa ricerca, che non ha risposte fatte ma ha strumenti per rendere più robuste le domande.
La Massoneria è palestra etica, il luogo di incontro di ‘fratelli’ che si vogliono bene, tutti impegnati a costruire il Tempio della condivisione, fatto di affetti, di confidenze, di paure, è un Tempio di pietra viva, un Tempio vivente, fatto di anima, non c’è la freddezza della pietra, ma la robustezza di una cosa che dura. Ecco in che senso la Massoneria la devi vivere, e allora sì che la puoi raccontare, è l’emozione di indossare per la prima volta i guanti, è il grembiulino che ti stringi per la prima volta in vita. La Massoneria è fatta degli errori che farai, delle delusioni che avrai quando tutto ti sembrerà inutile. Ma lei sarà sempre lì, e quando le nuvole saranno passate la troverai più vera, più presente, più bella.
È la passione che dirige le azioni, non l’astratta teoria. Perché vuol dire mettere nel campo il nostro destino. Senza le incertezze, senza la timidezza che ci ha impedito negli anni scorsi di tornare ad essere protagonisti della nostra storia. Ora (ri)tocca a noi.

Ogni testimonianza è qui per dirci che la speranza di costruire diventa edificio se c’è l’entusiasmo del singolo mattone. Entusiasmarsi, En-teos, vuol dire essere già come Dio, essere Dio. La testimonianza, cioè, ha già un valore spirituale. Il quotidiano, il vissuto, non è l’inerte solitudine di un qualcosa di trascurabile. Ma la guida verso gli orizzonti di realizzazione a cui tutti aspiriamo.


* Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei Liberi Muratori dell'Arco Reale - Rito di York 

Sul perché la stampa oggi non ha più alcun ruolo

di Mauro Cascio


«Noi potremmo chiamarci la Congregazione degli Apoti,
di 'coloro che non la bevono',
tanto non solo l'abitudine ma la generale volontà di berle
è evidente e manifesta ovunque»
G. Prezzolini, lettera su La Rivoluzione Liberale n.28, 28 settembre 1922





Vediamo insieme perché oggi è inutile, quando non dannoso, cercare di capire qualcosa con un giornale. Cioè che il contenuto informativo A, quello che presupponiamo mi interessi, non posso trovarlo in un media qualsiasi, ma in questo esempio ci limitiamo alla carta stampata. Putiamo Sgobbis della Mirandola, che è il massimo esperto mondiale di A, nel senso che ci si è laureato, master, dottorato, pubblicazioni, convegni. Sgobbis della Mirandola nemmeno vive per come siamo abituati a pensare, non va allo stadio, non vede la televisione. La sua vita è A. In qualche modo A diventa (per pochi giorni) elemento di attualità, cioè di curiosità pubblica. Così Ginetto Helvetica gli chiede un’intervista. Ginetto Helvetica ha la terza media, e sul campo si è fatto una cultura grossa così. Sgobbis della Mirandola, cercherà di usare un linguaggio semplice, sintetizzerà volumi di migliaia di pagine in quattro slogan, per essere capito, e soprattutto, in nome della comunicazione, cercherà di fare qualche battuta.
Sgobbis della Mirandola tradurrà A in B. Ginetto Helvetica prenderà volenteroso appunti su B, e alla fine gli resterà davanti C, cioè quanto Ginetto Helvetica ha capito di B. Che non è molto, in realtà, ci sono rimaste le battute, quelle più o meno integrali, e dei riferimenti, già senza senso, a B. C, però, è troppo lungo, perché il giornale ha chiesto a Ginetto Helvetica due cartelle e non di più e allora Ginetto Helvetica deve elaborare D, cioè la sintesi di C, cioè quanto ha capito di B, cioè la sintesi ‘for dummies’ di A. In D Ginetto Helvetica ci aggiungerà, qua e là, i suoi commenti, a mo' di parafrasi, perché deve far vedere che lui è un giornalista in gamba, nessuno lo fa fesso, mica può essere così ingenuo da presentare un contenuto così come gli viene dato, si documenta su Wikipedia e su tutti i social, e farà vedere che ha studiato. Quando il pezzo è in redazione Franco Xpress imprecherà contro Ginetto Helvetica perché gli ha chiesto due cartelle e invece ha avuto due cartelle e mezzo. Allora, incollando D dentro la gabbia, sforbicerà il testo qua e là, tanto chi se ne accorge, così A è diventato E. Farà poi titoli e sommario. Non avendo avuto il tempo di leggersi tutta E (i tagli li ha fatti random), cercherà di farsi un’idea dalle prime righe di quello di cui si sta parlando, oppure se ancora non è troppo tardi darà una veloce occhiata ad E. Nei titoli deve metterci però pure tutto il pepe di cui è capace, perché in locandina devono strillare e, condiviso il post nei social, si devono fare click.
A questo punto seguiamo il processo dalla parte di noi che cerchiamo il contenuto informativo A. Sui social viene condiviso il titolo di E, perché già per vedere il sommario ci devi cliccare su. Il lettore medio legge solo i titoli. E commenta sotto. Visto che i titoli nemmeno li capisce, il dibattito della maggioranza dei fruitori dei contenuti informativi offerti da media si incentra su quanto i lettori social hanno capito dei titoli (e i più istruiti del sommario) di E. Così spesso il dibattito, qualche volta feroce, si sposta sulla forfora che Sgobbis della Mirandola in realtà non ha. Perché i lettori social non lo sanno ma Franco Xpress, nella fretta, ha sbagliato a inserire la foto nell’articolo.

lunedì 23 aprile 2018

Il Risorgimento della Tradizione. A Trieste la «Cabala nel Rinascimento». E con il Living Arch il Rito di York torna in Friuli dopo trent'anni



Si è svolta a Trieste una nuova tappa di «Risorgimento della Tradizione». Un lungo percorso per parlare di Cabala e Massoneria, partito da Milano e che poi si è articolato in altre preziosi momenti di approfondimento a Roma, a Benevento e a Novara. Sabato, ospiti Mauro Cascio e Federico Pignatelli, si è parlato di Cabala e Rinascimento. Perché la Cabala è un sapienzialità non solo ebraica, che ha influenzato moltissimo la Massoneria, al punto da essere in molti punti quasi coincidente, ma anche il pensiero filosofico nelle sue più alte espressioni. L'ermetismo non è quella parodia che è diventato nell'occultismo a cavallo tra otto e novecento. Ma ha pagine altissime, scritte da personaggi come Pico della Mirandola e Marsilio Fisico, come ha ricordato Egidio Senatore, che ha introdotto e coordinato il dibattito. L'oratio de homini dignitate è anzi una sorta di manifesto paramassonico. Sono presenti in quel tempo tutti i temi di una Massoneria iniziatica, teoretica e pre-ideologica che oggi deve tornare a recuperare il suo ruolo e la sua funzione. Era presente Bruno Cum, mentre le conclusioni sono state affidate a Tiziano Busca, Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei Liberi Muratori dell'Arco Reale - Rito di York in Italia.

Nel pomeriggio c'è stata invece la cerimonia di installazione del Capitolo Living Arch. Il Rito di York torna così in Friuli Venezia Giulia dopo trent'anni.

Ascolta le conclusioni di Tiziano Busca

Quattro anni fa Tiziano Busca e Mauro Cascio all'Università di Oxford



Quattro anni fa Tiziano Busca e Mauro Cascio al Pembroke College dell'Università di Oxford per la presentazione del volume «Lo svanire della ragione» di Robin G. Collingwood (Bonanno editore). Un convegno internazionale organizzato dal Capitolo de Lantaarn a cui presero parte Massimo Iiritano, David Boucher (Cardiff University), Giuseppina d’Oro (Keele University), James Connelly (University of Hull), Luca Scafoglio (Università di Salerno), Adrian Paylor (University of Hull). 

giovedì 19 aprile 2018

La coscienza e le stelle



« Poiché, se il nostro corpo è la materia a cui la nostra coscienza si applica, esso è coestensivo alla nostra coscienza, comprende tutto ciò che noi percepiamo, va sino alle stelle. »
H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione 

martedì 17 aprile 2018

Un libreria «Il Libro del Mistero Nascosto»



Il Siphra de-Ẓeni’uta – Il Libro del Mistero Nascosto è considerato una delle parti più importanti e concentrate di tutto lo Zohar. È generalmente accreditato come il racconto di quanto avvenne «prima del principio», in altre parole vi si tratterebbero gli eventi accaduti prima della creazione. Il Raza de-Razin – Il Segreto dei Segreti tratta della relazione esistente tra l’anima e il corpo, trasferendola nei regni della fisiognomonia e della chiromanzia; è per dirlo alla maniera in uso nel Medioevo, un trattatello di «Metoposcopia». Prossimamente in libreria per Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno.

lunedì 16 aprile 2018

Tiziano Busca: «Il presente ci fa paura se non sappiamo immaginare il futuro»


Tiziano Busca ha guidato in Gran Loggia la delegazione del Rito di York

«La crisi internazionale ci fa paura. Ma c’è una crisi ancora più grave, quella di valori. Perché una società che non ha valori, punti di riferimento, ma solo opinioni confuse condivise sui social, non sa affrontare emergenze e pericoli. Leggevo una riflessione di Ivan Rizzi in un volume significativamente intitolato Maestri e nuove guide. È stato Fichte a tratteggiare la figura morale del Maestro nei Discorsi sulla missione del dotto: è il maestro sociale (magister communis) “che fa crescere il senso di sé attraverso la propria qualificazione personale fino ai confini dell’io, mostrando che l’io, proprio nel riconoscersi un limite ontologico, afferma la sua libertà e la sua natura infinita. Tuttavia oggi siamo alle prese con una crisi generale del concetto di autorevolezza che l’idealismo presupponeva, l’opzione sfiduciaria è a sua volta una figura dell’essere mentale conforme, dove anche il meglio e il giusto scompaiono nel disincanto e nel sospetto di un ‘uomo senza qualità’”.
Oggi etica e democrazia fanno parte della retorica e dell’ipocrisia. Eppure l’etica dovrebbe essere quanto permette a una società di esistere, cioè che ci sia una comunità. E non c’è libertà possibile se manca un orizzonte etico. Lo stesso stato è sostanza etica. E io sono libero, riesco a esercitare le mie libertà, solo se libera è la società. Solo riconoscendo l’Altro, sono cioè nella relazione, io do valore a me stesso. "Questa ipotesi di verità illumina di una luce invisibile tutte le cose, se il mondo sapesse vedere se stesso in questa luce forse sorgerebbe un nuovo ‘stupore per l’essere’ e una nuova forma di rispetto per tutto ciò che esiste’". Ma per far questo bisogna fare ‘iniezioni’ di etica alla struttura dello stato. E c’è bisogno, ancora, di quel Maestro della comunità che sa far lievitare dentro ogni singolo cittadino la sua consapevolezza per dare, letteralmente, “giustizia alla vita”. Forse, riflettevo, la Massoneria può servire anche a questo».
Sono parole di Tiziano Busca, Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei Liberi Muratori dell'Arco Reale - Rito di York in Italia.

Una questione di Armonia. Breve viaggio esoterico tra Teatro e Musica


venerdì 13 aprile 2018

A Trieste un convegno sulla Cabala nel Rinascimento con Mauro Cascio e Federico Pignatelli introdotti da Egidio Senatore. Le conclusioni di Tiziano Busca


«La regina di Saba» di Bianchini: la presentazione a Pesaro



Si terrà a Pesaro il prossimo 21 aprile alle ore 18, presso la libreria Il Catalogo, la presentazione del saggio di Luigi Maria Bianchini «La regina di Saba e altri saggi etiopi» (Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno).
I saggi pubblicati in questa raccolta rappresentano gli interventi del Convegno Antropologando, il nono, che, a Pesaro, prosegue la ricerca relativa ai comportamenti dell’uomo nel corso dei millenni o, potremmo dire, nei milioni d’anni, attraverso i simboli, praticamente immutabili, di favole, miti e leggende. Numerosissime le interpretazioni e le equivalenze dei comportamenti nelle diverse parti del mondo. Questa volta il soggetto scelto è stato l’Etiopia e i miti ad essa legati, dalla regina di Saba alla ricerca dell’Arca, passando per il Sommo poeta.

giovedì 12 aprile 2018

Le radici ebraiche nel pensiero di Franz Kafka



Il prossimo 23 maggio alle 18.00, presso il Centro  Bibliografico UCEI, a Roma in Lungotevere Sanzio 5, avrà luogo la presentazione del  libro «Le radici ebraiche nel pensiero di Franz Kafka» di Giovanna Canzano. L'incontro sarà in collaborazione con il Corso di laurea in studi ebraici UCEI. Alla presentazione parteciperanno: Roberta Ascarelli, presidente dell’Istituto Italiano di Studi Germanici; Katia Tenenbaum, docente di filosofia a La Sapienza di Roma; Myriam Silvera, docente di Storia e Cultura degli ebrei in Età moderna presso l'Università di Roma “TorVergata” e Rav Riccardo Di Segni per un saluto.

mercoledì 11 aprile 2018

La vita quotidiana dei Cavalieri Templari

di Michele La Rocca



I Cavalieri del Tempio, punta di diamante dell’orgoglioso braccio armato cristiano fino alla loro indegna fine, rappresentarono l’Ordine più temuto, invidiato ed ammirato del passato. A noi sono giunti attraverso le loro misteriose ed eroiche vicende tali da alimentare le fantasie di milioni di appassionati in tutto il mondo. La realtà si sa, quasi sempre è meno fascinosa del surreale che ammalia la malcelata curiosità degli appassionati anche se in questo caso, misteri a parte, la vita del templari doveva essere davvero più interessante di quella della maggior parte della gente comune. Nulla di strano infatti che un numero elevato di giovani desiderasse prender parte a questa confraternita tanto famosa nel medio-evo.
ll postulante, se dotato di tenacia e buona cultura poteva aspirare a diventare cavaliere e forse anche avere un incarico di comando, sempre che fosse vissuto abbastanza a lungo anche se non era per carriera e notorietà che si entrava nell’Ordine giacché l’anonimato era davvero una regola ferrea da cui prescindevano solo i comandanti in quanto a contatto continuo con le comunità e/o per la fama acquisita in seguito ad una decisione dalle conseguenze poi note. L’apprendistato del postulante cominciava in una commenda a carattere agricolo dove avrebbe svolto le attività previste per portare avanti la produzione delle risorse alimentari del posto. Spesso prudevano le mani a questi ragazzi che molte volte erano i cadetti delle famiglie nobili dove il primogenito aveva preso tutto e loro erano destinati alla Chiesa ma avevano l’azione nel sangue e i templari rappresentavano la massima aspirazione raggiungibile.
Entrando a far parte del Templari si abbandonava tutto, dal cognome ai beni materiali cui si doveva far dono all’Ordine e ci si chiamava per nome usando l’appellativo “Fratello”. Molti candidati durante e dopo la prima crociata appartenevano a famiglie nobili cadute in disgrazia a causa della guerra, famiglie costrette a vendere molti dei loro beni a prezzo svantaggioso per armarsi o armare soldati da far partire per la Terrasanta da cui non molti facevano ritorno. Molte richieste arrivavano da sopravvissuti ormai con il solo equipaggiamento da guerra anche perché a volte non avevano più neppure una casa dove tornare. Altri, come spesso accade per le congreghe di prestigio erano ricchi nobili che pur sapendo della regola dell’anonimato, erano desiderosi di vedere il loro nome immortalato in eroiche gesta, calati nella bianca tunica con la rossa croce sul petto in nome del dio cristiano; Infine uomini che con l’ingresso nell’Ordine sarebbero scampati alla forca o alla prigione, questi ultimi ovviamente venivano reclutati in tempo di massima allerta o durante le battaglie, che le probabilità di morte erano sovente più alte di altra più fortunata sorte. Il reclutamento avveniva ponendo al postulante semplici domande alle quali egli doveva rispondere con sincerità e le richieste erano tutte relative alla difesa della cristianità a cui si doveva rispondere con solenni promesse, poi la formula dell’accoglimento ed infine il cappellano della commenda avrebbe benedetto la cappa bianca con la croce rossa ricamata ed il cordiglio con cui cinger la vita. La testa rasata e la crescita della barba avrebbero terminato l’aspetto che ci si aspettava da un monaco-guerriero. Tutto ciò però non sarebbe bastato a fare del giovane neofita un vero cavaliere che da monaco agricoltore doveva far gavetta prima di indossare un bianco mantello brandendo la spada a cavallo. Se non fosse morto prima…
Ma come era strutturato l’Ordine del tempio? In primo luogo teniamo presente che non tutti combattevano e secondo lo schema delle tre funzioni alcuni sarebbero divenuti monaci e così sarebbero rimasti avita, sì che i fratelli non sarebbero dovuti ricorrere per le funzioni religiose all’ausilio del clero esterno all’Ordine.
Per fare un po’ di chiarezza bisogna spiegare innanzitutto che i cavalieri veri e proprio costituivano una parte non certo consistente dell’organigramma capeggiato dal gran maestro, che era costituito dai cavalieri appunto, i quali  erano seguiti in battaglia dai più numerosi fratelli sergenti, dai fratelli scudieri con abbigliamento nero o marrone e dai  cappellani con saio e mantello nero e guanti bianchi. Infine i fratelli di mestiere, specializzati i tutti i rami delle scienze conosciute. Per le battaglie più consistenti i templari assoldavano i “Turcopoli” mercenari a cavallo con equipaggiamento leggero assoldati tra gli indigeni del posto e spesso trattenuti per un periodo di “ferma volontaria” purché prendessero anch’essi i voti. Sempre al seguito con carri e totalmente itineranti i fabbri per le armi chiamati zingari.  In tutto questo contesto occorre precisare che quindi il numero dei “Cavalieri del tempio” quelli con il mantello bianco per intenderci era piuttosto ridotto, non arrivò mai, sembra, alle 400 unità. A proposito di mantello,non si pensi che i cavalieri del tempio non avessero delle regole ben precise sul modo di abbigliarsi; Ogni regola monastica deve descrivere con dovizia di dettagli l’abito del monaco e la regola del tempio era davvero particolareggiata in questo. Intanto l’abito doveva essere comodo ed indossato senza aiuti in segno di umiltà ma anche di velocità e praticità soprattutto considerando che nelle roccaforti della Terrasanta lo stato di allerta era perenne. Come appena scritto il mantello bianco era riservato ai soli cavalieri in virtù del fatto che solo coloro che abbandonando la via delle tenebre riconciliandosi con Dio avevano diritto di vestirsi del colore della purezza, mentre i sergenti portavano un mantello grigio scuro. Per tutti pantaloni di stoffa e camicia di lana senza “fronzoli” e mal rifinite che non era dato ai cavalieri di Cristo di fregiarsi di “abbellimenti”, solo visto il caldo del posto quando erano di stanza in terra santa dalla Pasqua al I novembre era concesso portare sotto il mantello, una camicia di lino. Per le battaglie con qualche differenza tra Cavalieri e Sergenti o Turcopoli erano previste delle protezioni per il corpo in maglie di ferro mentre l’elmo dei cavalieri cambiò nel corso degli anni fino a divenire un casco cilindrico munito di fori anteriori per la respirazione. Tutti dovevano inoltre, tagliare capelli e barba in maniera tale da risultare regolari e decenti. Anche in “libertà” e quindi quando erano nei conventi i Cavalieri potevano indossare qualunque capo purché fosse bianco e per l’abito da rappresentanza ad uso civile in luogo del mantello vestivano una “cappa” rotonda rigorosamente bianca con cappuccio e lunga fino ai piedi. Il corredo comprendeva inoltre biancheria intima, calze, coperta leggera, pesante ed una tenda da campo per le battaglie Anche per la tavola era prevista una biancheria composta da tovaglioli, asciugamani oltre ovviamente ad una serie di stoviglie che potevano essere affidate ad uno scudiero. E per il cibo? Per parlare di questo bisogna fare innanzitutto alcune considerazioni riguardo a ciò che era reperibile al tempo in cui vissero: I Cavalieri Templari contribuirono non poco alla diffusione in larga scala del cibo simbolo della ritualità cristiana “Pane e Vino” (sangue e corpo di Cristo) ed accanto ad ogni chiesa, monastero, cattedrale costruite ma anche agli uffici postali si piantavano nel limite del possibile il grano, le viti, gli ulivi ed i frutti degli orti perché la loro regola imponeva loro di mantenersi con quello che producevano. Tutto ciò non fu difficile perché con la caduta dell’Impero Romano, erano ormai moltissime le aree divenute incolte e sfruttabili per chi sapeva coglierne l’opportunità. Dal nord difeso dai Cavalieri Teutonici essi appresero ad allevare il pesce in apposite vasche che a loro volta approntarono nelle loro zone di competenza ed insegnarono a costruire soprattutto nel sud dell’Europa fondendo così questi sistemi di sfruttamento del territorio che sono stati portati avanti fino alla odierna globalizzazione. Ovviamente il pesce era in poca parte di mare, importato quasi esclusivamente dai templari dall’oriente ed il resto essendo la rete commerciale marittima dedicata per lo più allo scambio dei prodotti non deperibili era prevalentemente di fiume per cui si allevavano carpe, Lucci, Storioni, Anguille ecc.. Accanto a questi prodotti i cereali come orzo, avena, miglio e segale e i legumi come ceci, piselli,  lenticchie e fagioli i Cavalieri del Tempio importarono anche le melanzane e gli spinaci presi in medio oriente. In tutto il nord Europa crebbe l’allevamento dei suini mentre nel sud, e qui l’Italia era già tagliata in due, quello degli ovini legato anche alla produzione dei latticini e a quello della lana. L’apporto di carne quindi diffuso in tutte le classi sociali fu davvero sostanziale e tra gli allevamenti di cui facevano parte anche gli animali da cortile come polli, oche e anatre la caccia ebbe un ruolo di fondamentale importanza essendo giuridicamente aperta a tutti.   In ogni  territorio v’era abbondanza di lepri, fagiani e quaglie e fatta eccezione per il sud Italia e paesi di egual latitudine, i cervi, caprioli e cinghiali che costituirono la primaria fonte di approvvigionamento fornita dal popolo venatorio.
Dopo tutto, essere Cavalieri del tempio doveva portare pur qualche privilegio e non solo privazioni e far parte dei “Mantelli Bianchi” era considerato un grande onore che ad alcuni di loro di sicuro recò un po’ di alterigia da senso di appartenenza. In effetti negli ultimi anni di stanza in terra santa il loro motto cambiò nel finale e non fu più “nomini tuo da gloriam – per la gloria del tuo nome  Signore” ma  “per la gloria dell’Ordine”, tuttavia nel complesso non vennero mai meno al loro senso del dovere fino a spingersi all’estremo sacrificio  trasformandosi nella più temibile e perfetta macchina da guerra conosciuta nelle crociate. Quell’avventura secolare ove svettarono per coraggio e spirito di sacrificio questi ordini cavallereschi della Chiesa Cristiana, teatro di guerra orientale divenuta tragedia di immani proporzioni fu anche l’ultima grande avventura occidentale combattuta con la spada prima che le ragioni ed i torti venissero decisi a cannonate.

martedì 10 aprile 2018

Il mondo a venire

Qui, per mezzo del fuoco, sono compiute le opere dell’eterna Luce. Dodicesima ora di Apollonio

di Domenico Fragata




L’iconografia del “Mondo” si presenta semplice nella sua forma artistica ma pregna di significati esoterici. Il simbolismo di questo arcano è riferibile alla Gerusalemme Celeste descritta nel ventunesimo capitolo del libro dell’apocalisse di Giovanni. Nei tarocchi Visconti-Sforza questo parallelismo risulta essere molto esplicito in quanto l’autore ha posizionato al centro dell’arcano un’immagine del “mondo a venire” sorretto da due putti. Nella cabalà il numero 21 è molto importante in quanto è il valore numerico del nome di Dio “Eheyhe” che significa Sarò; questo santo Nome indica una potenzialità futura esattamente come la Gerusalemme Celeste raffigurata nel ventunesimo arcano dei Visconti-Sforza. Nei tarocchi di Marsiglia e di Wirth le quattro figure che circondano la donna seminuda, coperta solo da un drappo rosso svolazzante, rappresentano il tetramorfo descritto da Ezechiele e corrispondono alla rappresentazione geroglifica dei quattro evangelisti canonici. La donna viene, a seconda delle iconografie del Tarot, posta all’interno di una ghirlanda circolare o a forma di mandorla mistica. Nel corso del tempo vi sono stati diversi modi di abbinare agli arcani la lettera dell’alfabeto ebraico corrispondente. Ad esempio Elifas Levi e Wirth associano “Il Mondo” alla Tav invertendo il corso naturale delle attribuzioni utilizzato in maniera lineare fino al ventesimo arcano. Il sistema da loro utilizzato per le attribuzioni era molto semplice: al primo arcano veniva associata la prima lettera (Bagatto- Alef) al secondo arcano la seconda lettera (Papessa-Bet) e così via. Seguendo questa logica la lettera cosignificante con “Il Mondo” sarebbe stata, essendo la ventunesima, la Shin. Non conosco con precisione le ragioni che hanno portato Elifas Levi  ad abbinare la Tav all’arcano del “Mondo” e la Shin al “Matto” ma posso immaginare che questa decisione sia stata presa in quanto Tav rappresenta il compimento dell’Alef Bet così come “Il Mondo” è il compimento del Tarot. Nonostante considero rispettabile questa visione credo che vi possa essere un’attribuzione alternativa più adeguata che meglio si sposa con il significato esoterico dell’arcano. In questo studio proporrò un’associazione, lettera ebraica- arcano del tarot, inedita provando ad argomentare in maniera precisa le motivazioni che mi hanno spinto a trovare altre vie ermeneutiche. Dal mio punto di vista “Il Mondo” andrebbe associato alla Shin a quattro bracci denominata Ha-Ot che significa “il Segno”. Nel corso del tempo questa lettera è stata definita in più modi e gli sono stati attribuiti diversi significati fra cui: la lettera santa, la lettera mancante, la lettera integrale e, soprattutto, la lettera del mondo a venire. Ed è proprio a causa di quest’ultima accezione che considero la Shin a quattro bracci la lettera corrispondente all’arcano del Mondo. Secondo il Sepher Yetzirah Shin è una delle tre lettere madri e con essa Dio generò l’elemento fuoco. Interessante la definizione di “lettera madre” in quanto fornisce una visione femminile di quest’ultima che viene esplicata fino in fondo solo dal simbolismo della Shin a quattro bracci. Secondo la tradizione cabalistica quando Dio decise di incidere la Shin con il suo dito sulle tavole di pietra, che contenevano i dieci comandamenti, apparve una Shin a quattro bracci superiormente a quella che ne aveva solo tre. Le quattro linee rappresentano la bellezza e la sacralità della parola di Dio incisa nella pietra. Questa Shin inoltre rappresenterebbe le quattro madri del popolo di Israele: Sara, Rebecca, Rachele e Lea. Quest’ultima connotazione risulta essere molto importante per la nostra analisi in quanto la figura al centro dell’arcano è proprio una donna. Nonostante quanto appena spiegato ciò che mi sembra più rilevante è che la tradizione cabalistica ritenga la Shin a quattro bracci un simbolo geroglifico del mondo a venire che, tradotto in termini cristiani, è equiparabile al concetto di Gerusalemme Celeste. Le quattro braccia della Shin corrisponderebbero:

- Ai quattro elementi (Fuoco, Acqua, Aria e Terra).
- Ai quattro segni fissi (Leone, Scorpione, Acquario e Toro).
- Ai geroglifici del tetramorfo di Ezechiele che sono i medesimi simboli che designano i quattro evangelisti.
- Alle quattro lettere del Tetragramma.
Potremmo addirittura affermare che questi elementi sono rappresentazioni diverse della medesima energia che si esprime su quattro livelli differenti:
- Assiah - I quattro elementi
- Yetzirà - I Segni fissi dello Zodiaco
- Briah - Il tetramorfo
- Atziluth – Il tetragramma Yod He Vav He

Inserendo tutti questi elementi nella Shin a quattro bracci otteniamo un glifo che rappresenta la completa rettificazione della materia nel fuoco dello spirito. Dal mio punto di vista l’arcano maggiore “Il Mondo”  rappresenta proprio la perfetta rettificazione della materia completamente permeata dalla santa Shekinah personificata dalla donna misteriosa protagonista del tarocco di Marsiglia.

lunedì 9 aprile 2018

Il Rito di York in Gran Loggia a Rimini

Conferito a Daniele Capezzone l'Ordine Galileo Galilei

Si è svolta a Rimini nei giorni scorsi la Gran Loggia del Grande Oriente d'Italia di Palazzo Giustiniani. Un appuntamento che ha chiamato a raccolta migliaia di 'fratelli' provenienti da tutta Italia, in un momento storico così difficile in cui da più parti si formano nuovi totalitarismi che infangano quotidianamente per gettare in cattiva luce la storia e la dignità della Massoneria italiana, con la stampa che spesso è più preoccupata a demonizzare e a buttare benzina sulle polemiche piuttosto che svolgere il suo ruolo, quello di informare, educare e far crescere. Un fine settimana importante denso di proposte anche culturali, a cui ha partecipato anche una delegazione del Rito di York, con a capo il Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei Liberi Muratori dell'Arco Reale Tiziano Busca.

Tiziano Busca durante l'ingresso rituale in Gran Loggia. Con lui Enzo Heffler e Mauro Luzi

I lavori rituali si sono aperti con il conferimento a Daniele Capezzone dell'Ordine di Galileo Galilei, la massima onorificenza prevista per non-massoni che professino ideali vicini a quelli della Massoneria, soprattutto per la sua attenzione a difendere l'Istituzione dagli attacchi violenti di una certa parte politica nei mesi scorsi. Tra i momenti culturali vanno sicuramente segnalati quelli con Paolo Mieli e Annalisa Chirico (Il Foglio). «La Massoneria dimostra oggi un'apertura mentale che non sempre viene usata nei suoi confronti», ha detto tra l'altro l'ex direttore del Corriere della Sera. La Chirico ha fatto aperto riferimento alle persecuzioni a 5 Stelle: «Non so che cos’abbia fatto nella sua vita Di Maio, ma so che Cavour e Garibaldi hanno fatto l’Unità d’Italia, Crispi e Zanardelli hanno abolito la pena di morte con un secolo di anticipo rispetto a Francia, Gran Bretagna, Santa Sede.... E se ci sono persone (3mila già accreditate domani al Palacongressi) che, nel dopolavoro, non vanno in chiesa o in moschea, ma si recano in loggia e portano avanti, nel rispetto della legge, progetti ispirati ai valori della fratellanza e della libertà, io penso che abbiano il diritto di farlo e che non debbano essere discriminati in ragione del pregiudizio e del sospetto».

Un momento dell'incontro con Paolo Mieli e Anna Chirico

Grande spazio è stato dato al sequestro illegale degli elenchi degli iscritti in Sicilia e Sardegna, della Commissione Antimafia presieduta dalla Bindi per trovare infiltrazioni molto prossime allo zero. Una campagna che ha alimentato odio e disinformazione. «Noi stiamo attenti ai nostri ingressi», ha detto il GM Stefano Bisi. Si è parlato della discriminazioni del movimento di Beppa Grillo e  delle proposte di legge anticostituzionali contro la libertà di associazione. Il Servizio Biblioteca del Grande Oriente d’Italia ha organizzato anche una Mostra: 32 pannelli più uno introduttivo, ma anche fotografie, stampe, ritagli di giornale e volumi d’epoca che documentano gli attacchi sistematici subiti dalla Massoneria dalla fine dell’Ottocento alla seconda guerra mondiale, vere e proprie offensive che culminarono in azioni violente, anche sul piano legislativo.



Nella tradizionale Fiera del Libro erano presenti i principali editori di studi massonici, tra cui Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno che negli ultimi anni si è consolidato come il più attento punto di riferimento. Tra i titoli presentati in Gran Loggia, «Goethe Massone» di Marino Freschi.  Marino Freschi è professore emerito di Letteratura Tedesca a Roma Tre, è membro del consiglio scientifico dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, direttore della rivista «Cultura tedesca» e ha curato tra l'altro per la Utet i due volumi di Storia della civiltà letteraria tedesca. È Cavaliere dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di Germania. 


Ermete Trismegisto, tra storia e leggenda

di Claudio Alessandro Martano



La figura di Ermete Trimegisto è sospesa nell’ arcano del tempo e tramandata dal mito (1) e dalla leggenda. Nonostante le tante incertezze sorte in epoche diverse sul suo nome, sulla sua identità, sulle sue opere, sulla datazione relativa alla sua vita e alle sue opere, il nome di Ermete occupa un posto preminente ed irripetibile nella storia dell’esoterismo. Tutto ciò che ruota intorno al suo nome ha lasciato un’impronta indelebile nella memoria dell’Umanità e i suoi principi esoterici sono alla base di molte religioni. Nel descriverlo pare opportuno riferirsi a tre personaggi accomunati dall’archetipo culturale a cui essi si riferiscono: il dio egizio Toth, il dio Hermes greco, e l’Ermete autore dell’Hermetica approdata nella cultura europea nel medioevo. Nella sua triplicità Ermete supera le barriere del tempo e del luogo d’origine perché i contenuti di conoscenza delle sue opere sono per

(1) Si è voluto utilizzare la parola “mito” nel suo giusto significato semantico, non come “racconto fantasioso”, secondo la enunciazione di Attilio Mordini: “il termine mythos significa, almeno nel senso originario, parola, parola che si manifesta dal silenzio nell’atto segreto dell’iniziazione ai Misteri; e cela, ma al tempo stesso porge discretamente e rivela, la verità che nel gran silenzio primordiale è racchiusa” (Il Tempio del Cristianesimo pag. 10, ed. Settecolori, Vibo Valentia 1979).

l’Umanità senza tempo e senza luogo: toccano lo spirito umano nella sua più profonda essenza, nella sua immutabilità nel comune sentire i legami indissolubili che ciascuno di noi ha con il misterioso e con l’Inconoscibile. Tutto questo mistero con cui ci si deve confrontare nello studio del “Tre volte Grande Maestro di Saggezza” è dovuto fondamentalmente al fatto che le sue opere ricercano “le chiavi” per la decifrazione e la conoscenza delle Leggi della Natura, delle norme che la ordinano, che la trasmutano, in quel continuo flusso che va dall'Uno al molteplice e viceversa. È questo il più grande mistero dell'Uomo e del senso che si deve dare vita. Per questi motivi l’Opera di Ermete è solo per gli Iniziati, quelli veri, i soli che posseggono la chiave che consente di leggere le sue opere per darne il giusto significato valoriale: una chiave alchemica che associa “un significato ad un significante”, che opera nella mente dell’iniziato la sintesi dell’idea-simbolo (2), al fine di integrare “il tutto in sé” per poter ricomporre “l’Unità originaria perduta”. Potrebbe allora risultare particolarmente significativa un’ipotesi etimologica che collega Ermete al copto "Ermeth" che significa "Essere Vero”: da "Er" essere e "Meth" verità, che poi in greco diverrà metis, cioè “mente”. Alcuni storici vogliono Ermete-Toth vissuto in un periodo antidiluviano, altri affermano che Ermete visse al tempo di Mosè, prima che le tavole della legge fossero consegnate nel deserto. Altri lo vogliono presente in Egitto 400 anni prima di Mosè, ma prima della discesa di

(2) “Il vero simbolismo tradizionale non è arbitrario, ma poggia su ben precise leggi, ossia quelle delle corrispondenze fra i diversi ordini della realtà naturale e soprannaturale, ove la naturale è considerata l’esteriorizzazione del soprannaturale. Il simbolismo enuncia una realtà di un certo ordine che l’esoterico ritiene possa essere rappresentato da una realtà di un ordine meno elevato. La Natura è simbolo di realtà superiori; se così non fosse, sarebbe vano appoggiare le Iniziazioni ed i loro riti sulla forza dei simboli. Berkeley, con ragione, diceva che la simbolica è “il linguaggio che lo Spirito Infinito parla agli spiriti finiti”. Noi viviamo, pensiamo in base al simbolismo. Tutto è simbolo: la grammatica, la matematica, le arti, l’astronomia. Anche l’Uomo è un simbolo: non a caso Mosè nella Genesi dice che siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio.”
Tommaso Palamidessi, dal capitolo “Funzione occultante e disoccultante del simbolo” - estratto dal 14° Quaderno di Archeosofia

Abramo in Egitto. Altri ancora lo identificano con lo stesso Mosè. Nel mito viene a volte venerato come una divinità, altre volte osannato come un uomo e per questo onorato come sommo Maestro di sapienza, secondo una interpretazione evemeristica (3) del personaggio. Per questo motivo alcuni ritengono che Ermete Trismegisto potrebbe essere una re-incarnazione di Thot. Pitagora afferma nei suoi scritti che Thoth lo prese per mano (4), lo guidò sotto la Grande Piramide e gli insegnò le sacre geometrie e la vera interpretazione della realtà. Una volta che la Grecia crebbe culturalmente attraverso Pitagora, Thoth entrò in quella cultura con il nome di Hermes. I greci che vivevano in Egitto identificarono Thoth con Hermes, e così Hermes-Thoth divenne infine Ermete Trismegisto, o il "Tre volte più grande", un epiteto che Hermes deve al suo egualmente illustre predecessore egiziano a cui era stato attribuito lo stesso onore di “tre volte grande”. Comunque sia, nella storia, i due nomi quello di Ermete e quello di Toth, sono sempre associati e spesso confusi. È da ritenere plausibile, quindi, che il nome di Hermes fu dato al dio egizio Toth al tempo della sovrapposizione della cultura ellenista su quella egizia, in virtù della decadenza dello stato egiziano causato in un primo momento da Alessandro Magno e poi dai suoi successori, i Tolomei. È necessario, quini, conoscere il dio egizio Thot per avere una giusta conoscenza del dio Hermes greco per poter fare i dovuti parallelismi tra i due. La leggenda vuole che Toth, arrivò in Egitto da

(3) L’everismo è la dottrina razionalistica dello scrittore greco Evemero (4°-3° sec. a.C.), secondo la quale gli dèi non sarebbero altro che potenti sovrani o eroi del passato, che erano riusciti, in virtù della saggezza o del valore, ad attribuirsi la natura divina e l’adorazione di contemporanei e posteri; combattuta dagli antichi greci e poco diffusa nel mondo romano, la dottrina fu accolta invece dagli apologisti cristiani come dimostrazione della falsità del politeismo, e ha tuttora non poca fortuna come teoria esplicativa nella moderna storia delle religioni. Fonte En. Treccani. (n.d.a.)
(4) The Ancient Secret of the Flower of Life. Drunvalo Melchizedek, Volume 1 pag 26. Hoepli, 1999

un continente chiamato Mu o Nu (5). Secondo quanto ha riportato Doreal6 nella sua traduzione della Tavola Smeraldina , Thoth visse in Atlantide circa 52.000 anni fa, nella città di Keor, sull'isola di Undal. Keor era la città del Culto dove viveva la casta sacerdotale. Thotme era il Padre di Thoth ed era a capo di tredici potenti Adepti che reggevano Atlantide. A quel tempo Toth era già divenuto un Maestro Asceso. Era diventato, cioè, un essere spirituale di luce con potenze straordinarie, capace di andare al di là delle leggi che la natura impone agli esseri umani. Toth con la sua “ascensione” acquisì la facoltà della completa padronanza di sé, del tempo e dello spazio e quindi la possibilità di reincarnarsi in epoche differenti. Quando visse in Atlantide il suo nome era “Chiquetet Arlich Vomalites”. Chiquetet era in realtà un titolo, che definiva il personaggio come "Il Cercatore della Saggezza". Si ipotizza essere stato il re di Khem, antico nome dell’Egitto, per 16.000 anni quando si trasferì lì successivamente alla distruzione di Atlantide. La leggenda vuole ancora che Toth abbia partecipato alla edificazione della Grande Piramide di Cheope, ma non sono riportate notizie circa un suo diretto intervento nella realizzazione della Sfinge né della ipotizzata Sala dei

(5) Il continente di Mu o il continente perduto di Mu , è il nome di un presunto continente perduto il cui concetto e nome furono proposti dallo scrittore e viaggiatore del XIX secolo Augusto Le Plongeon , che sostenne che diverse civiltà antiche, come quelle dell'Egitto e Mesoamerica, furono create dai rifugiati di Mu, che si trovava nell'Oceano Atlantico. Per formulare tali affermazioni, egli fece affidamento sulla traduzione in spagnolo (in seguito scartata da perché ritenuta fantasiosa) del codice Maya noto come il Codice Tro-Cortesiano fatto da Brasseur de Bourbourg. Il Codice collocava Mu nell'Oceano Pacifico e sosteneva che il popolo di questa civiltà perduta migliaia di anni fa diffuse la sua tecnologia avanzata in tutto il mondo; che avrebbe permesso la costruzione delle grandi piramidi sparse nei diversi continenti. Inoltre sostenne che, come Atlantide , questo continente sarebbe stato distrutto 12.000 anni fa dagli dei come punizione per essere una civiltà decadente. Fonte Wikipedia (n.d.a)
(6) Maurice Doreal fu il nome adottato da Claude Doggins in qualità di capo della Fratellanza del Tempio bianco (Brotherhood of the White Temple), una fratellanza occulta con sede a Sedalia, in Colorado. Doreal nacque a Sulfur Springs, in Oklahoma. La sua conoscenza proveniva, secondo quanto sosteneva, dai suoi contatti con la Gran Loggia dei Maestri (Great White Lodge of Masters), formata da coloro che, oltrepassata l'esperienza terrena, cercano di guidare l'umanità nella loro evoluzione. Il Dorealha"tradotto"e interpretato la “Tavola di smeraldo”. Senza fornire informazioni più precise, egli afferma che gli è stato dato "permesso" di tradurre e conservare una copia della saggezza incisa sulle tavolette. Questo avvenne nel 1925, ma la sua traduzione ed interpretazione venne pubblicata solo molto tempo dopo. Fonte Esopedia (n.d.a.)

Registri sotto di essa, in realtà mai trovata (7). Toth fu venerato in Egitto come un dio ed a volte viene riportato come il più antico degli dei conosciuti insieme a Horus. La sua controparte femminile nel pantheon egizio era Seshat, la dea della scrittura, la padrona della casa dei libri, mentre sua moglie era Maat (8). Era questa dea a prendersi cura degli incantesimi e delle pergamene della biblioteca di Thoth. Ermete Trismegisto, il tre volte Maestro, viene tradizionalmente considerato tre volte grande in virtù “ del suo triplice ruolo di sacerdote egiziano e creatore di dei, di filosofo e mago, di re e legislatore” (9). Ermete Trismegisto veniva definito tre volte maestro dagli antichi greci poiché riconoscevano in lui, quindi, il Re, il Legislatore ed il Sacerdote, avendolo eletto a simbolo dell’epoca magica in cui sacerdozio, legislatura e regalità si trovavano raggruppate in un unico corpo di governo. Un fenomeno unico nella storia dell’uomo. Ermete-Toth è sicuramente il più misterioso degli dei del pantheon egizio. Come per la grande maggioranza dei miti, le varianti sulla sua nascita come dio sono moltissime: alcuni lo vogliono figlio di Ra, altri venuto al mondo dalla testa di Seth, parimenti alla dea greca Atena che nacque dalla testa di Zeus. Gli Egiziani chiamavano Thot, Dyehuty, corrispettivo al mito di Theuth nel "Fedro" di Platone e nel “Cratilo” dello stesso filosofo. Ermete e Toth sono entrambi al servizio di una divinità superiore. Ermete è messaggero di Zeus, Thot è lo scriba di Osiride, Ermete è dio

(7) La Grande Piramide di Cheope - per motivi religiosi, spirituali ed energetici - fu usata anche come Tempio, per le speciali funzioni "magiche" a essa correlate. Era un distaccamento "molto particolare" della Casa della Vita, di cui gli Egizi hanno sempre parlato come del luogo di apprendimento e di formazione. Era l’Università di Alchimia, Occultismo, e Teoretica [Filosofia della conoscenza] cui pochissimi eletti potevano accedere per accrescere la propria elevazione intellettuale e spirituale. Sir Jon Ora Kinnaman e sir William Flinders Petrie trovarono un accesso ad una stanza segreta che doveva contenere i Libri di Thot. I due erano massoni e giurarono al governo egiziano di non rivelare mai la scoperta. In punto di morte Jon Ora Kinnaman, lasciò un foglio dattiloscritto con le indicazioni sufficienti per il ritrovamento della stanza segreta. I "Libri di Thot" sono ancora nella Grande Piramide, nella Camera della Conoscenza! Tratto da: Alla ricerca dei Libri di Thot di Daniela Bortoluzzi (n.d.a.)
(8) Thutmose III: una nuova biografia di Eric H Cline, David O'Connor University of Michigan Press (5 gennaio 2006) p. 127 
(9) F. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica - Biblioteca Universale Laterza,1985, pag. 185


della parola e Thot è dio della parola e della letteratura, entrambi sono psicopompi, guide delle anime nell’oltretomba. Sia Ermete che Thot sono inoltre, nelle loro rispettive culture, gli dei della magia. A causa del processo sincretico tra divinità egizie e greche, Hermes diventò il dio che svela la verità e mediatore tra gli uomini e gli dei e assicurava, con il suo intervento, la corrispondenza dei fatti degli uomini con quanto era voluto dagli dei stessi. Toth nella forma iconografica era ritratto sotto forma antropomorfa, con il capo raffigurante l’ibis, uccello a lui consacrato: il nome Toht deriva dall’antico nome dell’uccello ibis, vale a dire djehu - tehu. Toth, in questo caso, è il sacro scriba degli dei e sul capo ha la luna piena, la corona atef, che rappresenta il lato illuminato della luna, il luogo dove si immaginava risiedesse l'essenza della saggezza creativa. Quando è rappresentato con la testa di un Ibis è associato al Cinocefalo, la scimmia con la testa di cane e per la stessa ragione viene associato anche ad Anubis, dio del regno dei morti. Come serpente, infine, Thot rappresenta la Saggezza divina creatrice. Il dio Hermes nell’iconografia greca viene sempre descritto con indosso un mantello, con in testa l’elmo e i sandali alati e con in mano la famosa verga d'oro (il caduceo) ricevuta in dono da Apollo che divenne poi in sua mano la verga dell'eloquenza. Ermete trismegisto viene invece rappresentato vecchio e con una lunga barba bianca, con indosso una veste rossa e con in capo un turbante o un appuntito copricapo. In una mano un libro, mentre l’altra innalza al cielo una sfera simboleggiante l’universo. Scrisse su di lui per la prima voltaErodoto,nel 450 a.C., quando traspose in greco le conoscenze astrali egizie (10), riferendo

10 Secondo il mito, Horus aveva ritrovato l’occhio perso durante la battaglia contro Seth grazie all’aiuto di Toth, dio della sapienza, che sfruttando la sua competenza nell’arte magica aiutò il vincitore a incastonarlo nel cielo per celebrare la vittoria. Perché il compito di incastonare nel firmamento l’occhio di Horus fu dato proprio a Toth? Al dio Toth era consacrato il primo mese dell’anno che per gli antichi egiziani aveva inizio il 21 giugno, giorno in cui ricorreva il solstizio d’estate e la levata eliaca di Sirio. Nello stesso periodo (21 giugno – 22 luglio) il Sole dimorava nel Cancro da cui l’identificazione del dio Toth con questa costellazione stiva. Preceduto da Orione-Iside, il Cancro sorgeva all’orizzonte all’alba del solstizio d’estate assieme alla stella Sirio, che tornava visibile dopo 70 giorni di assenza. Nella lettura mitologica del fenomeno osservato, Horus perde l’Occhio (i 70 giorni in cui Sirio non è osservabile) ma lo ritrova con l’aiuto del Toth ( il Cancro sorge con Sirio) il quale depone in cielo la stella Sirio , l’occhio della costellazione del Cane, manifestazione celeste di Horus il cui simbolo è l’occhio. Per questo motivo molti autori asseriscono che la Sfinge originariamente avesse la testa di un cane, come il dio Toth, che era posto a osservare il cielo nella direzione dell’orizzonte per l’apparire della stella Sirio. Per questo motivo molti affermano che la “stanza segreta” dove sono occultati “I libri di Toth” si trovano sotto la Singe-Toth (n.d.a.)

il nome di Ermete in questo scritto ad un dio. Il tre volte Maestro, considerato dai filosofi ellenisti il simbolo stesso del Logos, traccia nelle sue opere una Cosmogonia accentrata sulla creazione dell’Uomo. In esse detta le linee esistenziali dell’Uomo per la sua completa liberazione spirituale, al fine di raggiungere la completezza della sua” evoluzione”, raggiungibile solo dopo la conquista della consapevolezza della conoscenza della propria esistenza e del ruolo Divino in questa trasformazione. Tutta la cultura misterica e teologica dell’antico Egitto sono colme della saggezza e della dottrina di Ermete, dottrina che successivamente si diffuse in tutto il bacino del mediterraneo grazie alle traduzioni in greco delle sue opere. L’impianto teologico del suo pensiero risulta assolutamente e rigorosamente monoteista: Dio è l’Uno unico. È il “non generato” che genera sia in cielo che in terra: è Padre, ma allo stesso tempo è Figlio e Madre. Egli è da sempre e per sempre e gli attributi che Ermete gli conferisce sono testimoni della Sua grandezza: immenso, eterno, onnipotente e infinitamente buono. Il nome “Ermete” risulta, per la grande maggioranza degli storici, essere un nome generico, designante una personalità a cui venivano attribuite più funzioni. Ermete fece dell'Alto Egitto un grandioso santuario- Tempio e fu legislatore per gli egiziani così come Mosè lo fu per gli ebrei. Alcuni ritengono che, così come per Zoroastro, non sia del tutto corretto riferire il nome di Ermete ad una unica personalità, bensì ad una casta sacerdotale di iniziati vissuti in epoche diverse identificati con quel nome. Così afferma R. Guenon riferendosi alla tradizione araba circa Ermete: «Hermes è chiamato Elmuthalleth bil-hikam letteralmente "triplo nella saggezza”, equivalente all’epiteto greco Trismegisto, pur essendo questo epiteto più esplicito nell’esprimere la "grandezza” e quest'ultimo è, in fondo, la conseguenza della saggezza da cui deriva il giusto attributo di Hermes. Questa "triplicità" ha anche un altro significato, perché a volte si sviluppa nella forma di tre Ermete distinti: il primo, chiamato "Ermete degli Ermeti" (Hermes El-Harâmesah), e considerato antidiluviano, è quello chi si identifica correttamente con Sdyidna Idris (11); gli altri due, che sarebbero postdiluviani, sono l’ " Ermete Babilonese" ( El-Bâbel ) e l’ "egizio Ermes" ( El-Miçrî ). Questo sembra indicare chiaramente che le tradizioni sia caldea che egiziana sono state direttamente derivate da un'unica fonte primaria, che, dato il carattere antidiluviano su di essa, difficilmente può essere altro che la tradizione atlantidea» (12). Anche gli antichi Ebrei lo consideravano un profeta e lo identificavano col nome di “Misraim” (13). Per le sue opere Ermete venne considerato un Sacerdote, un religioso depositario delle tradizioni misteriche e delle chiavi della lingua e della scrittura, possessore delle conoscenze derivanti dal perduto regno di Atlantide, la terra scomparsa

(11) Guenon riporta una notizia relativa al popolo Sabeo, popolo conosciuto nel mondo islamico come “Ahl al Kitab”, cioè “genti del libro sacro”. Questo popolo dichiarava di possedere, appunto, un libro sacro rivelato loro da un Profeta- Legislatore che fu identificato come Ermete Trimegisto, mentre i mussulmani lo identificarono con il loro profeta Seyidna Idris o all’ebraico Enoch che loro chiamavano Akhnūkh. (Le origini dell’alchimia nell’Egitto greco-romano, Jack Lindsay, Ed. Mediterranee, Roma, 2002, pag. 15.
Secondo l'erudito del XVII secolo Athanasius Kircher: « Gli Arabi lo chiamano Idris, dall'ebraico Hadores(...), i fenici (...) Tauto, gli Egizi (...) Thot ma lo chiamano anche Ptha e i Greci Ermete Trismegisto. » - Secondo l'erudito del XVII secolo Athanasius Kircher: (Obeliscus Pamphilius, 91). Dal web, fonte Wikipedia.
(12) Forme tradizionali e cicli cosmici, La tomba di Ermete, René Guénon, ed. Gallimard, 1970, pag. 146.
(13) È bene riportare anche, però, che la Bibbia, al cap. 10 della Genesi, verso 6, fa discendere il popolo egiziano da Misraim (nella traduzione questo nome equivale ad “Egitto”), figlio di Cam e dai suoi sei figli Ludim, Anamim, Luhabim, Naphtuim, Phatrusim e Chasluim. I popoli orientali, chiamando l'Egitto coi nomi di Misr, Mestraïa, Myara, Matzour, etc... confermano il testo biblico. Dunque i termini "Misr" e "Misraïm" in ebraico antico indicano, il primo "Egitto" ed il secondo "Egiziano". Quindi Ermete per gli antichi ebrei era semplicemente “l’Egiziano”. Yves Nourissat: I fondatori dell’Egitto: Cam, Misraim e i suoi sei figli. Science et Foi - 3° trimestre 2003, n° 69.

della conoscenza appartenuta all’umanità in un tempo estremamente remoto. Secondo Plutarco, fu il primo in Egitto ad aver posseduto la conoscenza dei caratteri utilizzati dagli Dei, la “ierografia”, cioè il “carattere sacro inciso”, la  "Parola Divina" trasferita agli uomini. Altri invece lo considerano solo l’inventore della scrittura geroglifica. Secondo la tradizione sarebbe autore di circa 42 libri (14) in cui racchiuse il nucleo della dottrina misterica formativa per la stessa casta sacerdotale che aveva accesso alle grandi piramidi e che operava le iniziazioni. Queste conoscenze davano grande potere ai sacerdoti dell’Alto Egitto. Sotto questo punto di vista il mito ce lo tramanda come misterioso iniziatore dell'Egitto alle dottrine sacre ed occulte: la dottrina del "Fuoco come Principio “e quella del "Verbo come Luce", idee fondanti l’impianto esoterico di Ermete. Secondo questa teofania, il Verbo si presenta ad Ermete come il Fuoco che fluisce dalle profondità dell’Abisso tenebroso.Il sacro Fuoco è per Ermete l'intelligenza Altissima: è Vita e Luce. Nel Fuoco - Principio è racchiusa ogni cosa nel potere del divenire, diremmo oggi la Matrice del Tutto. È questo Fuoco Sacro che genera la "Parola Luminosa", il "Verbo Divino" che si manifesta con il Figlio, ed il Padre ed il Figlio sono uniti, perché nella loro unione si trova la ragione della loro esistenza. Nel "Verbo come Luce", invece, secondo Ermete si troverà Dio allo stato di equilibrio, di unità ternaria sotto forma di intelligenza, comprendente i principi fondamentali dell’esistenza: la forza, la materia, lo spirito, l’anima e il corpo che corrispondono all’unione Luce, Verbo e Vita. Ermete è stato il Signore del sapere, il primo a comunicare la conoscenza celeste e divina all’umanità in forma scritta, istruito direttamente dal “Nous”,

(14) Notizia riportata da Clemente di Alessandria, il quale riteneva che gli scritti sacri di Ermete fossero quarantadue e contenessero il nucleo degli insegnamenti formativi degli antichi sacerdoti faraonici (n.d.a)

l’intelligenza divina personificata, egli stesso considerato il dio rivelatore della verità e mediatore tra gli uomini e gli dei. Per cui se Enoch scrisse i suoi libri dopo il suo ritorno dal cielo dove aveva visto e dialogato direttamente con Dio e parlato con Lui, Ermete nei suoi libri trasmette, con ispirazione divina, la traduzione del sapere contenuto in testi scritti in un linguaggio non comprensibile agli uomini e che altrimenti sarebbero stati indecifrabili. Non è dato sapere se questa conoscenza derivasse o meno da una civiltà precedente a quella considerata storica, cioè antidiluviana. È da ritenere che i contenuti del pensiero esoterico riferito ad Ermete sono da considerare senza tempo. La profondità della dottrina sulla sapienza divina dominerà le dottrine esoteriche di tutti popoli della Terra. L’influenza del pensiero di Hermes sulla Dottrina Segreta è stata così grande che a distanza di secoli fu ripresa da Platone e da Pitagora ed ancora oggi di essa si può trovare una certa consonanza e correlazione nel pensiero di ermetisti moderni. Secondo alcuni autori i testi sarebbero stati scritti dal nonno di Ermete. Analizzando questo nome, dunque, si entra direttamente nella leggenda, giacché il nome di Ermete Trismegisto sarebbe stato assegnato dagli Ateniesi ad un filosofo che aveva dimorato per tre volte in Egitto in epoche differenti e che, prendendo per vero quello che riporta Henri-Charles Puech, costui “all’epoca del suo terzo soggiorno, si è ricordato di sé o riconosciuto sé, ricuperando in quest'occasione il suo vero nome"(15) e preso quindi coscienza delle sue vite precedenti. Per esaminare e capire chi è stato velato nel tempo dal mito e dalla leggenda sotto il nome di Ermete ci si deve indirizzare in questa direzione. Ma soprattutto Ermete-Toth fu il dio degli scribi e delle “Case della Vita”. Le Case della Vita erano centri di estrema importanza per l’elaborazione

(15) Henri-Charles Puech: Alla ricerca della Gnosi - Adelphi, Milano 1985.

delle varie sfaccettature della cultura religiosa e magica dell’Egitto. In esse erano custodite le antiche tradizioni ierofantiche, le conoscenze cosmiche e i segreti della Magia, ma, soprattutto, erano centri in cui la casta sacerdotale insegnava ai giovani e ai parenti del Faraone, tutto ciò che era necessario per formare una leadership di governo: la scrittura in forma ieratica, tutte le scienze conosciute e la magia. Dal punto di vista esoterico le Case della Vita erano molto importanti perché esse erano considerate l’epicentro delle energie della Creazione, energie scaturite direttamente dalla Volontà del Dio unico. Un selezionato corpo di sacerdoti, profondi esperti nella magia elaborava, trascriveva e pronunciava le formule teurgiche destinate a mantenere vive e vitali le forze cosmiche proteggenti l’Egitto. Queste formule teurgiche erano ispirate agli scribi direttamente da Thot. La costruzione delle Case era accuratamente codificata, così come è riportato in un papiro che così recita “Circa la “Casa della Vita” essa deve essere in Abido (16). Composta di quattro corpi, quello interno sarà coperto di frasche. Il “Vivente” sarà Osiride mentre le mura saranno Iside, Neftis, Horo e Thoth. Questi sono i quattro lati. Geb (il dio della terra) sarà il suo pavimento e Nut (la dea del cielo) il suo soffitto. L’”Essere occultato in essa” sarà il Gran Dio. I quattro corpi esterni saranno in pietra e il pavimento in sabbia, mentre quattro porte si apriranno: una a sud, una a nord, una a ovest e una a est.”(17) . È evidente come analizzando questa descrizione si possa paragonare le Case della Vita ai templi ebraici, a quelli greci e a quelli massonici, dove importanti sono l’orientazione delle quattro mura, la mancanza del soffitto, e la presenza di un “sancta

(16) Abido (o Abydos ) è una delle più antiche città dell'Alto Egitto. Il nome significa collina del tempio, in quanto si riteneva che in quell'antica città, nel tempio simbolo della collina primigenia emergente dal Nun, vi fosse conservata la testa di Osiride. Fonte Wikipedia
(17) Tratto dal Papiro Salt 825 -Brit. Mus. 10051.

sanctorum” occultato che accoglie il “Gran Dio”. Ad esse erano collegati l’archivio e la biblioteca del tempio, il per-medjat, “casa dei libri”, nelle cui pareti venivano riposti i rotoli di papiro. È in esse che fu custodita e tramandata la fonte primaria delle conoscenze attribuite ad Ermete- Toth. Gli scribi che si formavano in questi centri di cultura ieratica, erano gli uomini più istruiti d'Egitto, oltre ad essere i consiglieri del faraone. Nel 1453, in Macedonia, il monaco italiano Leonardo da Pistoia riuscì ad entrare in possesso di quattordici libri, sicuramente autentici, appartenuti a Michele Psello, filosofo e scrittore oltre che storico bizantino, risalenti all’XI secolo. Questi erano scritti in greco in una raccolta intitolata “Hermetica” ed attribuiti ad Ermete Trismegisto. Ritornato a Firenze, il monaco dette la raccolta a Cosimo de’ Medici che non più tardi del 1463 affidò a Marsilio Ficino (18) il compito di tradurre dal greco al latino i testi e in seguito all’italiano dell’epoca e sarà lui a dare ad essi il titolo di “Corpus Hermeticum”. I libri attribuiti ad Ermete sono con una qualche certezza: La tavola smeraldina, i Libri sublimi e I Misteri Eleusini. Il Kybalion, invece è un testo pubblicato nel 1908 che altro non è che una summa degli insegnamenti ermetici. I suoi autori scelsero di rimanere anonimi dietro lo pseudonimo dei “I tre iniziati”. Numerose sono le leggende che riguardano la Tavola smeraldina. Una riguarda un giovane di nome Balinas che trovò vicino ad una statua di Toth un ingresso segreto: entrato trovò un uomo anziano, seduto su un trono d’oro, che aveva in una mano una tavola di marmo verde e nell’altra uno stilo con una punta di diamante. Balinas altri non era che Apollonio di Tiana “che, come riporta la

(18) Marsilio Ficino (1433-1499), filosofo e letterato italiano che è considerato il principale esponente dell'Umanesimo; dedicò la propria vita alla traduzione di testi classici (i dialoghi platonici, gli inni attribuiti ad Omero e Orfeo, la Teogonia di Esiodo, ecc.) che gli permisero di 'conciliare' la filosofia classica con la religione cristiana in una concezione 'armonica' dell'universo, nel quale l'essere umano è contemporaneamente centro e mediatore tra l'Uno (Dio) e la molteplicità delle Sue manifestazioni.

storiografia ufficiale, divenne in seguito uno dei più Grandi Iniziati ed occultisti del suo tempo, avendo avuto modo di sviluppare ed affinare i suoi grandi poteri “...presso le comunità religiose segrete e dentro i templi più famosi di quell’epoca...” (da G.R. Mead: Apollonio di Tiana, 1926). Presumibilmente questa è stata la prima apparizione della Tavola Smeraldina, almeno secondo quanto racconta Jabir ibn Hayyan (il cui nome latino era Geber) nel suo libro “Il Secondo Libro degli Elementi della Creazione” (Kitab Ustuqus al-Uss al-Thani). Jabir, infatti, nel riferire sulle vicende legate al ritrovamento della Tabula, riporta testualmente quanto scritto ne “Il Segreto della Creazione” il cui autore era proprio Apollonio di Tiana (E. John Halmyard, Storia dell’alchimia, 1957; Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, 1978) ” (19). In seguito alle pubblicazioni di Basilio Valentino, famoso monaco scopritore dell’antimonio, quasi sempre la Tavola smeraldina “era accompagnata da un curioso sigillo che, accennando alla pratica alchimica, porta impressi nell’interno simboli astrologici della Grande Opera e sulla circonferenza la parola V.I.T.R.I.O.L. (20) che tutti gli iniziati conoscono. Louis Ménard classifica questi scritti in quattro libri (21). Il primo libro è generalmente conosciuto sotto il nome di "Poimandrès", "il Pastore dell'uomo", ed è composto da tredici dialoghi suddivisi in quattordici libri e tratta della creazione. In esso Ermete, che in questo libro è discepolo, accoglie gli insegnamenti da Poimandrès che personifica “l'Intelligenza Sovrana o Divina". È importante ricordare che, come afferma Murry Hope (22), questo libro in particolare, anticamente, era circolante in ambienti gnostici ed esseni,

(19) Tratto dalla La Divina Proporzione ovvero sull’Armonia Universale - Antonio Micali, M. V. loggia Loggia Quatuor Coronati n. 112 della Gran Loggia Regolare d’Italia.
(20) Alchimia, storia, procedimenti, segreti alla ricerca della pietra filosofale- Roberto Tresoldi, De Vecchi, Bari- ed. 2012 
(21) Ermete Trismégisto. Louis Ménard, Edizioni de La Maisnie, 1979.
La classificazione riportata non è l’unica. Si è scelto di riferirsi ad essa perché più aderente alla tradizione ermetica. 
(22) Magia egizia. Murry Hope, Feltrinelli, 1989, pag. 91.


i quali abbracciarono “molte delle dottrine” contenute in esso. In particolar modo “La mente divina è maschile e femminile, l’aspetto muliebre essendo la Sophia o sapienza, quello maschile, il Christos o volontà” (23). Il secondo, l’Asclepios, si compone di un discorso d'iniziazione nel santuario, che contiene, suddivisi in parecchi capitoli, gli insegnamenti che Ermete rivolge a due suoi discepoli di nome Asclépios ed Ammon. Il testo è un trattato di magia nel quale si presentano i rituali dei sacerdoti egizi e le interazioni con le forze sovrannaturali. Tutto il testo è una arringa divina e religiosa ispirata dall'Alto.Il terzo libro racchiude tre capitoli conosciuti come i “Frammenti di Stobeo”. Essi si compongono di 39 testi e comprendono dei dialoghi fra Iside e Horus sulla creazione del mondo e l’origine delle anime. Questi testi, si presentano come traduzioni dall’egiziano, ma contengono pochi elementi egiziani autentici. Tra questi è da ricordare “Il Sermone di Iside a Horus”. In questa opera la dea Iside, sposa di Osiride, conversa con suo figlio Horus, e gli svela il modo in cui furono creati gli uomini, come questi furono provvisti di anime, e il modo in cui essi fecero evolvere le loro anime. Il quarto libro è costituito da frammenti che riprendono comunque i temi teurgici ed iniziatici trattati “nell’Asclépios" e in tutti gli altri libri.Il Corpus Hermeticum rappresentò la fonte di ispirazione del pensiero ermetico e neoplatonico rinascimentale. Secondo molti autori i temi dell’Corpus Hermeticum furono anche usati dai filosofi del primo Cristianesimo, soprattutto Origene e Clemente Alessandrino, per dare solidità filosofica alle loro argomentazioni sul cristianesimo. Si rende così evidente come sia stato l’Egitto la fucina filosofica in cui si produsse un pensiero esoterico che precedette l'avvento dell'era cristiana. Furono questi testi che poi

(23) Idem nota precedente, pag. 92.


giunsero a noi nel medioevo ma alterati anche a volte largamente dall'influenza delle filosofie ellenistiche della scuola diAlessandria. Nei cinque millenni che precedettero l’avvento della religione cristiana furono elaborate in Egitto le dottrine misteriche ed esoteriche che per la loro completezza, profondità, rispondenza alle fondamentali domande dell’umanità, riuscirono ad influenzare la civiltà ebraiche con Mosé e quella greca con Orfeo che a loro volta diverranno i cardini per lo sviluppo delle grandi religioni nate in tutto il bacino del mediterraneo che da sempre è il collante di tutte le civiltà occidentali e orientali nate e morte sulle sue sponde. A questo punto sembra opportuno concludere che nel quarto secolo d.c. ci fu “qualcuno” che scrisse o riscrisse i libri “riferiti” ad Ermete Trismégisto, che attinse molto ad una tradizione esoterica egiziana più antica, preservata e trasmessa dalla casta sacerdotale che faceva riferimento alle “Scuole di vita “delle piramidi. Scuole di vita che erano grandi biblioteche, in cui si copiavano da parte degli scribi, scritti in ieratico come traduzioni dei testi in geroglifico. Questo “qualcuno”, può essere probabilmente identificato con un gruppo di iniziati che appartenevano a questo sacerdozio. Furono questi a tramandare sotto forma di “archetipi sapienziali” i cardini dell’esoterismo ermetico. Così come afferma Socrate gli archetipi costituiscono gli elementi base per l'espressione simbolica della conoscenza universale. Penetrando la comprensione della funzione degli archetipi diventa possibile classificare l'esistenza di elementi comuni a filosofie religiose apparentemente diverse, perché sorte in epoche differenti e in ambiti antropologici e geografici diversi. La conoscenza dei nuclei di pensiero archetipici consente di unificare ciò che apparentemente sembra differente. È la sapienza che insegna ad abolire le differenze di tempo e di luogo per svelare ciò che è universalmente valido: la sapienza è la strada che porta a concepire il permanente e l'universale. Per questo, confrontandosi con il pensiero di Ermete –Toth, siamo costretti a riflettere su quanto profondo fosse l’esoterismo egiziano e quanto di spiritualità abbiamo oggi perso immolando il pensiero creatore, l’unico in grado di rispondere alle domande fondamentali dell’Uomo che vuole progredire nel suo intimo, alla materialità. L’Umanità ha avuto molti Maestri, grandi Iniziati, che con i loro insegnamenti, spesso discordanti con il comune sentire degli uomini loro contemporanei, hanno tracciato una strada, una via che ogni iniziato sa di dover percorrere per arrivare al Vero su di sé e sul mondo che lo circonda. Ognuno di questi Grandi Iniziati ha lasciato un segno importante nella storia perché fu anche l’iniziatore di una religione, qualsiasi sia il significato che si vuole dare a questo termine. Furono soprattutto maestri spirituali dell’Umanità, creatori delle scienze, delle religioni e delle arti. Tutto il loro pensiero può essere trovato negli archetipi sapienziali riferiti forse da Dio a un Uomo - Dio, a Ermete - Toth. Che egli fosse un Dio o un Uomo–Dio, che fosse più probabilmente un gruppo di sacerdoti che facevano capo alle Case di Vita come casta sacerdotale, pare di secondaria importanza rispetto al grande patrimonio culturale che ci è giunto grazie a degli scribi che, come gli amanuensi benedettini facendo del silenzio uno spazio sacro in cui lavorare, hanno consentito che giungesse fino a noi l’Antica Tradizione ieratica egiziana. Patrimonio culturale su cui trova ragione l’Antica Tradizione iniziatica, la sola a cui gli esoteristi da sempre fanno riferimento per la loro crescita spirituale. Inutile, ci sembra, ricercare la “Fonte Prima” di questa conoscenza: ci troveremmo ad affrontare un segreto troppo grande per sopportarne il peso, giacché essa fu ispirata direttamente dall’Alto. Ermete rinasce per tutti gli iniziati dalla notte dei tempi, per trasmettere il suo messaggio universale: “Come sopra –
così sotto, come sotto – così sopra. Come dentro – così fuori, come fuori – così dentro. Come nel grande – così nel piccolo” che nessuno può interpretare nella giusta maniera se non possiede in sé la conoscenza del “Fuoco come Principio”, principio attivo matrice dell’Universo, e del “Verbo come Luce”, Parola del Creatore, Verbo che tutto può.