di Raffaele Arcadi
Come tutti ormai saprete, il Capitolo La Culma all'Oriente di Bergamo si è reso promotore, in senso al Gran Capitolo dei Liberi Muratori dell’Arco Reale in Italia, della traduzione integrale e per la prima volta nella nostra lingua del Duncan’s Masonic Ritual and Monitor, opera del Fr:. americano Malcom C. Duncan, pubblicata per la prima volta a New York nel 1866.
Il lavoro di prima traduzione è stato completato da qualche settimana ed è attualmente in corso una revisione del testo, necessaria a risolvere ancora qualche nodo di traduzione e per migliorarne la forma.
Sebbene mai tradotta prima in Italia, “il Duncan” è un’opera molto conosciuta a livello internazionale e molto apprezzata, tra le molte pubblicate nella storia della Libera Muratoria – soprattutto anglosassone – per le sue peculiarità.
Innanzitutto, per quanto di nostro interesse in quanto Liberi Muratori dell’Arco Reale, mi pare opportuno far notare che il Duncan contiene l’esposizione organica e completa dell’intera ritualità massonica, a partire dal grado di Apprendista Ammesso fino a quello di Maestro dell’Arco Reale.
Rispetto alla nostra diretta esperienza di Liberi Muratori del G.O.I., dunque, quest’opera offre la possibilità di vedere applicata stessa tipologia di ritualità che abbiamo imparato a conoscere nel Capitolo anche ai gradi della c.d. Massoneria Azzurra, in un contesto unico e coerente.
A ciò si aggiunga che il Duncan riunisce in sé tanto le caratteristiche del “rituale” quanto quelle del “monitor”, cioè di un testo contenente le istruzioni ed esplicazioni del primo, nonché le “istruzioni” o “catechismi” (lectures), utili a meglio comprenderlo e ad approfondirne i significati più nascosti e meno evidenti, ma non per questo meno importanti.
All’epoca della pubblicazione del Duncan negli Stati Uniti d’America erano già stati dati alle stampe tanto dei “rituali” quanto dei “monitor”, nonché numerose opere massoniche divulgative, cosa di cui lo stesso Autore spesso dà atto e che dichiara espressamente di avere utilizzato sia come fonti sia come pietre di paragone per il suo lavoro (ad esempio: le opere di Mackey datano già dagli anni ’40 del 1800; il Monitor of Free-Masonry di Richardson è del 1860; il Freemason’s Monitor di Webb è del 1865).
Tuttavia, l’apprezzamento generale che ormai da molti anni accompagna il Duncan pare trovare la sua causa nel fatto che nessun lavoro precedente (vedasi il Webb, che è molto simile per impostazione) tratta la materia in modo così chiaro; l’estrema comprensibilità dell’esposizione, infatti, è uno degli aspetti più peculiari del Duncan: nessun mistero; tutto è spiegato nei minimi particolari, anche con esempi pratici, ove ritenuto necessario dall’Autore.
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Cenni storici
Dal punto di vista storico, la redazione del Duncan interviene in un momento storico in cui, negli USA, c’era molto fermento intorno alla Massoneria.
Non sto a ricordare – essendo notorio – il contributo fondamentale della Libera Muratoria nella nascita della nazione americana, tanto nella Rivoluzione del 1776 quanto nella successiva creazione delle prime strutture statali e federali, che di fatto aveva determinato uno sviluppo ed una crescita della neonata Unione parallelo alla diffusione della Massoneria ed al sorgere di numerose Grandi Logge – una per Stato, secondo il principio della ‘giurisdizione territoriale esclusiva’, secondo il quale per ogni territorio di uno Stato doveva esistere una sola Obbedienza massonica.
Tuttavia, nel 1826 si verificò un episodio che provocò una battuta d’arresto nel rapporto tra la Massoneria statunitense e l’opinione pubblica, nonché molte tensioni all’interno della stessa Istituzione.
Ne faccio menzione in quanto – oltre ad essere una storia interessante, magari già nota ai più, è a mio giudizio di particolare rilevanza per il momento storico che noi Liberi Muratori viviamo attualmente in Italia – è lo stesso Duncan che, nella prefazione, fa specifico riferimento ad una generalizzata situazione di diffidenza nei confronti della Massoneria e di particolare cautela della medesima nei rapporti con i “profani”.
Questi i fatti.
William Morgan, un tagliapietre e massone della piccola città di Batavia nello Stato di New York, aveva manifestato il desiderio di pubblicare un libro sulla Libera Muratoria, nel quale ne fossero esplicitati tutti i rituali, i segni di riconoscimento e i simboli.
Questa sua intenzione lo pose in contrasto con i Massoni della città, i quali lo invitarono pubblicamente – attraverso una serie di articoli sul giornale di Batavia, ‘Spirit of the Times’, pensate – a desistere dal pubblicare il testo; inoltre la tipografia Miller, che si era offerta di pubblicare il testo di Morgan, fu più volte oggetto di vandalismi da parte di alcuni Liberi Muratori della città.
In questo clima di tensione, un gruppo di Fratelli decise di far imprigionare Morgan – con la scusa di un debito non pagato – onde fargli mutar proposito; egli fu tuttavia immediatamente liberato e condotto dai suoi ‘salvatori’ (altri massoni di Batavia) verso Fort Niagara, in Canada, dove scomparve in modo inesplicabile.
Prontamente l’opinione pubblica affermò che Morgan era stato assassinato, per cui non solo i rapitori vennero subito individuati ed incarcerati, ma soprattutto si scatenò un’accesa opposizione nei confronti della Massoneria, ritenuta un’associazione senza scrupoli responsabile dell’accaduto: clericali, battisti, mennoniti, quaccheri istigarono le folle contro la Libera Muratoria.
Quando, nel 1827, venne rinvenuto il presunto cadavere di Morgan (in realtà non era il suo, visto che pare sia ricomparso nel 1831 a Smyrna), giornali, sermoni antimassonici e pamphlets vari sensazionalizzarono la storia, intensificando così la loro campagna contro la Libera Muratoria. Furono addirittura avanzate richieste di boicottaggio economico, di dimissioni da ruoli pubblici e di proscrizioni da ambienti mondani; insegnanti appartenenti alla Massoneria dovettero abbandonare il proprio incarico, mentre venne richiesto alle Autorità di proibire ogni attività massonica.
Tra il 1828 e il 1829, il movimento antimassonico si diffuse con grande rapidità nello Stato di New York e nei restanti Stati del nord; i legislatori che aderivano a tale corrente tentarono di far promulgare leggi che bandissero la Fratellanza e ne rendessero noti i suoi affiliati.
In occasione delle elezioni per la presidenza della Nazione nel 1832, il movimento antimassonico – che nel 1830 si era organizzato in partito politico, capeggiato dall’ex presidente John Quincy Adams, e che contava alcuni membri alla Camera dei rappresentanti – presentò William Wirt come proprio candidato, in opposizione ai massoni Henry Clay e Andrew Jackson; ma la vittoria di quest’ultimo, che gli valse peraltro un secondo mandato, inflisse forse il colpo definitivo al partito che osteggiava la Libera Muratoria.
L’effetto di un tale accanimento contro la Massoneria, tuttavia, avrebbe comunque lasciato un segno, avendo prodotto una sensibile riduzione delle logge nel Paese: dalle 500 officine attive a New York nel 1825 si passò a 75 nel 1835; per diverso tempo, numerose logge sospesero i propri lavori nel Vermont, mentre la Gran Loggia del Rhode Island non fondò logge per quasi trent’anni.
Tuttavia, nel contesto dei cambiamenti che gli Stati Uniti vissero tra il secondo mandato di Jackson nel 1832 e la conclusione della guerra civile nel 1865, la Massoneria americana riuscì a riaffermare la propria trasversalità, anche grazie ad una ‘nuova’ immagine ancor più vicina alla società civile, a cui fu strumentale la fondazione di nuove organizzazioni politiche e sociali di ispirazione massonica, quali l’American Temperance Society, l’American Peace Society, l’American Anti-Slavery Society e l’American Home Missionary Society.
Nonostante la secessione degli undici Stati del Sud avesse diviso società, famiglie e fratelli (la Guerra di Secessione ebbe luogo tra il 1861 e il 1865), l’Istituzione fu comunque in grado di evitare una profonda divisione al suo interno: pur non essendoci una posizione ufficiale in risposta agli eventi della guerra civile, alcuni massoni manifestarono la loro costernazione per il conflitto e avanzarono proposte di soluzione.
Tale impostazione, del resto, era altresì evidenziata dalla formazione, tra gli eserciti, di circa 225 logge ‘militari’ che, al pari di quelle che operarono durante la guerra d’indipendenza, divennero luoghi di rifugio dalla confusione delle battaglie, dove ci si poteva confrontare secondo i valori di uguaglianza e fratellanza.
Conclusa la guerra civile, che aveva fortemente minacciato quanto creato dai padri fondatori nel 1776, anche la Massoneria statunitense poté giovarsi di un clima più mite entrando in un nuovo periodo di prosperità e prestigio.
In questo ritrovato contesto di serenità, si inserisce dunque il lavoro di Malcom C. Duncan.
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Alcuni spunti di riflessione…
Non potendo il sottoscritto qualificarsi come “ritualista” (qualsiasi cosa possa voler significare) né, tanto meno, come “storico della Massoneria”, cercherò di isolare alcuni nuclei tematici che, da semplice Libero Muratore che cerca di studiare nel tempo libero, più hanno stimolato le mie riflessioni (che sono state numerosissime, data l’immensa quantità di spunti che può offrire un testo come il Duncan).
Auspico che queste prime considerazioni possano essere da stimolo per riflessioni ben più profonde e sagge da parte del Capitolo.
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1. L’opportunità di vivere la ritualità massonica, dal grado di Apprendista a quello di Maestro dell’Arco Reale, come un unicum coerente.
Alla luce dell’esperienza del lavoro con i rituali del Capitolo, la possibilità di affrontare la traduzione dei gradi della Massoneria Azzurra utilizzando la medesima “chiave rituale” ha costituito per me una vera e propria riscoperta di questi gradi, chiaramente al netto delle differenze che, soprattutto in grado di Apprendista, sono piuttosto marcate.
A tal riguardo si sono rivelate essenziali, soprattutto, da una parte la struttura stessa del rituale che, formulato secondo lo schema dei catechismi, è risultato essere molto didascalico; dall’altra parte, le lectures sono state uno strumento utilissimo a mettere in correlazione le diverse parti del rituale, a dare la giusta evidenza ai passaggi più importanti dal punto di vista iniziatico e a facilitarne la memorizzazione e l’interiorizzazione.
Qualche tempo fa si parlava proprio in questo Capitolo dell’assimilazione par cœur del rituale: ebbene, ho avuto la netta impressione che questa “tecnica” trovi una sua più appropriata applicazione proprio nei rituali dei primi tre gradi, soprattutto in quello di Apprendista e di Maestro, in cui più grande – per motivi diversi – è il coinvolgimento dell’iniziando.
Ne è risultato che anche i gradi capitolari sono fluiti naturalmente, legandosi senza alcuna soluzione di continuità ai primi tre.
Un esempio di ciò può essere la formulazione delle premesse solenni (anche se personalmente non riesco ancora a capire cosa ci sia di sconveniente nella parola “giuramento”): la lettura di tutte le formule, dal primo all’ultimo grado ce ne fa apprezzare la progressione, la consequenzialità ed il modo in cui ci conducono immediatamente e spontaneamente a ripercorrere tutti i segni dei precedenti gradi.
Questo ri-agire ogni volta il proprio percorso massonico, mettendo in correlazione i vari gradi, mi sembra che consenta di acquisirne una grande consapevolezza e che porti i Fratelli ad avere sempre ben presente la specificità del lavoro che stanno compiendo in quel momento, focalizzandosi maggiormente sul lavoro da fare.
Non è poi irrilevante che, al contrario, i doveri del Libero Muratore vengano invece sostanzialmente sempre ripetuti identici (o quasi) in tutti i gradi, a conferma del fatto che il rispetto degli Antichi Doveri e dei Landmarks costituisce il comportamento minimo richiesto a tutti i Massoni di ogni ordine e grado affinché possano definirsi tali.
Vorrei aggiungere inoltre di aver realizzato che molto dei primi tre gradi c’è e deve essere “recuperato” nei gradi capitolari, operazione davvero molto complessa nell’attale realtà rituale italiana del G.O.I., in cui la ritualità dei primi tre gradi e quella del Rito di York sembrano appartenere ad universi differenti (a mio sommesso avviso purtroppo segnando, inconsapevolmente o meno, una sorta di linea di confine tra la Libera Muratoria delle Logge e quella del Rito non solo sotto questo aspetto).
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2. L’opportunità di apprezzare il valore dell’essenzialità del rituale.
Nei nostri Lavori ordinari in Loggia utilizziamo il rituale “ufficiale” del G.O.I., come sappiamo di derivazione “scozzese” (lascio ad altri più preparati di me di discettare sul punto); si tratta di un rituale che potrà piacere o meno, ma che sicuramente non si caratterizza per la sintesi, ma anzi tende ad essere piuttosto “colorito”.
Qualcuno potrà dire che una certa pomposità “arcaicizzante” fa parte del DNA della Massoneria – sostanzialmente servendo a dare l’idea dell’antichità dell’Istituzione – e ciò, per certi versi, potrà anche essere vero; ma devo ammettere che il lavoro di traduzione e di studio del Duncan mi ha fatto apprezzare il valore dell’essenzialità di questo rituale.
Questa caratteristica, infatti, ha l’indubbio e pregevole effetto di portare in piena luce i simboli propri della tradizione libero-muratoria di cui il rituale è ricchissimo, e di comprendere cosa significhi davvero l’affermazione secondo cui il rituale è un “simbolo agito”.
In questo senso, ancora una volta, sono emblematiche le lectures, che in brevi e serrate battute riescono a delineare (direi quasi a scolpire, atteso che il sistema delle “domande&risposte” è davvero “martellante”) ed a valorizzare tutti gli elementi simbolici fondamentali presenti nel rituale.
A tal proposito, vorrei sottolineare la ricchezza delle lectures del grado di Maestro Muratore: in esse, infatti, oltre ad un interessante excursus storico, si trova anche la descrizione puntuale dei principali simboli collegati a questo grado, che mi sembra siano sostanzialmente scomparsi nella ritualità italiana. Ad esempio, l’alveare, l’arca e l’ancora, la clessidra, il teorema di Pitagora (o 47° problema di Euclide), la falce.
Per quanto la loro esplicazione sia fondamentalmente più di carattere morale che simbolico in senso stretto, mi sembra importante il fatto che si tratti di una simbologia certamente tra le più antiche, che in quella ritualità si è comunque conservata e che meriterebbe di essere recuperata anche nella nostra.
Peraltro, non mi sembra nemmeno che l’essenzialità del rituale venga meno per la presenza di alcune preghiere ed inni, che comunque fanno parte della tradizione rituale anglosassone.
Quando presenti, infatti, tali elementi non danno affatto l’impressione di una eccessiva “liturgizzazione” del rituale, ma paiono degli utili momenti di concentrazione – di meditazione, se vogliamo – su un punto particolarmente intenso del rituale, in cui è più necessario che risalti il momento della discesa dell’influenza spirituale sui Fratelli.
Ecco, la perdita di questo collegamento rituale espresso con la “divinità” – che noi presenti abbiamo la possibilità di recuperare nel Rito – credo sia una falla dell’attuale rituale in uso nel G.O.I., perché indebolisce, appunto, la percezione di un aspetto iniziatico cardine dell’esperienza massonica.
Conosciamo tutti la ragione di questa omissione, ma forse sarebbe ora di superare certe “ruggini risorgimentali” e forzatamente anticlericali, per arricchirne nuovamente i rituali dei primi tre gradi.
Come nota di colore, vi segnalo la Canzone del Maestro del Marchio, che in pochi versi sintetizza tutti i passaggi fondamentali del rituale di questo grado!
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3. L’opportunità di trovare, finalmente, molte spiegazioni ai passaggi fondamentali dei nostri rituali.
La parte più profonda dei nostri rituali, il loro cuore, come sappiamo è costituito dalla parole sacre, parole di passo, prese, toccamenti, ecc., il cui apprendimento rappresenta la parte fondamentale dell’istruzione di tutti i gradi.
Ciononostante, penso che sia esperienza comune della vita di Loggia che, nella maggior parte dei casi, quasi tutti questi simboli vengono insegnati, impartiti – e quindi imparati – ma quasi mai spiegati, esplicati. E questo perché l’istruzione formale non è prevista dall’attuale ritualità italiana (scozzese, ma anche del nostro Rito, a voler essere onesti) come parte integrante dei lavori.
Nel mio piccolo, devo ammettere che lo studio del Duncan mi ha consentito di apprendere per la prima volta, in molti casi, l’origine ed il significato delle parole sacre e delle parole di passo, nonché di avere finalmente una spiegazione di alcuni passaggi rituali piuttosto complessi in mancanza di uno studio specifico.
Penso, ad esempio, alla spiegazione dell’origine e del significato delle parole sacre di tutti i gradi: a tal proposito, è emblematico il caso della parola di secondo grado, shibboleth e del connesso racconto molto particolareggiato della storia degli Efraimiti e dell’attraversamento del fiume Giordano, per il quale la parola era stata scelta dagli uomini di Gilead, loro avversari, come lasciapassare.
Ancora, sempre nel grado di Compagno di Mestiere, nella seconda sezione della lecture si trova un’interessantissima trattazione sulla descrizione delle due colonne, Boaz e Jachin, e sulla storia della loro realizzazione, che dà conto del significato simbolico di ciascuna delle parti che le compongono.
Per la curiosità dei Compagni, riporto qui di seguito quella parte della lecture:
D. - Siete mai ritornato al Sancta Sanctorum, o Santo dei Santi, o Tempio del Re Salomone?
R. - Sì.
D. - Per quale via?
R. - Attraverso un lungo portico o un viale.
D. - Qualcosa in particolare colpì la vostra attenzione durante il vostro ritorno?
R. - Sì: due grandi colonne, o pilastri, una a sinistra e una a destra.
D. - Qual era il nome dei quella di sinistra?
R. - Boaz, che significa forza.
D. - Qual era il nome di quella di destra?
R. - Jachin, che significa stabilità.
D. - A cosa alludono collettivamente?
R. - Ad un passaggio delle Sacre Scritture, in cui Dio ha dichiarato con queste parole, "nella forza questa casa sarà stabilita".
D. - Quali erano le loro dimensioni?
R. - Trentacinque cubiti in altezza, dodici in circonferenza, e quattro di diametro.
D. - Erano adornate con qualcosa?
R. - Si, lo erano; con due grandi capitelli, uno su ciascuna di esse.
D. - Quale era l’altezza di questi capitelli?
R. - Cinque cubiti.
D. - Erano ornati con qualcosa?
R. - Sì, lo erano; con degli intrecci a rete, gigli, e melograni.
D. - Cosa rappresentano?
R. - Unità, Pace e Abbondanza.
D. - Perché?
R. - La rete, con la sua connessione, rappresenta l’unità; i gigli, con il loro candore e purezza, rappresentano la pace; e i melograni, con la copiosità dei loro semi, rappresentano l’abbondanza.
D. - Queste colonne erano ornate con qualcos’altro?
R. - Sì, con due grandi globi o sfere, una su ciascuno di esse.
D. - Qual era l’altezza totale di queste colonne?
R. - Quaranta cubiti.
D. - Contenevano qualcosa?
R. – Sì: tutte le mappe e le carte dei corpi celesti e terrestri.
D. - Perché si diceva che fossero così ampie?
R. - Per rappresentare l’universalità della Libera Muratoria e che un Libero Muratore dovrebbe avere pari grandezza.
D. - Qual era la loro composizione?
R. - Metallo fuso oppure ottone stampato.
D. - Chi le fuse?
R. - Il nostro Gran Maestro, Hiram Abiff.
D. - Dove furono fuse?
R. - Sulle rive del fiume Giordano, nel terreno argilloso tra Succoth e Zaredatha, dove il Re Salomone ordinò che fossero fusi queste e tutte gli altri recipienti sacri.
D. - Furono fuse piene o cave?
R. - Cave.
D. - Qual era il loro spessore?
R. - Quattro pollici, o un palmo.
D. - Perché erano fuse vuote?
R. - Per resistere meglio alle inondazioni e agli incendi; si dice che contenessero tutti gli archivi della Massoneria.
Per fare un altro esempio, è stato molto interessante l’approfondimento che è stato fatto a partire da una nota esplicativa relativa al significato della parola di terzo grado Tubal-cain, che si ricollega peraltro alla storia delle “prime” due colonne, che furono modello per la creazione delle due colonne del Tempio di Re Salomone – di cui ho appena detto – mediante il riferimento all’arte della forgiatura dei metalli, prerogativa, appunto, di Tubal-cain, ed in cui secondo la tradizione era stato maestro anche Hiram Abif.
Oppure penso ad alcuni passaggi biblici presenti nel rituale dei gradi capitolari, che ho potuto comprendere appieno nel loro significato soltanto dopo averli letti ed esaminati parola per parola in tre o quattro diverse edizioni della Bibbia (ad esempio, nel rituale del Maestro del Marchio).
Merita di essere anche segnalato, con riferimento al rituale dell’Arco Reale, che in una nota a pie’ di pagina relativa al nome ineffabile, si trova una interessante esplicazione, secondo cui il nome ineffabile in India era Aum che, nella sua forma tri-letterale, era rappresentativo del potere creativo, conservativo e distruttivo, che è di Brahma, Vishnu e Siva.
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4. L’opportunità di poter approcciare i “nostri” rituali in modo più consapevole.
Dal punto di vista “tecnico” lo studio del Duncan mi ha consentito di guardare ai rituali attualmente usati in Italia, anche nel Capitolo, in modo molto più consapevole.
A mio personale avviso, cercando di essere onesti intellettualmente e liberi da pregiudizi di sorta, non può non ammettersi che i rituali attualmente in uso nel G.O.I. meriterebbero una meditata revisione che prendesse le mosse, piuttosto che da asserite pretese di “aggiornamento” e/o “modernizzazione” dello stesso, al contrario da uno studio serio ed approfondito della storia dei rituali e dei simboli che li compongono.
Un chiaro esempio di ciò può essere quello della notoria (ed inspiegabile) inversione, nel rituale di Apprendista attualmente in uso nel G.O.I., della sequenza SAPIENZA-FORZA-BELLEZZA (nel rituale in uso SAPIENZA-BELLEZZA-FORZA), ovvero “i tre grandi pilastri” della Libera Muratoria.
Nel Duncan si dà conto e ragione, in modo del tutto logico ed inappuntabile dal punto di vista iniziatico, della corretta sequenza: nella terza sezione delle Lectures del rituale di primo grado, infatti, si legge:
Domanda – Cosa regge questo immenso edificio? [La Libera Muratoria, n.d.r.]
Risposta – Tre grandi pilastri, costituiti da Saggezza, Forza e Bellezza.
D. – Perché sono chiamati così?
R. – Perché è necessario che ci sia la saggezza per ideare, la forza per sorreggere e la bellezza per adornare tutti i grandi ed importanti progetti.
D. – Da chi sono rappresentate?
R. – Dal Maestro Venerabile, dal Primo e dal Secondo Sorvegliante.
D. – Perché si dice che le rappresentino?
R. – Il Maestro Venerabile rappresenta il pilastro della Saggezza, perché deve avere saggezza nell’aprire la Loggia, mettere gli operai al lavoro e dar loro le corrette istruzioni. Il Primo Sorvegliante rappresenta il pilastro della Forza, essendo suo dovere assistere il Maestro Venerabile nell’apertura e nella chiusura della Loggia, pagare agli operai il loro salario, se dovuto, e controllare che nessuno se ne vada insoddisfatto, essendo l’armonia la forza di tutte le istituzioni, e specialmente della nostra. Il Secondo Sorvegliante rappresenta il pilastro della Bellezza, essendo suo dovere in ogni momento osservare il sole al suo meridiano, che è la gloria e la bellezza del giorno.
La semplicità con cui il “nodo” in Italia tanto dibattuto (e risolto in modo errato nel rituale attuale) qui viene sciolto, è quasi disarmante.
È più che evidente che non si tratta di compiere un’operazione meramente filologica, quanto invece di comprendere l’origine e la natura di un certo simbolo, di contestualizzarlo nella tradizione libero-muratoria e, quindi, di valorizzarlo efficacemente nel rituale.
Lo studio del Duncan riga per riga, parola per parola, ha certamente portato il sottoscritto e gli altri traduttori a valutare le formule del rituale nelle loro implicazioni storiche, simboliche ed iniziatiche, le quali conferiscono funzionalità e pregnanza al rituale stesso nella sua interezza, dal primo all’ultimo grado.
Mi sia consentito di rilevare che dal confronto con il Duncan è emersa anche una certa incoerenza nella formulazione dei rituali attualmente usati nel Capitolo, che forse paga il fatto di essere una traduzione diretta dei rituali americani, peraltro anch’essi non particolarmente felici nella loro attuale redazione.
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Arrivati alla conclusione, mi preme chiarire che il Duncan non è un rituale perfetto, né che esso può essere considerato il Santo Graal dei rituali; tuttavia, la grande ricchezza di informazioni contenuta in quest’opera fornisce moltissimi strumenti utili a stimolare profonde riflessioni sulla Libera Muratoria e sui suoi simboli e per comprenderli meglio, il che non potrà non portare, a tempo debito, i suoi frutti.
In questo senso, mi auguro che il lavoro di traduzione del Duncan che si sta portando avanti possa essere un buon viatico per un futuro miglioramento complessivo della nostra ritualità e, quindi, del livello del nostro lavoro iniziatico in tutti i gradi, anche in quelli capitolari.
Anzi, proprio il Capitolo dovrebbe prestare massima attenzione ad un’opera del genere; il motivo, secondo me molto chiaro, ce lo indica lo stesso Duncan in un passaggio contenuto – ancora una volta – in una nota a pie’ di pagina, citazione dal Rev. Oliver:
“Se noi passiamo sull’Arco Reale”, dice il Rev. G. Oliver nelle sue Lectures on Freemasonry, “riceviamo un meraviglioso accesso alla conoscenza, e troviamo ogni cosa realizzata perfettamente; per questo è il non plus ultra della Massoneria e non potrà mai essere superato da qualunque altra istituzione umana”. (Fellows's Inquiry into the Origin, History, and Purport of Freemasonry, pag. 322). Un grado indescrivibilmente più augusto, sublime e importante di qualsiasi altro che lo precede, ed è, infatti, il punto massimo e la perfezione dell’antica Massoneria. Esso imprime nella nostra mente il credere nell’esistenza di un Dio, senza l’inizio dei giorni e la fine degli anni, il grande e incomprensibile Alfa e Omega, e ci ricorda del grande rispetto che è dovuto al suo Santo Nome. (Historical Landmarks , vol. I. pag. 86).
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