Presentati i libri del giornalista barese Antonio Massari sui magistrati Clementina Forleo e Luigi De Magistris. “Why not?”. Perchè no? Perchè non parlare di qualcosa che potrebbe essere molto importante al punto da fare cadere un governo? Tanta gente se l’è chiesto. Tanti continuano ancora a chiedersi perchè nel nostro amato paese ci sono ancora troppi buchi neri secondo cui alcune verità è meglio che siano ancora taciute? Clementina Forleo e Gianni De Magistris non passeranno alla storia patria italiana come è toccato, loro malgrado, a qualche illustre collega che ha pagato con la vita il prezzo del proprio operato; magari i due giudici continueranno a fare il proprio onorato mestiere in qualche tranquilla procura della provincia italiana, lasciandosi alle spalle i mesi di gloria vissuti durante le inchieste che hanno scoperchiato qualche verità troppo scottante. O magari vivranno di nuovo sulla breccia dell’onda. Chi lo sa? Ai posteri l’ardua sentenza avrebbe detto Manzoni.
“Perchè no?” viene da chiedersi adesso, ma ciò nonostante oggi, quando l’inchiesta ormai ha suscitato il clamore che doveva e sta lentamente sgonfiandosi, qualcuno ha provato raccontare la propria versione della vicenda. Costui è un giornalista barese del quotidiano “La Stampa”. Si chiama Antonio Massari e ha scritto due libri, ciascuno dedicato alle due personalità su citate. “Clementina Forleo, un giudice contro” e “Il caso De Magistris”, in cui la prefazione è curata da Marco Travaglio e nei quali si prova a spiegare cosa sia successo a questi due magistrati, che, di punto in bianco, si sono trovati a gestire una realtà che forse nemmeno loro avrebbero potuto lontanamente immaginare. Alla base di tutto c’è solo una verità incontrastabile: l’autore non ha paura di sottolineare come il ruolo del magistrato viva una condizione poco invidiabile di solitudine ed isolamento. Si faccia attenzione: “Non sono assolutamente la stessa cosa”, tiene a precisare Massari, che con invidiabile sicurezza, degna di chi ha contezza di ciò che dice, si ferma a spiegarne il significato. “Il giudice è solo nel giudicare, e deve essere isolato e libero da qualsiasi tipo di condizionamento”.
Massari si lascia ascoltare con piacere. La sua non è la propaganda di uno scrittore che vuole vendere un suo prodotto, è il racconto di una realtà tipicamente italiana, in cui il mettersi d’accordo sulle personalità da portare avanti o viceversa da stoppare perchè ingombranti riecheggiano in ogni settore, anche all’interno di quell’organo costituzionale che prende il nome di Consiglio Superiore della Magistratura dove giudici di destra, centro o sinistra vivono i loro ruoli neanche fossero in Parlamento. La realtà che raccontano questi due libri è comunque incontrovetibile: se un giornalista conosce una notizia non può fare a meno di pubblicarla, sia essa relativa ad un segreto di stato, sia essa relativa alla famiglia Mastella da Ceppaloni. Così è stato per l’inchiesta “Why not”, e così sarà sempre, almeno fino a che il rapporto che sussiste tra giustizia ed informazione continui ad essere morboso e al tempo stesso molto poco professionistico. Fuga di notizie, potrebbe chiamarsi. E non va bene.
“De Magistris è stato indagato ben 15 volte per divulgazione di atti di ufficio” racconta Massari, che poi affonda giù: “I magistrati, devono avere alla base del proprio lavoro autonomia ed indipendenza, ma questo vale anche per i giornalisti, che sono soggetti solo ad un unico grande padrone, ovvero la schiera dei lettori. Chi si è trovato nella condizione di sapere ciò su cui indagava De Magistris non si è preoccupato di pensare chi gli stava fornendo quello scoop, nè tanto meno il motivo per cui lo stesse facendo. È sin troppo evidente quindi che qualcuno ha voluto mettere nella condizione il magistrato di essere scoperto, e quindi, sollevato dal suo incarico”. Una critica severa per una realtà che non è cambiata in tanti anni di storia. Massari la chiama con un neologismo massomafia, ovvero l’unione tra massoneria e mafia: “Non facciamo finta di non sapere che parte della magistratura è collusa con i poteri forti, nè dobbiamo ignorare che sussita un rapporto tra stato e mafia in cui troppi sono i tappi su verità scottanti. L’inchiesta ha scoperchiato la presunzione di innocenza della sinistra italiana, per la quale occorre reimpostare quella legge morale che sembrava un affare solo della destra”.
Fonte: di Onofrio Schino su http://www.barilive.it/News/news.aspx?idnews=12554