di Fabio Calabrese
Parte seconda.
Su tutta la questione dei “poveri cavalieri di Cristo” (era questa la denominazione ufficiale dell’Ordine templare) gli autori si dimostrano singolarmente disinformati, oppure operano un fraintendimento voluto, poiché mostrare fino in fondo l’infondatezza delle accuse mosse contro di loro significherebbe del pari sfatare l’immagine esoterica che è stata costruita sui cavalieri del Tempio. Così, ad esempio, a pag. 62 leggiamo: “Ispirato da tanti successi, in Europa l’Ordine divenne sempre più ricco, potente e fiero dei propri successi. Non è sorprendente, forse che diventasse anche sempre più arrogante, brutale e corrotto. “Bere come un Templare” era una frase molto comune a quel tempo”.
Gli autori mostrano qui di prestare fede ad un inganno che gli storici “convenzionali” hanno da tempo dissipato; si veda ad esempio sull’argomento l’ottimo libro Il rogo dei Templari di Georges Bordonove: Filippo il Bello era probabilmente una delle menti più astute della sua epoca e certamente teneva nel debito conto, in una misura perfino insolita per un sovrano dell’età medievale, dell’opinione pubblica, e sapeva benissimo che, prima che si mettessero in moto le sue macchinazioni, l’Ordine era circondato da un generale rispetto, dall’ammirazione per la vita ascetica dei suoi membri, per il coraggio che costoro avevano dimostrato in Terrasanta in tutte le battaglie delle crociate, per la sua severa spiritualità, e decise d’intaccare questa immagine, facendo disseminare per le taverne e le osterie di Francia agenti provocatori travestiti da templari, che avevano il compito di mostrarsi arroganti, licenziosi, brutali e dediti al bere.
Benché questa sia la versione più classica del mito del Graal, ci vuole poco ad accorgersi che non sta in piedi: se andiamo a vedere il racconto evangelico dell’Ultima Cena, ciò che veramente conta è l’atto con il quale Gesù avrebbe misticamente trasformato il pane ed il vino nella propria carne e nel proprio sangue; al contenitore del vino, bicchiere, coppa o calice che fosse, non viene dato nessuno speciale rilievo; si sarà probabilmente trattato di una comune stoviglia non dissimile da quelle degli altri commensali – non certo lo splendente calice ingioiellato di tanta iconografia – e dopo la sacra Cena sarà finita come le altre nell’acquaio.
L’altra versione è ancora più assurda. La narrazione evangelica ci dice che prima che fosse deposto dalla croce, Gesù sarebbe stato trafitto al costato da un legionario romano che voleva accertarsi che fosse veramente morto, e che dalla ferita uscirono acqua (probabilmente qualche umore) e sangue. Quanto sangue può uscire da un cadavere nel quale la circolazione sanguigna si è interrotta? Molto poco.
Riusciamo ad immaginare Giuseppe d’Arimatea che, con incredibile tempismo si precipita fra le gambe dei soldati romani per raccogliere in un contenitore quelle poche gocce? Stiamo parlando del vangelo o di Asterix? Giuseppe d’Arimatea, oltre tutto, è un personaggio che nei vangeli ha pochissima rilevanza, è semplicemente un uomo benestante seguace di Gesù che avrebbe messo a disposizione la tomba che si era fatto scavare per sé, per seppellire il corpo dello stesso Gesù.
I tre autori inglesi propendono per un’altra versione: Saint Graal significherebbe in realtà Sang real, il “sangue di Cristo” sarebbe in realtà la sua discendenza, egli sarebbe stato sposato con Maria Maddalena o forse con Maria di Betania sorella di Lazzaro (senza escludere che possa trattarsi della stessa persona) ed avrebbe avuto figli; gli autori non escludono neppure che lo stesso Gesù sia potuto sopravvivere alla crocifissione (io non sono un medico, ma, per quanto ne so, dubito fortemente che si possa sopravvivere ad un supplizio del genere).
A questo punto, la storia si complica ed assume una coloritura romanzesca, perché i discendenti di Gesù si sarebbero trasferiti in occidente, in Europa, sbarcando non si sa bene se a Marsiglia nella Gallia mediterranea od a Gladstonbury in Britannia (un’insignificante imprecisione di qualche migliaio di chilometri, che volete che sia?), sarebbero diventati re dei Franchi costituendo la dinastia merovingia, sarebbero poi stati spodestati dagli usurpatori carolingi con la complicità della Chiesa cattolica per la quale, interpretando Gesù Cristo come una figura divina al disopra dell’umano, una discendenza terrena di Gesù era una presenza imbarazzante, oltre che una diretta concorrenza alle sue pretese di autorità sui cristiani, sarebbero stati costretti a rifugiarsi nell’ombra e nell’anonimato ed avrebbero trovato la protezione di un’associazione segreta che si chiamerebbe Priorato di Sion.
Lasciamo stare per il momento la presunta discendenza di Gesù e parliamo del Priorato di Sion, che nella vicenda del Graal come è stata ricostruita dai tre giornalisti della BBC assume un ruolo assolutamente centrale; anzi, gran parte di questa ricostruzione si basa su di una serie di presunti “Documenti del Priorato” che sarebbero stati rinvenuti, guarda un po’, nella Biblioteque Nationale di Parigi. Piccolo particolare: se questi documenti esistono realmente, potrebbero essere dei falsi od il frutto di una ricostruzione fantasiosa degli avvenimenti storici: il fatto che qualcuno ritrovi delle carte scritte da qualcun altro, non impone di prendere il contenuto di queste ultime per oro colato!
Il Priorato avrebbe manovrato nei secoli i catari, i Templari, i rosacroce, la massoneria, avrebbe ispirato i poemi cavallereschi e gran parte dell’esoterismo rinascimentale, influito sulla Riforma protestante e sulla rivoluzione francese; fra i Gran Maestri che avrebbero guidato il Priorato nel corso dei secoli, si conterebbero: Sandro Botticelli, Leonardo Da Vinci, Robert Boyle, Isaac Newton, Charles Nodier, Victor Hugo, Claude Debussy e Jean Cocteau, e credo che un simile elenco sia sufficiente di per sé a giustificare lo scetticismo; attribuire a grandi personaggi nella storia della cultura, delle arti, della scienza l’appartenenza a qualche società esoterica, in effetti, raggiunge un duplice obiettivo, da un lato nobilita l’associazione esoterica stessa, dall’altro induce a pensare che i risultati che costoro hanno conseguito nei loro campi siano dovuti non (o non tanto) ad un intelletto superiore, ma a qualche conoscenza iniziatica cui potrebbero aver attinto in conseguenza della loro presunta affiliazione esoterica. L’uomo comune che riceve questo genere di messaggi si sente riscattato nella sua mediocrità.
Il mondo delle società segrete è, per definizione, misterioso, non si può certo escludere che ne sia esistita una, o magari più di una, che si sia denominata “Priorato di Sion”, né che essa esista ancora al presente, ma da qui a credere che una simile società possa aver avuto nella storia l’influenza che gli autori prospettano ce ne corre; oltre tutto, cosa dovremmo pensare di una cospirazione di cui, dopo due millenni non si vedono ancora gli esiti? Torniamo alla presunta discendenza di Gesù.
Ricordiamo che le notizie storiche su Gesù sono piuttosto vaghe, anzi, escludendo i vangeli, inesistenti. Chi non è un credente nella religione che egli avrebbe fondato e lo considera un uomo come gli altri, non troverà nulla di sconvolgente o di scandaloso nell’idea che egli possa essere stato sposato ed aver avuto dei figli, ma per lo stesso motivo non potrà ritenere che questa ipotetica discendenza abbia attraversato i secoli recando con sé un carisma speciale.
Che la Maddalena (o Maria di Betania) incinta di Gesù o con i suoi figli, abbia lasciato la Palestina dopo la crocifissione per recarsi in occidente, non è molto verosimile, ma non è neppure impossibile: già prima della diaspora conseguente alla guerra giudaica del 68-74 d. C. vi erano comunità ebraiche sparse in tutto il Mediterraneo romano, anche se in larghissima parte concentrate fra l’Anatolia, la Siria e l’Egitto, ma per quale ragione una famiglia di Ebrei sefarditi sarebbe dovuta essere accolta come famiglia reale da una tribù di Germani, od in base a quale logica una dinastia di capotribù germanici doveva imparentarsi con essa? La risposta di Baigent, Leigh e Lincoln a questa domanda imbarazzante ci introduce alla parte più fantasiosa di tutto il libro, quella che fa maggiormente a pugni con i fatti storici accertati: perché i Sicambri, la tribù franca da cui sarebbero discesi i re merovingi, erano già ebrei.
Quest’affermazione incredibile passa per l’Arcadia ed incrocia un altro enigma storico, che è poi quello da cui la narrazione dei tre autori inglesi prende le mosse (anche se a me è sembrato più conveniente un ordine diverso nell’esposizione), quello di Rennes Le Chateau.
La tesi sostenuta dai tre autori inglesi è questa: in epoca biblica, una delle dodici tribù d’Israele, la tribù di Beniamino, dopo una guerra con le altre tribù ebraiche, sarebbe migrata dalla Palestina insediandosi in Grecia, precisamente in Arcadia, regione interna del Peloponneso, fondendosi poi con gli Spartani, ma almeno una parte di essa avrebbe poi risalito il Danubio e da qui sarebbe poi andata a fondersi con le popolazioni germaniche.
“Molti Beniaminiti andarono in esilio. A quanto pare, si trasferirono in Grecia, nel Peloponneso centrale, in Arcadia dove si sarebbero imparentati con la locale famiglia regnante. Verso l’inizio dell’era cristiana, avrebbero risalito il Danubio e il Reno, imparentandosi per matrimonio con certe tribù teutoniche e generando i Franchi Sicambri: gli antenati dei Merovingi” (pag. 292).
In appoggio a queste affermazioni, gli autori citano due passi biblici, Maccabei 1 e Maccabei 2.
“I due libri dei Maccabei nella Bibbia, sottolineano il legame tra gli Spartani e gli Ebrei. Maccabei 2 parla di certi ebrei che “si erano recati presso gli Spartani, nella speranza di trovarvi protezione in nome della comunanza di stirpe” e Maccabei 1 afferma esplicitamente: “Si è trovato in una scrittura riguardante gli Spartani e i Giudei, che sono fratelli e che discendono dalla stirpe di Abramo”. Sorpresa! Se prendete in mano la bibbia per controllare, sarà assai difficile che troviate il libro dei Maccabei.
Non esistono soltanto i vangeli apocrifi, ma anche gli apocrifi del Vecchio Testamento, libri che sono stati esclusi dal canone biblico perché contengono errori e fantasticherie evidenti, e Maccabei è uno di questi. A parte ciò, sarebbe difficile trovare due popoli dell’antico mondo mediterraneo con un carattere, un tipo di cultura più distanti di Ebrei e Spartani. Gli Spartani erano di stirpe dorica, ed i Dori erano scesi in epoca relativamente tarda nella penisola ellenica, ponendo fine alla civiltà micenea ed iniziando quello che è stato chiamato il medioevo ellenico; fra costoro abbondavano le fisionomie nordiche ed un’impronta nordica si conserva ancora oggi presso la popolazione del Peloponneso (un po’ come i siciliani di origine normanna).
Anagrammando “Et in Arcadia ego”, si ottiene “I, tego arcana Dei” (“Vattene, io custodisco i segreti di Dio”). Prendendo per buono un simile procedimento, cosa conterrebbe la tomba raffigurata? Le spoglie della Maddalena o di qualche discendente di Cristo, la coppa dell’Ultima Cena o che altro? Si tratterebbe dell’oggetto che la tradizione ci ha abituati a chiamare santo Graal? Il fatto è che giocando con gli anagrammi si può arrivare dove si vuole! Alcuni hanno creduto di riconoscere il paesaggio raffigurato nel quadro di Poussin, si tratterebbe di una zona di campagna nei pressi di una località a proposito della quale sono stati versati fiumi d’inchiostro: Rennes le Chateau, a prescindere ovviamente dal fatto che, se considerati da una prospettiva ad hoc, i paesaggi di campagna si somigliano un po’ tutti.
Rennes le Chateau si trova nei Pirenei orientali, non distante da Montsegur che nel XIII secolo fu l’ultimo bastione della resistenza catara. Verso la fine del XIX secolo, il curato di Rennes Le Chateau, Berenger Sauniere intraprese dei lavori di restauro nella chiesa parrocchiale.
Certamente trovò qualcosa sotto l’altare della chiesa, qualcosa che gli consentì da allora in poi, di mostrare una disponibilità di denaro sorprendente per un curato di campagna, le cui rendite dovevano essere molto modeste, forse un tesoro dei Catari, e la cosa non sorprenderebbe per nulla, data la vicinanza con Montsegur, ma da qui a sostenere che il Graal c’entri qualcosa! Analogamente, non si può escludere che sia proprio un tratto della campagna di quella zona a fare da sfondo al quadro di Poussin, ma anche questo, in definitiva, cosa dimostrerebbe?
Torniamo al nostro argomento principale: i re merovingi, abbiamo visto che l’attribuzione a questa dinastia di un’origine ebraica attraverso il legame con gli Arcadi e gli Spartani, un’origine ebraica che avrebbe reso loro possibile imparentarsi con la discendenza di Gesù (ammesso che quest’ultima sia mai esistita!) è del tutto fantasiosa e storicamente improponibile, ma a questo punto è utile chiarire meglio il quadro storico che può non essere familiare a tutti.
I Merovingi sono la dinastia franca più antica, erano già sovrani dei Franchi prima della loro conversione al cristianesimo, e prima che questi passassero il Reno insediandosi nella Gallia romana che sarebbe divenuta l’attuale Francia, prendono il nome da uno dei sovrani noti più antichi di questa famiglia, Meroveo, ma le notizie che si hanno sul suo conto sono scarsissime, si limitano a poco più del nome, tuttavia il personaggio più importante è senza dubbio Clodoveo che regnò fra il 481 e il 511 e fu il vero fondatore del regno franco, e che si convertì al cristianesimo nel 496. (Dal nome di questo sovrano, Clodwig alla germanica, Clovis alla latina – francese, viene Louis, Luigi, che fu il nome più ricorrente fra i re di Francia).
Dopo Clodoveo, il regno merovingio fu più volte smembrato e paralizzato spesso dalle lotte dinastiche, e questo permise ai maestri di palazzo della casa carolingia di prendere nelle loro mani il potere effettivo. Nel 732 il maestro di palazzo Carlo Martello guidò i Franchi alla grande vittoria di Poitiers contro gli Arabi di Spagna che, valicati i Pirenei minacciavano di travolgere il regno franco e l’intera cristianità occidentale.
Il prestigio così conseguito permise a Pipino il Breve figlio di Carlo Martello di deporre nel 751 l’ultimo re merovingio, Childerico III che fu rinchiuso in convento dove morì nel 754, e proclamarsi re dei Franchi. Il figlio di Pipino il Breve, Carlo Magno fu il sovrano più illustre di questa dinastia, il fondatore del Sacro Romano Impero, che estese il dominio franco alla Germania, all’Italia, a parte della penisola iberica. I carolingi (da Carolus, versione latinizzata di Karl, Carlo) prendono il nome da Carlo Martello e/o da Carlo Magno.
Nell’887 l’ultimo sovrano carolingio, Carlo il Grosso, che si era dimostrato inetto nel difendere il regno dalle scorrerie normanne, fu deposto dalla feudalità, ed il Sacro Romano Impero fu smembrato nei tre regni di Francia, Germania ed Italia. I feudatari francesi assegnarono il regno al conte di Parigi, Ugo Capeto, che fu l’iniziatore della dinastia capetingia destinata a tenere il trono fino al 1848. Nel 962 il re di Germania Ottone I di Sassonia conquistò l’Italia e ricostituì il Sacro Romano Impero in forma bi – nazionale, ed in questa forma esso sopravvisse, attraverso varie vicissitudini storiche, fino al 1806, ma la Francia rimase allora e fino ai nostri giorni una nazione indipendente.
Questo è il quadro storico, ed a questo punto poniamoci una domanda imbarazzante per la costruzione elaborata dai tre autori della BBC: se i Merovingi erano i discendenti di Cristo, come mai rimasero pagani fino al 496, fino a quasi cinque secoli dopo quella che per i credenti è l’incarnazione? Sono gli stessi autori del libro ad evidenziare questa contraddizione rispetto alla loro tesi, ricordando che san Remigio, vescovo di Reims, che battezzò Clodoveo, lo invitò non solo a “bruciare ciò che fin allora aveva adorato” (gli idoli pagani) ma anche ad “adorare ciò che fin allora aveva bruciato” (i simboli e le chiese cristiane), il che lascia intendere che prima della conversione del 496, conversione improvvisa e probabilmente non meno politica di quella di Enrico IV un millennio più tardi, l’atteggiamento del sovrano franco verso i cristiani non doveva essere stato esattamente tenero, il che è molto strano per un discendente di Cristo! “Al momento culminante della cerimonia [del battesimo], san Remigio pronunciò le famose parole: “Mitis depone colla, Sicamber, adora quod incendisti, incendi quod adorasti”. (“China umilmente la testa, o Sicambro, adora ciò che bruciavi, e brucia ciò che adoravi”)” (pag. 261).
“E’ importante notare che il battesimo di Clodoveo non fu un’incoronazione, contrariamente a quanto talvolta sostengono gli storici. La Chiesa non nominò re Clodoveo. Clodoveo era già re, e la Chiesa non poteva far altro che riconoscerlo” (Ibid.)
Dobbiamo considerare che la Chiesa cattolica si riteneva a tutti gli effetti la rappresentante esclusiva di Dio in Terra, ed in quanto tale rivendicava il diritto di amministrare, spiritualmente e materialmente ogni cosa esistente sulla Terra, che solo con il battesimo ed alla precisa condizione di mantenersi devoto seguace della Chiesa stessa, l’uomo riceveva personalità giuridica (un’espressione ancora oggi in uso come “i cristiani e le bestie”, la dice lunga al riguardo), che per conseguenza, ciò che appartiene a un pagano è una res nullius di cui la Chiesa può liberamente disporre, e che perciò può dare in concessione (sempre revocabile) al momento del battesimo a chi l’ha fin allora sempre posseduta.
Noi vediamo un’eco di questa concezione nell’atteggiamento degli storici che si occupano dell’alto Medio Evo: capita che quello che prima era un “capotribù” viene promosso a “re” al momento del battesimo, diventa addirittura il primo sovrano ed il fondatore della propria dinastia anche se era salito su un trono che i suoi antenati detenevano già da secoli. E’ successo con Clodoveo, è successo anche, ad esempio con Stefano I d’Ungheria, divenuto dopo essersi convertito, “primo re” di una nazione che i suoi antenati governavano da secoli.
Allo stesso modo, poiché ciò che appartiene a dei non cristiani è res nullius, la Chiesa si riteneva libera di farne dono a chi volesse, così ad esempio, fu “fatto” re di Sicilia il normanno Roberto il Guiscardo molto prima che questi togliesse l’isola ai saraceni, e la successiva conquista non fu affatto una conquista, un’usurpazione, una rapina: un uomo sarà pure libero di sbarazzarsi delle “bestie” che infestano la sua proprietà.
E’ da notare che nello stesso modo furono “date” ai Normanni le terre dell’Italia meridionale che appartenevano agli “eretici” bizantini, dal che si arguisce che la condizione per essere ritenuto “cristiano” e quindi realmente “uomo” non è credere in Cristo, ma ubbidire al papa.
Assieme alla “grazia del battesimo” la Chiesa si riserva sempre il diritto di revocare la proprietà di un uomo su ciò che possiede, od almeno di sospenderla, ed è questo il motivo per il quale la scomunica (letteralmente “esclusione dalla comunità” dei credenti) o anatema (termine che ha lo stesso significato e viene dal greco ana – temno, “tagliare via”) era un’arma così potente nelle mani della Chiesa medievale, temuta in particolare dai sovrani, perché faceva venire meno il giuramento di fedeltà dei feudatari, che di solito non aspettavano di avere altro che il pretesto per ribellarsi, in modo da conseguire maggiore autonomia e potere.
Fonte: www.ariannaeditrice.it
http://ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23170