di Fabio Calabrese
Un'interessante e lungo articolo di Fabio Calabrese che recensisce e commenta il libro: Santo Graal: c'è davvero Mistero? degli autori Inglesi Michael Baigent, Richard Leigh, Henry Lincoln. Per comodità l'articolo è stato suddiviso in tre Post che saranno pubblicati lunedi 5 gennaio e giovedì 8 gennaio.
Parte prima
Ai primi di marzo è uscita una nuova collana da edicola, delle molte che sono diventate quasi una moda negli ultimi tempi, questa volta della Fratelli Fabbri e dedicata ad una serie di argomenti indubbiamente interessanti, i “Grandi misteri”.
La cosa non desta meraviglia, poiché questo libro che è disponibile adesso in lingua italiana, è uscito in lingua inglese nel 1982 (con il titolo The Holy Blood and the Holy Grail), e Dan Brown ha avuto tutto il tempo di leggerlo e di usarlo come base per il suo romanzo. A questo riguardo, occorre dire che un conto è scrivere un romanzo contenente delle ipotesi fantasiose e prive di base storica che si giustificano come invenzioni letterarie, ed un altro conto è presentare come fatti accertati delle illazioni o se vogliamo delle autentiche “bufale”, ed è sostanzialmente alla categoria delle “bufale” che il libro dei tre giornalisti della BBC va a mio modesto avviso ricondotto.Tuttavia, vi sono diversi motivi che rendono consigliabile la lettura di questo testo (a parte il prezzo contenutissimo di 2,50 euro, meno di un pacchetto di sigarette, che è tipico delle offerte lancio), a cominciare dal fatto che proprio analizzare questa “bufala” ci può essere utile per capire il reale significato di un mito, quello del Santo Graal, che ha improntato di sé, ed è innegabile, tutta la cultura europea.
Sempre in quest’ottica, può essere utile una simile lettura per comprendere anche quanto all’ipotesi, dalla plausibilità molto incerta, dei tre giornalisti britannici, lo scrittore americano abbia aggiunto illazioni soltanto sue ed ancor meno fondate; inoltre il libro è ricco di particolari storici male interpretati che però, se visti nella giusta luce, possono aiutarci a comprendere aspetti importanti della storia e della mentalità medievali. Una differenza non marginale tra questo libro ed il romanzo di Dan Brown nella quale ci imbattiamo ben presto, riguarda la differenza del significato da attribuire all’ipotesi che Gesù fosse sposato (con Maria Maddalena o forse con Maria di Betania, sorella di Lazzaro, sempre che le due non fossero in realtà la stessa persona); l’idea che ciò implicherebbe una rivalutazione del “femminino sacro”, del lato femminile della divinità, trascurato e negato dalla Chiesa cattolica, si rivela un’ossessione dello stesso Dan Brown, non condivisa da Baigent, Leigh e Lincoln per i quali questa circostanza implicherebbe semplicemente un’immagine di Cristo più umana di quella tramandataci dalla tradizione.
“Il significato simbolico di Gesù è che egli è Dio esposto alla gamma dell’esperienza umana, esposto alla conoscenza diretta di ciò che significa essere un uomo. Ma Dio, incarnato in Gesù, poteva veramente affermare d’essere un uomo, abbracciare la gamma dell’esperienza umana, senza conoscere due degli aspetti più fondamentali ed elementari dellacondizione umana? Dio poteva affermare di conoscere totalmente l’esistenza umana senza affrontare due aspetti essenziali dell’umanità come la sessualità e la paternità?” (pag. 441).
A mio parere, uno degli aspetti più interessanti della ricostruzione che questo libro propone delle vicende storiche, riguarda il movimento albigese o cataro che, affrontato dal punto di vista di una storigrafia convenzionale, rappresenta un mistero insolubile. Come può essere, viene da chiedersi, che nella Provenza del XIII secolo sia ad un certo punto comparsa dal nulla non un’eresia, ma una vera e propria religione totalmente altra da quella cristiana, al punto da provocare una crociata che per l’ampiezza delle forze messe in campo e la ferocia con la quale fu condotta, non ebbe nulla da invidiare a quelle condotte in Terrasanta? Dal punto di vista di una storiografia convenzionale, il problema non ha soluzione.
Il libro, da questo punto di vista propone un’interpretazione illuminante: “Albigesi” e “Catari” erano sostanzialmente nomi generici. In altre parole, non indicavano una chiesa unica, come quella di Roma, con un corpus dottrinale e teologico codificato e definitivo. Gli eretici in questione comprendevano una moltitudine di sette diverse, parecchie guidate da un capo indipendente, dal quale prendevano nome i seguaci. E sebbene sia possibile che queste sette avessero in comune certi principi, differivano radicalmente nei dettagli” (pag. 39). “In maggioranza i Catari non erano eccessivamente fanatici per quanto riguardava il loro credo.
Oggi è di moda, fra gli intellettuali, considerare i Catari come una congregazione di saggi, di mistici illuminati o di iniziati a una sapienza arcana, tutti a conoscenza di qualche grande segreto cosmico. In pratica, tuttavia, i Catari erano in maggioranza uomini e donne più o meno “comuni” che trovavano nel loro credo un rifugio contro l’assillante ortodossia del cattolicesimo, un’evasione dalle interminabili decime, penitenze, sottomissioni, rigori e imposizioni della Chiesa di Roma” (pag. 41).
La situazione qui descritta vi ricorda nulla? Provatevi ad immaginare che la nostra cultura, la cultura occidentale dell’inizio del XXI secolo: pluralista, sfaccettata, tollerante, non riducibile ad un’ortodossia di pensiero definita, non fosse estesa così come è praticamente a livello planetario, ma solo ad un’area ristretta. Come ci identificherebbero degli ipotetici altri? Probabilmente dal nome della religione maggiormente presente da noi e differente dall’ortodossia cristiana universalmente diffusa, probabilmente come new ager, anche quelli di noi che con la New Age non hanno in realtà nulla a che spartire; è probabile che il catarismo fra i provenzali del XIII secolo avesse una posizione analoga.
Siamo in un’epoca nella quale i “secoli bui” dal V al X sono ormai alle spalle, nella quale la rinascita economica ha prodotto soprattutto in alcune regioni d’Europa, la Provenza, le Fiandre, l’Italia settentrionale, un esteso tessuto urbano ed un’ampia classe di mercanti, d’imprenditori a cui il tessuto politico – sociale del feudalesimo sta stretto, e che ha infranto il monopolio dell’alfabetismo e della cultura in passato detenuto dal clero.
Nelle epoche precedenti, il contadino analfabeta, il colono che sopravviveva a stento sul fondo del signore feudale o del monastero, accettava, o meglio subiva, il monopolio ideologico del clero e la tirannia congiunta del prete e del signore feudale perché non aveva altre prospettive, altri metri di paragone; il borghese che ora emerge, no; è un uomo in possesso di un minimo di cultura, dell’alfabetismo senza il quale gli sarebbe impossibile condurre i propri affari, viaggia, conosce luoghi e popoli diversi, e pensa; gli è per conseguenza sempre più difficile accettare il dominio parassitario dei signori feudali e degli ecclesiastici. Un detto dell’epoca riassume bene il punto di vista della Chiesa al riguardo: “Il Signore ha creato gli ecclesiastici, i nobili, i contadini, ma il diavolo ha creato i borghesi”. Il cardinale di Vitry è ancora più esplicito in proposito: “Tanti borghesi, tanti eretici”.
A rafforzare l’idea che il catarismo non sarebbe stato la creazione di una religione ex novo, ma la ripresa di movimenti e correnti di pensiero da sempre presenti sotterraneamente nell’Europa superficialmente cristianizzata, c’è anche il legame – non del tutto chiaro – fra esso e la setta balcanica dei bogumili. I catari erano fra le altre cose sostenitori della concezione che sessualità non deve essere forzatamente finalizzata alla procreazione, posizione fortemente avversata dalla Chiesa cattolica, giudicata “contro natura” e perciò spesso confusa con l’omosessualità; ancora oggi fra le espressioni gergali francesi per indicare gli omosessuali c’è bougres, letteralmente “bulgari”.
Noi non dovremmo in ogni caso dimenticare che il concetto di “paganesimo” è stato creato polemicamente dai cristiani e non ha alcun rigore logico, scientifico, storico o altro; un grosso sacco nel quale vanno a finire tutte le religioni antiche ad esclusione del cristianesimo e dell’ebraismo; noi dovremmo distinguere fra le religioni europee: celtica, germanica, greco – romana e quelle religioni orientali – mediterranee che appartengono a quella temperie culturale affermatasi nella tarda antichità da cui è nato anche il cristianesimo, ed al cristianesimo queste ultime sono molto più vicine delle prime, anche se poi l’affermarsi della Chiesa cattolica ha intorbidato le acque mettendo nello stesso sacco le une e le altre.
Le radici del catarismo stanno in questo secondo gruppo, e talune concezioni, a cominciare dalla svalutazione della realtà materiale e dal dualismo materia – spirito ancora più radicale di quello cristiano, non possono trovare consonanza nella nostra visione del mondo. Non è difficile rintracciare l’origine di questa concezione di matrice neoplatonica, passata a Platone dai pitagorici ed arrivata a questi dall’orfismo e dai culti misterici. I culti misterici – la cosa non è per nulla un mistero – erano nati in quello strato della popolazione mediterraneo – pre – indoeuropeo dell’antica Grecia che era stato sottomesso dagli Elleni indoeuropei, ed i loro adepti erano perlopiù di condizione servile; a questi ultimi, questo radicale dualismo offriva la speranza di una vita migliore in una dimensione ultraterrena. Nati probabilmente come centri di resistenza ai dominatori, questi culti avevano finito per assumere una funzione di stabilizzazione sociale ed erano tollerati e protetti dalle autorità greche.
Dall’orfismo, attraverso Pitagora, Platone e la scuola neoplatonica, l’idea del dualismo anima – corpo, dell’anima immortale, va a finire nel cristianesimo, ed in effetti, sebbene siamo abituati a considerarla una concezione cristiana, nell’ebraismo da cui il cristianesimo deriva, nell’Antico Testamento, non se ne trova traccia, e probabilmente eccedeva le capacità speculative degli ebrei dei tempi biblici, la cui inclinazione filosofica era rigorosamente uguale a zero.
Ad ogni modo, ciò non modifica il fatto che il fenomeno cataro ci testimonia con estrema chiarezza come l’Europa medievale fosse percorsa da tensioni spirituali che non trovavano risposta nel cristianesimo ortodosso, e ci permette di constatare con quali metodi brutali la Chiesa cattolica alleata con il potere, con la mano militare dei signori feudali, sia riuscita a mantenere per oltre un millennio il suo monopolio dottrinale sull’Europa.
Torniamo al nostro interrogativo: tutto ciò cosa ha a che vedere con il Santo Graal? Probabilmente nulla, proprio l’immagine che ci siamo potuti fare anche grazie a questo libro degli Albigesi, ci fa capire che per costoro Gesù Cristo poteva essere al massimo un profeta, un pensatore, un rivoluzionario, un saggio, ma non, in ogni caso, il figlio di Dio, e rende fortemente improbabile che, in un senso o nell’altro, costoro si facessero custodi del suo “sangue”. Il secondo anello della catena che andiamo a considerare è, in effetti, ancora più debole. Stiamo parlando dei cavalieri templari che sarebbero stati custodi del Santo Graal dopo i catari.
La storia degli ordini monastico – cavallereschi nati all’epoca delle crociate come truppe d’élite delle armate della croce e per proteggere i pellegrini, è generalmente nota, come è nota la fine dei Templari che, dopo essersi creati un prestigio grandissimo ed essere divenuti una potenza economica di primissimo piano nell’Europa di quel tempo, furono spietatamente annientati dal pugno di ferro del re di Francia Filippo il Bello.
Ciò che è controverso, invece, è se costoro deviassero o meno dal cattolicesimo ortodosso, se fossero a parte o meno di una conoscenza di tipo iniziatico . Tutte le idee, tutte le suggestioni in questo senso, dipendono dai verbali dei processi ai Templari, dalle confessioni rilasciate dagli stessi agli inquisitori del re di Francia dopo che gli uomini del sovrano francese si erano impadroniti manu militari delle capitanie, delle fortezze dell’Ordine.
Di per sé, queste confessioni estorte con la tortura, e sappiamo che con la tortura si può far confessare qualsiasi cosa, non sarebbero prese per buone in nessun tribunale moderno, ed allora poniamoci la domanda in questi termini: le motivazioni addotte dagli storici “convenzionali” (che non sempre hanno torto) sono sufficienti per spiegare il drammatico scioglimento dell’Ordine e la persecuzione di cui i cavalieri del tempio furono oggetto? Al momento dell’espulsione dei crociati dalla Terrasanta, i templari avevano accumulato un’enorme ricchezza che non derivava solo dalle donazioni, ma da un’estesa attività finanziaria e bancaria; furono loro ad inventare la “lettera di cambio”, l’antenato dell’assegno: un pellegrino che si recasse in Terrasanta poteva versare qualunque importo volesse presso la capitania dell’Ordine più vicina, ricevendone una “lettera di cambio” con la quale poteva poi riscuotere l’importo versato con una modesta trattenuta una volta giunto oltremare o dovunque volesse, la “lettera” era un biglietto facile da ripiegare e nascondere, che non attirava l’attenzione di eventuali ladri o briganti, cosa non certo secondaria in un’epoca in cui i viaggi da luogo a luogo erano tutt’altro che sicuri.
Con la fine delle crociate, dunque, i Templari si trovarono privi di una ragion d’essere, di uno scopo, ed al contempo a disporre di una ricchezza e di una potenza che attirava l’invidia di molti, a cominciare dall’avido re francese; non avevano saputo riciclarsi, trovare un altro sbocco, come i cavalieri Teutonici che si trapiantarono sul Baltico, dove con una serie di conquiste militari si crearono un potente stato, facendo avanzare la cristianità ed il germanesimo ai danni degli slavi ancora pagani, sottomettendo e convertendo, o come gli Ospitalieri, o Giovanniti, antichi rivali dei Templari che si specializzarono nella lotta marittima alla pirateria saracena, divenendo prima i cavalieri di Rodi, poi di Malta. Filippo il Bello, il re francese, aveva più di un motivo per volersi sbarazzare ad ogni costo dei Templari: egli mirava a realizzare quella che oggi definiremmo una monarchia assoluta, ed in effetti pose le fondamenta di quell’edificio di potere accentrato che doveva essere completato da Luigi XIV; dopo aver limitato drasticamente l’autonomia dei feudatari, si scontrò duramente con la Chiesa cattolica, arrivando addirittura nel 1303 a mandare i suoi emissari a catturare il papa (E’ il notissimo episodio dello schiaffo di Anagni, nel quale secondo la voce popolare, non soltanto gli emissari del re di Francia guidati dal nobile romano Sciarra Colonna presero prigioniero papa Bonifacio VIII in questa cittadina laziale, ma addirittura il Colonna avrebbe schiaffeggiato il pontefice, di sicuro, Bonifacio VIII, forse affranto dall’affronto subito, morì poco più tardi).
Occorre dire poi che almeno i più avvertiti intellettuali dell’epoca non prestarono fede alla leggenda che Filippo il Bello aveva cercato di accreditare sui Templari, a differenza degli esoteristi moderni che sono caduti come pesciolini nella rete. Ad essa, Dante ad esempio dimostra di non dare credito alcuno, ed in uno dei passi più intensi del Purgatorio (XX canto) ha pronunciato una rovente invettiva contro il sovrano francese, mettendo insieme lo schiaffo di Anagni e la distruzione dell’ordine templare: “Veggio in Alagna intrar lo fiordaliso e nel vicario suo Cristo essere catto. Veggiolo un’altra volta esser deriso, veggio rinnovellar l’aceto e ‘l fele, e tra vivi ladroni essere anciso. Veggio il novo Pilato sì crudele che ciò nol sazia, ma sanza decreto Porta nel Tempio le cupide vele”.
Un passo che meriterebbe di essere commentato parola per parola, facendo una parafrasi scolastica; ad ogni modo, senza arrivare a tanto, si può notare in primo luogo che se la passione di Cristo è rinnovata nella persecuzione subita dal suo vicario, la differenza fra l’evento antico e quello perpetrato dal novo Pilato è data dal fatto che in quest’ultimo i ladroni non sono i compagni di pena di Cristo sulla croce, sono vivi, sono gli stessi carnefici, mossi da null’altro che dall’avidità, e l’immagine seguente ci dà la rappresentazione di Filippo il Bello che porta nel Tempio, cioè nelle capitanie templari le cupide vele alla maniera di un vascello saraceno venuto per saccheggiare e rapinare, e si noti anche quel sanza decreto, che ha il significato di illegalmente, senza una ragione giuridicamente valida, od anche senza l’autorizzazione della Chiesa, che sarà estorta solo cinque anni più tardi, a distruggere un ordine monastico quali i Templari in effetti erano.
Dante non nutre dubbi in proposito, e non abbiamo tutto sommato motivo di nutrirne noi: i Templari non erano con ogni verosimiglianza altro da ciò che dovevano essere e da ciò che si riteneva che fossero: un ordine di monaci - guerrieri al servizio della fede cattolica, e le uniche testimonianze di un culto esoterico e di una “conoscenza segreta” per quanto li riguarda, si trovano nelle carte processuali degli inquisitori di Filippo il Bello.
Fonte: www.ariannaeditrice.it