Prefazione.
Tutto ebbe inizio una sessantina di anni fa, quando per un caso del tutto fortuito l’umanità venne in possesso di un materiale davvero pregevole, vuoi per maggiore conoscenza di un pezzo di storia passato, si fa per dire, quasi sottosilenzio, vuoi perché poneva l’accento su una singolare setta religiosa ebraica di cui da tempo si erano perdute le tracce. Per averne un’idea.
Correva l’anno di grazia 1947, la seconda guerra mondiale aveva cessato da pochissimo tempo di seminare rovine e lutti, quando in un posto, oserei dire dimenticato da Dio e dagli uomini, assai prossimo alle salse e male odoranti acque di quello che è stato chiamato fin dall’antichità Mar Morto, fu casualmente rintracciato un tesoro di inestimabile valore. Decidete un po’voi!
Un pastore di capre, ancora in giovane età, stava al momento rincorrendo una delle sue bizzose bestiole, quando questa, s’infilò, dispettosa com’era, in una delle tante grotte o spelonche, che costellavano le pareti a picco sovrastanti un arido e ciottoloso uadi, posto a poca distanza da un vecchio e disabitato sito, che la gente araba aveva chiamato Khirbert Qumran.
Il nostro giovane,non sentendo l’animale arrampicarsi su per la ripida scarpata che conduceva al nascondiglio in cui aveva riparato in cerca d’avventura, pensò di raccogliere un sasso dal greto del rigagnolo posto ai suoi piedi e di scagliarlo con forza verso l’imboccatura della grotta. Colse nel segno!
Questo non tanto per essere riuscito a snidare il barbuto e capriccioso animale, che era immediatamente uscito belando come un forsennato, perché ferito nel proprio smisurato orgoglio; ma per il fatto che fu costretto a restare lì, letteralmente basito, per l’esito delle sue gesta di perfetto fromboliere. Infatti, l’entrata della pietra nella grotta era stata salutata, seduta stante, da un fragoroso rovinio di cocci infranti.Cosa era successo?
Passato lo stupore, il nostro giovane non se lo fece ripetere due volte e s’arrampicò lungo la scarpata, imitando le bestie soggette al suo dominio. Alla fine, giunto in vetta, trovò uno spettacolo che lo affascinò: c’erano giare, orci e oggetti simili dispersi un po’dappertutto nel pur angusto e oscuro meandro, compresa ovviamente quella giara che il nostro novello Davide aveva colpito giusto nel ventre e che, ora, mostrava le proprie preziose interiora. La notizia si sparse rapidamente, le innumerevoli grotte furono setacciate in modo minuzioso e i rotoli custoditi e rintracciati in esse svelarono al mondo un segreto celato per quasi duemila anni: si trattava, come detto, degli scritti di un’antica setta ebraica, gli Esseni, di cui, a sentire le teste d’uovo dell’epoca, si conosceva ben poco. Da qui l’importanza del ritrovamento. Poi, più nulla.
Infatti, se appare davvero strano che, secondo i predetti professoroni, il silenzio fosse calato su detta setta per insondabili motivi per più di due mila anni, appare ancora più inspiegabile che esso continui a persistere anche oggi a circa sessant’anni dalla scoperta dei preziosi manoscritti. Tanto più che, qualora dovessimo interrogare gli addetti ai lavori sullo stato degli stessi, ci sentiremo sicuramente rispondere in modo davvero elusivo, come di cosa in definitiva di scarsa importanza, tutt’al più da interessare gli studiosi del settore e mai e giammai il grosso pubblico.
Perché questo mistero? Infatti, in primo luogo gli Esseni non furono e sono degli emeriti sconosciuti come costoro vorrebbero far credere, poiché di loro hanno parlato storici a loro contemporanei come, per esempio, il romano ed enciclopedico Plinio il Vecchio, quello del Vesuvio, che ne ha lasciato un acquarello davvero stupendo, dedicando loro un’iperbole degna di un poeta dai gusti sopraffini e dalla squisita sensibilità, che avremo modo d’apprezzare nel corso della lettura di questo volume. Ed ancora possiamo elencare storici della portata di Filone l’Alessandrino e di Giuseppe Flavio, che li hanno descritti minutamente, nelle pratiche di ogni giorno, magnificandone l’estrema spiritualità, l’eccelso senso di gruppo, il ripudio totale della ricchezza, degli onori, dei personalismi, la piena dedizione alla causa comune e al vivere in comunità, collettivizzando tutti i mezzi di produzione: persone degnissime da prendere ad esempio. In particolare Giuseppe Flavio nella sua opera principale, che è quella intitolata La guerra giudaica, scende nei particolari più minuti, tessendo lodi a non finire e giungendo perfino a proferire nei loro confronti un qualcosa che ha colpito profondamente la mia immaginazione: “Gli Esseni in particolare hanno fama di praticare la santità.” E giù di questo passo fino a creare nella mia fantasia un mondo favoloso, un Eden incantato. Una curiosità.
Scendendo dall’empireo e mettendo i piedi in terra, mi sovviene di un particolare, forse a ragione racchiuso nel limbo della leggenda, ma che riferisco nel desiderio di smentire ancora per una volta tutti i sapientoni: persino i Templari sembra che fossero a conoscenza di detta singolarissima setta, se è vero che in una delle pergamene, rinvenute sotto l’altare della favolosa chiesa di Rennes Le Chateaux, si accenna a loro. Del resto...
Abbiamo letto i testi rinvenuti nelle grotte e abbiamo appreso che alcuni parlano direttamente di loro, delle loro usanze, delle loro cerimonie, dei loro riti, delle loro aspettative civili e religiose. Stringendo: sappiamo per filo e per segno ogni loro pur intimo aspetto, motivo, questo, che ci spinge a riflettere intensamente e a porci degli interrogativi. Perché mai questo silenzio? Da chi orchestrato? Ma, soprattutto, perché parlare degli Esseni è come voler pestare la coda ad un cane? Perché mettono paura?
Questi gli interrogativi ai quali ho cautamente cercato di dare una risposta con prove inconfutabili tra le mani, al fine di non dover alimentare facili ed inutili querelle, seguendo le quali, come in gioco davvero perverso e da altri ad arte voluto, si finisce con l’approdare a nulla, a stringere, a bocce ferme, il classico pugno di mosche. La verità?
Ma cortesi lettori sta a voi scoprirla. Io mi sono permesso soltanto di darvi una mano, cercando di portare a vostra conoscenza un mio primitivo sospetto che, con l’andar del tempo, si è trasformato in una radicata convinzione. Quale? Sta a voi risolvere l’enigma, che è solo di facciata, mentre, al contrario, grida a gran voce la verità di cui non vorrebbe in nessun modo esserne il custode.
Buon “giallo” a voi tutti! L’Autore.