martedì 11 novembre 2008


Stilo: inconsueto e inedito Tommaso Campanella

Un Campanella inedito e inconsueto, lontano dai canoni accademici e universitari che, nel corso dei secoli, hanno privilegiato, ora l’aspetto rivoluzionario, ora quello “restauratore” e ortodosso del frate, la cui immensa produzione filosofica, letteraria e scientifica va invece esaminata nella sua complessità. 

Un Campanella mago e misterioso, legato alle tradizioni culturali della sua terra d’origine, che non ha mai dimenticato il giovane pastore scalzo, curioso e indagatore che trascorreva le giornate della sua prima infanzia sulle pendici del monte Consolino, dove il filosofo, nel 1599, ideò e organizzò la famosa congiura contro il governo spagnolo, spinto e animato dagli ideali di libertà, di giustizia e solidarietà sociale. 

E’ questo l’”identitik”  del domenicano che emerge da un’interessante e originale ricerca del giornalista e scrittore stilese Claudio Stillitano, da molti anni attento studioso di Tommaso Campanella, a cui ha dedicato la sua tesi di laurea, una pièce (“La Repubblica di Stilo”) e la maggior parte del suo tempo libero (lo stesso, assieme alla prof. Germana Ernst dell’Università di Roma Tre e al prof. Eugenio Canone della “Sapienza” di Roma, è responsabile scientifico della collana editoriale “Bibliotheca stylensis”, giunta al terzo volume). 

La pubblicazione – edita da Arti Grafiche Edizioni di Ardore Marina – porta il titolo Il segreto di Campanella. 

Storie e leggende. 

In essa sono raccolte, per la prima volta, tutte le leggende che fiorirono intorno agli anni giovanili del filosofo e nel secolo XIX, ad opera dei “popolani” del Borgo – dove Campanella nacque nel 1568 – e di alcuni di autori (cultori dell’esoterismo e delle dottrine segrete?) che rielaborarono il patrimonio letterario (orale) della “terra di Stilo” riferentesi alla figura straordinaria e allo “spirito eccelso” del frate ribelle. 

A una prima leggenda (L’erba della sapienza), secondo la quale Campanella avrebbe ottenuto il suo eccezionale ingegno da un’erba rintracciata, da ragazzo, sul monte Consolino, Claudio Stillitano aggiunge altre storie, frutto di pazienti indagini e ricerche portate avanti nei luoghi natii del filosofo. 

Di particolare suggestione risulta la prima (La leggenda d’o Suli, d’o Sennu, e de Sofia) che narra dell’apparizione, sempre sul monte Consolino, di tre personaggi misteriosi che dicono di chiamarsi Sole, Senno e Sapienza, con evidenti richiami alla filosofia campanelliana. 

Anche in questo caso ritorna il motivo dell’erba della sapienza e viene riproposto al ragazzo di nutrirsi di un’erba prodigiosa nonché di plasmare con essa una testa. 

Di particolare interesse risultano le altre leggende ricordate nel libro.  

Quella del “dito mignolo”, ad esempio, allude alle accuse, rivolte a Campanella già a partire dal primo processo del 1592, secondo le quali i poteri straordinari in suo possesso gli sarebbero derivati da uno spirito demoniaco racchiuso nell’unghia del mignolo. 

Un altro racconto popolare (La leggenda della spada) riguarda una spada dai poteri speciali, che Campanella aveva ricevuto dal famoso comandante turco Bassà Cicala e che, alla vigilia della sua cattura dopo la congiura antispagnola, aveva consegnato ad un fabbro di Stignano, i cui discendenti non erano riusciti a utilizzare «per tagliare la barba a Garibald»”, in quanto non era stata temprata dieci volte. 

L’ultima leggenda riguarda un sigillo d’oro (il sigillo personale di Campanella che riproduceva una campana) sepolto nelle pendici del monte Consolino, che un giovane pastore non aveva potuto disseppellire per la mancata recitazione di una formula magica. 

La pubblicazione, come dicevamo, tratta del “segreto” di Campanella. 

Ma qual è tale segreto? Il segreto, per l’autore, è rappresentato dalla vita stessa, enigmatica, misteriosa, indecifrabile, del filosofo, che, da giovane frate, aderì ad alcune accademie napoletane (le cosiddette “uova dell’angelo”), che erano delle vere e proprie associazioni segrete messe fuori legge e condannate dalla cultura ufficiale e dal vicereame spagnolo. 

“Segreta” è, per l’autore, la stessa scrittura del domenicano, che, in alcune opere (come la Città del Sole), fa riferimento alla simbologia dei numeri e a un sistema di scrittura criptato «che afferma il contrario di quello che vuole affermare». 

Le prime due leggende ripropongono, poi, un motivo che riecheggia tematiche ermetiche e che è ritornato di attualità grazie al successo ottenuto da testi (saggi e romanzi) che affrontano argomenti tanto cari agli appassionati di esoterismo e di dottrine segrete. 

E’ il motivo della fabbricazione di una testa dotata di virtù speciali che, a parere della massima studiosa di Campanella, la prof. Germana Ernst che ha curato la presentazione del libro, si ricollega alla stessa creazione di Adamo (fatto a “immagine e somiglianza” di Dio), al periodo medievale (allorquando si attribuiva ad Alberto Magno la fabbricazione di una testa profetica realizzata con il bronzo) e alla seconda metà del Cinquecento, nel periodo in cui la diffusione delle dottrine di Paracelo prospettò l’audace possibilità della generazione artificiale di esseri viventi. 

Claudio Stillitano, a tal proposito, scrive che la testa barbuta e parlante presente nelle leggende da lui raccolte è da identificarsi con il Baphomet, l’idolo venerato dai Templari, che nelle cerimonie segrete amavano prostrarsi davanti a questo simulacro, il cui culto può farsi risalire alle tradizioni agrarie celtiche. 

Nei riti dei Poveri Cavalieri di Cristo e nelle leggende campanelliane, scrive l’autore, la testa ha la stessa funzione, cioè quella dell’auspicio di una perfetta conoscenza e dell’annuncio di un percorso da seguire, pena il decadimento e lo smarrimento dei risultati conseguiti o da conseguire. 

«Noi – scrive Stillitano – preferiamo considerare il termine Baphomet come una parola segreta decifrabile soltanto attraverso il codice Atbash». Questo codice, ricorda l’autore, deriva dal libro di Geremia, dalla Bibbia, dove si usa un semplicissimo codice monoalfabetico per cifrare la parola Babele: la prima lettera dell’alfabeto ebraico (Aleph) viene cifrata con l’ultima (Taw), la seconda (Beth) viene cifrata con la penultima (Shin) e cosi via. 

Da queste quattro lettere è derivato il nome Atbash (A con T, B con SH). 

«Tale sistema alfabetico – continua Stillitano – ci dice che la parola va tradotta con Sophia, la conoscenza, figura centrale per lo sviluppo dell’individuo e la sua rinascita spirituale, come centrale, nella seconda leggenda, è la figura di Sofia che, assieme al Sole e al Senno, cerca di portare sulla strada della saggezza il ragazzo protagonista del racconto». 

Questa interpretazione potrebbe essere accusata di troppa fantasia, visto che Campanella, nato nel 1568, quando i Templari erano già stati sciolti e perseguitati da alcuni secoli, non poteva aver conosciuto o praticato l’ideologia (eretica e dissacratoria) che era propria dei seguaci dell’Ordine del Tempio. 

In effetti, afferma Stillitano, «Campanella non conobbe nessun templare, ma fu, indirettamente, influenzato (e influenzò, a sua volta) dai seguaci di altri movimenti che si ricollegano alla setta segreta». 

Questi movimenti sono il Priorato di Sion e la Confraternita della Rosacroce, entrambi espressione diretta dei Templari, rimasti sempre nell’ombra e mai rivelatisi apertamente. Riguardo al primo movimento, si chiede Stillitano, «possiamo dire che il filosofo condividesse gli intendimenti dell’Ordine di Sion, il cui scopo principale era (o è, ancora?) quello di tenere nascosti alcuni documenti e verità sulla “Chiesa di Giovanni” e sul cristianesimo?» Certamente, no, risponde l’autore. 

Lo stesso, però, è convinto che il frate calabrese «ispirò e sostenne la Confraternita della Rosacroce, il “Cenacolo di Tubinga” che ebbe, probabilmente, come ideatori, oltre a venti “Figli della Luce” sconosciuti e rimasti sempre nell’ombra, Johann Valentin Andreae, Christoph Besold, Wilhelm Wense e Tobia Adami.

Quest’ultimo, amico ed estimatore di Campanella, pubblicò in Germania alcune opere del filosofo e la Scelta d’alcune poesie filosofiche, che Adami dedicò, guarda caso, proprio a Wense, Besold e Andreae. 

Quest’ultimo, addirittura, nella sua Reipublicae Christianopolitanae Descriptio si ispirò apertamente alle idee di Campanella e alla sua Città del Sole ».

Fonte: di Elia Fiorenza su http://www.strill.it