martedì 7 luglio 2009

UOMINI DI CHIESA E MASSONI IN CALABRIA

La vicenda di Pier Nicola Gregoraci eletto con i voti dei cattolici e poi dichiaratosi "fratello". Chiesa cattolica e massoneria. Un conflitto storico e dottrinario che si trascina insoluto da secoli ed è vivo ancor oggi. Si susseguono, infatti, senza soluzione di continuità dibattiti su questa equazione di non facile soluzione. Ultimo, in ordine di tempo, quello svoltosi a Vibo Valentia alcuni mesi fa, a opera della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, e che fa seguito a un altro dello stesso tenore promosso, alcuni anni or sono, dalla diocesi di Catanzaro. Ci siamo in più occasioni occupati, dalle colonne di "Paginatré" di questo giornale, della materia. Per cui non mette conto ritornarvi. Se lo facciamo in questa circostanza è per sottolineare come in Calabria la contrapposizione tra Chiesa e Massoneria non è stata sempre lineare, come lascerebbero pensare i tanti anatemi emanati dalla sede apostolica. Dall'enciclica In eminenti apostolatus specula (1738) di Clemente XII, fino ad arrivare a Leone XIII, ultimo successore di Pietro che scagliò anatemi antimassonici, con la Humanum genus del 20 aprile 1884, passando per le tre encicliche promulgate da Pio IX (Qui pluribus, 1846; Multiplices inter, 1865; Apostolicæ sedis, 1869). Per ultima, una Declaratio (1983) dell'allora cardinale Joseph Ratzinger, nelle vesti di prefetto dell'ex Sant'Uffizio. Paradossalmente il pensiero d'Oltralpe aveva attecchito, qui in regione, proprio nel suo stesso seno, per opera di quei religiosi più esposti agli «allettamenti» culturali illuministi, sensisti e giansenisti, e che si contrapponevano alla maggioranza del clero. Fu, appunto, l'abate Antonio Jeròcades (Parghelia, 1738 – Tropea, 1803), che diede vita alla prima loggia di liberi muratori in Calabria, convenzionalmente riconosciuta, e all'opera La lira focense, considerata la più alta espressione poetica di ispirazione massonica. Jeròcades, a sua volta, era stato discepolo al seminario di Tropea di Giovanni Andrea Serrao (Castelmonardo, 1731 – Potenza, 1799), vescovo di ispirazione giansenista ed egli stesso in stretto contatto con associazioni esoteriche.Jeròcades, da parte sua, fu in seguito professore al seminario di Catanzaro di un altro abate massone, Gregorio Aracri (Stalettì, 1749 – Catanzaro, 1813), che informò tutta una generazione di giovani agli ideali di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza. Altri uomini di chiesa varcheranno le porte del tempio massonico nella fase risorgimentale e oltre: da Giuseppe Monaldo di Filadelfia ad Antonio Greco di Catanzaro (che sedette anche nel primo parlamento del Regno d'Italia), da Gregorio Di Siena di Montepaone a Giovanni Cervadoro di Maida. Di Siena fu cospiratore antiborbonico a Napoli e scrisse un sonetto dal sapore anticlericale, in occasione dell'occupazione di Roma il 20 settembre 1870: «Te volte e quattro te beato o Pio / Che di terrene cure il grave pondo / Deposto, passerai di questo mondo / e andrai più lieve innanzi al tron di Dio». Cervadoro, diede vita, nel 1811, a una propria loggia denominata "I Filadelfi Melanici", e successivamente, nel 1820, a una vendita carbonara, "I conservatori della libertà", con sede nella chiesa del Rosario del proprio paese. Ma su tutti spicca la figura di Domenico Angherà (Potènzoni, 1803 – Napoli, 1881), arciprete di San Vito sullo Jonio, che il 10 agosto 1861 fondò a Napoli il Grande Oriente, trasformatosi in seguito in Supremo consiglio di Napoli, e che da molti è considerato l'antesignano del Grande Oriente d'Italia. Fu anche maestro venerabile della loggia «Sebezia» e componente del «Supremo consiglio dei 33».La linea di demarcazione tra il blocco liberal-massonico e quello cattolico fu lungi dall'essere decisamente netta. Emblematica resta l'esperienza elettorale nel collegio di Chiaravalle Centrale, nel 1913, all'indomani dell'approvazione del suffragio universale e del Patto Gentiloni. La curia di Catanzaro-Squillace diede vita a una mobilitazione veemente e massiccia, guidata in prima persona dal vescovo Eugenio Tosi, per impedire che il massone dichiarato Francesco Spasari andasse al parlamento e a sostegno del "cattolico e moderato" Pier Nicola Gregoraci. Al ballottaggio si impose quest'ultimo, salvo poi, al comizio di ringraziamento, dichiarare candidamente la sua affiliazione alla massoneria e la sua estrazione politica liberale.

Fonte:Gazzetta del Sud 2 luglio 2009 di Francesco Pitaro