Dalla moltitudine di articoli che hanno trattato e stanno trattando in questi giorni la vicenda della pubblicazione degli iscritti o ex-iscritti alla massoneria di Livorno, riportiamo quelli apparsi su “Il Giornale” che per serietà e contenuto mi sembrano i più degni di riflessione. (A.Duranti)
No al marchio d’infamia di Giordano Bruno Guerri e Niente trucchi ma trasparenza di Massimo Teodori da “Il Giornale.it 8 giugno 2008”
No al marchio di infamia.
La questione non è se i massoni abbiano o no diritto alla riservatezza, la questione è che ne dovrebbero godere tutti i privati cittadini. Proviamo a fare un esempio in contrasto con quello della massoneria, ovvero il mondo dei cattolici praticanti. E supponiamo che un quotidiano di provincia decida (non vorrei dare un’idea) di pubblicare l’elenco di chi la domenica si confessa e si comunica in duomo: nomi, cognomi, professioni. L’essere credente e praticante non è di certo un’infamia, anzi di norma viene percepito come una qualità. Eppure c’è da giurare che chi si vedesse pubblicato in quell’elenco si risentirebbe assai. E avrebbe ragione. Perché ognuno ha diritto di vivere la propria vita sociale nella discrezione del proprio gruppo di appartenenza; senza venire esibito in elenchi che, per il semplice fatto di venire esibiti, comportano una ghettizzazione, la riduzione al rango di individuo «dedito a». Inutile dunque sostenere che la massoneria non è più segreta e che è lecito pubblicare l’elenco dei massoni. Sarà anche lecito, ma è un atto volgare e consciamente aggressivo da parte di chi lo compie. Tanto più nel caso del Corriere di Livorno, che ha estrapolato i nomi degli iscritti alle varie logge da un’inchiesta giudiziaria. Da notare che le liste erano state acquisite agli atti per verificare eventuali intrecci affaristici, ancora da provare. Si è trattato dunque di un gesto del tutto gratuito, una ricerca dello scoop a ogni costo, che si è fatto beffe del costo per chi l’ha subito. Un pasticciere massone non fa dolci meno buoni perché porta anche un altro grembiule, ma può perdere clienti che hanno in uggia le logge. Effetti pratici a parte, bisogna mettere un freno alla tendenza dilagante di esporre in piazza i fatti di chiunque. Se è inevitabile che chi ha un ruolo pubblico finisca sotto il mirino dei media, chi quel ruolo non ce l’ha dovrebbe essere lasciato in pace a svolgere le attività – lecite – che più gli aggradano. Senza venire bollato per quanto guadagna, per chi frequenta, per come passa il tempo libero, per le associazioni a cui partecipa. Già viviamo in un’epoca supervigilata come neanche durante dittature: telecamere per la sicurezza, verifiche di ogni tipo contro l’evasione fiscale, controlli su controlli giustificati dalla necessità che i comportamenti privati non provochino danni pubblici. Ci mancava solo che i giornali cominciassero a rendere noti i nomi di chi si associa a questo e a quello. Oggi i massoni, domani i cacciatori, dopodomani, appunto, chi fa la comunione. L’effetto è devastante, e non tanto per la privacy: è che, così facendo, l’individuo cessa di essere un individuo – con la sua preziosa, irrinunciabile unicità – e diventa un nome in una lista. E sulle liste c’è quasi sempre un bollo, o un marchio, d’infamia.
www.giordanobrunoguerri.tribunalibera.com
Niente trucchi ma trasparenza.
Ovunque nelle democrazie occidentali la massoneria è una rispettabile associazione di cittadini che perseguono alcuni ideali, apertamente e orgogliosamente.
In Inghilterra il capo della Gran loggia appartiene alla famiglia reale.
Negli Stati Uniti molti presidenti sono stati alti dignitari massonici.
In Francia per qualche tempo il gran maestro è stato il fratello del presidente Mitterrand.
Solo in Italia le cose vanno in maniera diversa.
Dopo la stagione risorgimentale e post-risorgimentale in cui gran parte della classe dirigente liberale e democratica era legata alla massoneria, nel dopoguerra il Grande Oriente d’Italia e le altre maggiori osservanze massoniche, risollevatesi dai divieti e dalle persecuzioni del fascismo, hanno per di più svolto le loro attività in un cono d’ombra che ha facilitato la crescita di escrescenze come la P2 di Gelli, più gruppo di potere senza aggettivi che loggia massonica.
È per questo che da noi la massoneria ha una vita singolare, se confrontata con il resto dell’Occidente.
D’altra parte l’opinione pubblica di solito guarda con sospetto dietrologico tutto ciò che ha a che fare con la massoneria, mentre da parte loro i «fratelli», per legittima difesa o per difetto di orgoglio identitario, tendono a operare protetti dalla riservatezza.
Negli ultimi tempi, tuttavia, con il gran maestro Raffi, il Grande Oriente d’Italia ha fatto passi avanti sul terreno della pubblicità e trasparenza.
È in questo quadro che va considerata la pubblicazione dei nomi dei massoni di Livorno su un giornale locale.
Ci dobbiamo però chiedere se ci si trovi di fronte a un’iniziativa tendente alla trasparenza, oppure se si tratti di un episodio con fini scandalistici.
Se si trattasse del primo caso, saremmo d’accordo con l’esigenza della pubblicità che avrebbe potuto riguardare, così come la massoneria livornese, anche altre associazioni private come i partiti politici e le confraternite filantropiche, l’Opus Dei e i club tipo Rotary.
La trasparenza senza secondi fini e strabismi, serve sempre a migliorare la convivenza democratica.
Quel che tuttavia non quadra a Livorno è il fatto che gli elenchi dei massoni ora pubblicati provengono da un procedimento giudiziario che li ha acquisiti nel 2007 in base all’ipotesi che l’intera fratellanza locale fosse dietro un’attività di criminalità finanziaria; e che il loro attuale riciclaggio può essere funzionale a interessi che restano oscuri.
Si tratta della stessa logica distorta della pubblicazione a catena delle intercettazioni telefoniche che partono da un’ipotesi di reato e finiscono per coinvolgere tutti coloro che hanno avuto a che fare con il telefono dell’indagato.
m.teodori@mclink.it