mercoledì 8 aprile 2020

Nessun esilio è permanente. Considerazioni su Pesach

di Luca Delli Santi



Questa settimana sospendiamo il nostro cammino di esplorazione dei 32 sentieri della Sapienza, e le loro corrispondenze nel simbolismo massonico, per svolgere alcune sintetiche riflessioni sulle festività che ricorrono per buona parte del mondo cristiano e per il mondo ebraico, che celebreranno i riti di Pesach e Pasqua.
La settimana in corso è un vero e proprio portale energetico, agli iniziati viene data la possibilità di connettersi con questa vibrazione e trarne beneficio, soprattutto quest’anno in cui tanto è diffusa l’angoscia e la preoccupazione per la pandemia.
Pesach si celebrerà dalla sera di mercoledì 8 a giovedì 16 aprile, la parola viene tradotta letteralmente come passaggio e sta ad indicare l’uscita degli ebrei dall’Egitto, viene dalla radice  פסח che in ebraico in ebraico indica il balzo.
Il concetto di balzo in cabala è connesso con i processi evolutivi, la Creazione stessa è avvenuta in quattro balzi, in questo caso ci si riferisce al percorso che gli israeliti compirono passando dallo stato di cattività alla liberazione.
La prima condizione per acquisire la libertà fu prendere piena coscienza di averla perduta, da questo punto di vista il ruolo di Mosè, punto di riferimento e guida in tutto il percorso fino al raggiungimento della Terra Promessa, fu determinante. Quindi il messaggio che ci trasmette la cabala, in relazione al balzo di Pesach, è che si può essere schiavi senza averne contezza, è una condizione molto diffusa, presi dalle ansie e dalle angosce della vita profana siamo proiettati in una dimensione di coazione a ripetere di gesti, comportamenti che talvolta soffocano le nostre attitudini, il vortice di tutto ciò ci fa perdere di vista la necessità di incontrare la  nostra autentica essenza, l’essere spirituale che ciascuno di noi custodisce.
L’Egitto, in ebraico Misraim, non è un luogo fisico si tratta di uno stato dell’essere, la radice Misraim è connessa con il concetto di ristrettezza, una ristrettezza spirituale che consiste nel piegare la propria vita al materialismo, in qualsiasi forma questo si esprima. La schiavitù da cui tutti siamo chiamati a uscire con un balzo e ad evolverci è l’assenza di discernimento, l’incapacità di essere liberi dai condizionamenti del mondo esterno, fattori che ci privano della forza e della capacità di esplorare la nostra dimensione interiore e di evocare i “ricordi” della ancestrale memoria perduta, quella che conduce allo stato adamico. Pesach è un simbolo della necessità di intraprendere il cammino verso quella dimensione che la cabala lurianica chiama reintegrazione.
Ebbi il privilegio di conversare con una rabbina ed ella osservò che la mia visione della “Terra Promessa “ biblica era sovrapponibile al Gan Eden, il perduto paradiso terrestre, le risposi che in certo senso aveva colto il mio punto di vista,  rimarcai tuttavia  una sfumatura, la Terra Promessa è lo stato dell’essere in cui si è in  condizione di rievocare lo stato adamitico che, se  raggiunto, si manifesta nel Gan Eden. Pesach è il balzo ciò che ne consegue, incluse le gravi difficoltà incontrate dagli israeliti, è il cammino iniziatico; a Pesach c’è molto da festeggiare, viene conquistata la liberazione dal torpore in cui la vita profana ci immerge che impedisce di vedere le catene che vincolano agli stati più bassi dell’essere.
La Pasqua Cristiana è il superamento di ogni caducità, la morte è vinta, cadono le vesti di pelle che Adamo e la madre dei viventi avevano indossato, la dimensione della materia in cui siamo precipitati,  ci si riveste del corpo di luce, questo è l’insegnamento trasmesso  dal  Vangelo con la vicenda della nascita della morte e della resurrezione del Verbo incarnato, ci viene  indicata la via. Gli antichi padri della Chiesa parlavano della deificazione dell’essere umano, quella Theosis che il Cristo, l’unto, il Messia rappresenta.
Il balzo, la trasformazione, il superamento della condizione caduca e la riscoperta della dimensione eterna dell’essere umano, questo il dono degli antichi insegnamenti che il mondo giudaico-cristiano si accinge a celebrare, ciascuno secondo le proprie tradizioni.
Non mi resta che congedarmi augurando a tutti di vivere al meglio questi giorni con la consapevolezza degli iniziati che consente di superare la paura collettiva in cui l’umanità è precipitata, sapendo dare alle persone che ci sono vicine il dono della speranza, essendo coscienti che nessun esilio è permanente.