Tutti gli anni lo vediamo condiviso nelle bacheche di Facebook, come fosse un meme qualsiasi. Si sa di lui che fu un filosofo, e tra i più grandi, e che c’è una statua a lui dedicata a Campo de’ Fiori. Le nuove generazioni, fuori dai Licei, magari non sanno che sono tante le ragioni, oggi, per ricordare la morte di Giordano Bruno. A cominciare, e spesso va in secondo piano, dalla grandezza del pensiero. Bruno ha costruito un sistema monumentale di opere, è riuscito a edificare una comprensione delle cose che non avesse bisogno delle credenze. Non c’è fede in Bruno, c’è Conoscenza. Una conoscenza audace che è quella degli iniziati, una conquista interiore da difendere che si cristallizza in ideale, quello cavalleresco. Perché la Cavalleria, senza Conoscenza e senza Valori, senza mente e senza cuore, è un qualcosa senza scopo, è un vendere mantelli, una gratificazione dell’ego. L’umiltà del Cavaliere è quella di Bruno, del pellegrino di senso che vuole connettere e legare le cose tra loro, che non sopporta la vuota indifferenza degli enti di natura, ma tutti concorrono a un’unica forma penetrata da un unico intelletto. Non ci sono ordini gerarchici in Bruno, le ipostasi aristoteliche sono “vanissima fantasia”. E c’è una eternità senza inizio e fine che perennemente muta.
Ma Bruno, dicevamo, non è solo un grandissimo filosofo. È anche il martire di un pensiero libero, che si oppone al potere dominante della chiesa cattolica, il pensiero rigido, dogmatico, il Potere. È questa libertà che ci piace ricordare. Il rogo, la mordacchia non sono solo episodi della storia, sono tentazioni continui di quella dannazione dello spirito dell’uomo che si chiama sopraffazione, tirannia. E non ne siamo affatto usciti fuori.
Massimo Agostini, Gran Commendatore Cavalieri Templari d'Italia
Rito di York