lunedì 27 maggio 2019

«La religione non deve essere strumento della politica». Pino Neglia lettore di Tiziano Busca

di Pino Neglia

Pino Neglia tra Tiziano Busca e Mauro Cascio nella serata a Lecce curata dal Capitolo del Rito di York Terre d'Otranto

Ho letto rapidamente nel corso della mia convalescenza il libro di Tiziano Busca, La Massoneria parla all'uomo (Tipheret ed.) e con soddisfazione l’ho trovato agevole nell’esposizione del pensiero, presentato in maniera scorrevole e semplice, ma assolutamente non banale. [...]
Un aspetto che ho rilevato che ricorre nel libro in sottotraccia ed emerge a più riprese è il rapporto dell’Uomo con il Sacro e con la Teodicea. Busca quando ha scritto il libro non poteva mai immaginare che nella presentazione del suo libro qui a Lecce si sarebbe trovato nel pieno dell’attualità delle vicissitudini dell’uso di simbologia religiosa, marcatamente cattolica, nell’ agone politico and uso prettamente partitico e propagandistico.
Leggevo il libro nel mio letto di convalescenza ed intanto sul Corriere della sera, Repubblica e Messaggero scorrevano fiumi di inchiostro dissertando su questo rapporto ed uso di simboli cattolici ed il potere politico.
Ognuno usa gli strumenti a lui più congeniali nelle sue analisi e soprattutto strumenti di cui ha una certa dimestichezza. Non ho mai creduto nella tuttologia e confesso che ho enormi lacune conoscitive di cui vedo sono privi “i leoni da tastiera tuttologi” che imperversano nel web e che hanno fatto l’arrembaggio alla politica italiana.
Bene, userò uno dei pochi strumenti a me più congeniali e di cui ho dimestichezza –la Bibbia - per analizzare un piccolo aspetto di questo libro di così scottante attualità: il rapporto tra politica e religione.
L'ebraismo biblico si è sempre basato su una netta separazione fra la dimensione politica e quella religiosa. Nella narrazione biblica la prima (la dimensione politica) è incarnata da Mosè, il condottiero militare e politico, la seconda (quella religiosa) da Aronne, il sacerdote. Questa separazione rimane un aspetto importante dell'epoca biblica anche tardiva, dove vigeva la non sovrapponibilità del sacerdozio (affidato in esclusività alla tribù di Levi) e della monarchia (appannaggio della tribù di Giuda, della stirpe di David). Fin dalle sue radici quindi, l'ebraismo intravede i pericoli della commistione tra politica e religione, elemento classico delle società antiche, e in particolare i rischi dell'uso improprio che la politica può fare di elementi religiosi, utilizzati come
strumenti per carpire l'apprezzamento delle masse.
Troviamo una traccia di questa idea nella terza parola del Decalogo, quella che nella tradizione cristiana (ma non cattolica) corrisponde al Terzo Comandamento mentre per quella cattolica corrisponde al Secondo Comandamento. Tutti conoscono il brano biblico (Es. 20:3 - 7)

Esodo 20:3 Non avere altri dèi oltre a me. 4 Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. 5 Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, 6 e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
Esodo 20:7 Non pronunciare il nome del SIGNORE, Dio tuo, invano; perché il SIGNORE non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano. Classicamente viene tradotto dai cattolici "Non nominare il nome di Dio invano".

Molti credono che questo famoso divieto si riferisca alla proibizione di bestemmiare. In realtà, la traduzione letterale corretta del testo ebraico sarebbe "Non eleverai vanamente il nome del tuo Elohim". Nella sua accezione originale quindi, il verso non si riferisce tanto alla bestemmia, atto grossolano ma di gravità molto minore rispetto a quanto stiamo descrivendo. Il passo vuole significare che Il divino non può e non deve essere usato in nessun caso come un’arma o una strategia di cui l’uomo si serve per i propri fini. Qualsiasi uso strumentale dell'idea del divino, in qualunque modo esso sia rappresentato, costituisce un abuso.
Quando dico “in qualunque modo esso sia rappresentato” mi riferisco al fatto che, se l'idea di entità sovraumane estranee ad un'unità divina è lontana dal concetto Scritturale vetero e neotestamentario, in altre culture religiose, come quella cattolica, tale principio non può che applicarsi anche ad altre figure considerate dal cattolicesimo o da altre realtà della cristianità (la croce e la Bibbia ad esempio per noi protestanti) come in qualche modo facenti parte del divino.
Di conseguenza, quando personaggi politici usano simboli religiosi, nel quadro della loro attività politica, pensando di elevare se stessi attraverso questo comportamento, in realtà tradiscono molto di più di un principio religioso, perché beffeggiano anche le basi di un sano principio di separazione tra stato e religione che dovrebbe costituire la base di un Paese liberale, democratico, moderno e laico.
Questo sfruttamento del religioso in ambito politico a fini manipolatori, non è quindi solo un abuso di ordine religioso, ma soprattutto etico e politico, che dovrebbe far riflettere soprattutto i liberi pensatori il cui pensiero è sempre stato caratterizzato dalla Libertà dai dogmi e basato sulla separazione dello Stato dalla religione.
Quella Libertà che campeggia nei templi ma che è frutto della Aletheias (verità) che “rende liberi” e rispettosi della Libertà altrui.

E ricorda che il libero muratore è (o dovrebbe essere) un sognatore … Infatti ho affisso nel mio studio, a mio imperituro ricordo, la seguente frase:

LOTTA e sarai LIBERO nella vita
SOGNA e sarai LIBERO nello spirito

Un momento della presentazione alla Torre del Parco introdotta da Luigi Carlucci