lunedì 14 maggio 2018

Severino versus Penrose



Si è svolto a Milano, al Centro Congresi della Fondazione Cariplo, un incontro con Severino e Penrose, «Una discussione sulle criticità dell’Artificial Intelligence. Un dibattito, fra scienza e filosofia. Il confronto tra un eminente fisico e matematico, sir Roger Penrose, e uno dei massimi filosofi teoretici del nostro tempo, Emanuele Severino».

Per sir Roger Penrose, professore emerito all’Istituto di matematica dell’Università di Oxford,alla base della coscienza vi sarebbero fenomeni non algoritmici di natura quantistica. La natura della coscienza non sarebbe dunque un sottoprodotto di processi di elaborazione dell’informazione ricevuta, riproducibili da computer e replicabili dall’intelligenza artificiale, ma una specificità propria del cervello umano.

Dopo aver sostenuto questa tesi in uno dei suoi libri più noti, La mente nuova dell’imperatore (1989), Penrose ha avanzato un’ipotesi innovativa e discussa: la coscienza si genererebbe da fluttuazioni quantistiche nelle strutture infracellulari interne ai neuroni (Teoria Orch-Or di Penrose e Hameroff). Se i computer portano a termine dei compiti loro assegnati attraverso logiche algoritmiche, la mente naturale “ragiona” diversamente, con logiche non riproducibili su una macchina.

Nella visione di Roger Penrose esisterebbero dunque differenze incolmabili fra Human Intelligencee Artificial Intelligence. Differenze che imporrebbero di ripensare il modello della mente che fa da sfondo alle riflessioni sull’AI.

Le tensioni nel rapporto fra mente, coscienza e tempo sono da molti anni al centro anche della riflessione di Emanuele Severino, professore emerito di filosofia teoretica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Accademico dei Lincei.

La concezione di mente e coscienza come “cose” che “divengono” nel tempo costituisce senza dubbio nella prospettiva severiniana una delle più inquietanti manifestazioni del nichilismo che avvolge il pensiero dell’Occidente fin dalle sue origini. Eppure, l’approccio riduzionista a tali concetti, oggi divenuto addirittura senso comune, rimane alla base di molti programmi di ricerca, in primis quello della cosiddetta Intelligenza Artificiale forte.

Un simile approccio, lungi dunque dall’apparire “ovvio”, potrebbe occultare fondamentali questioni teoretiche, prima ancora che etiche lasciandole irrimediabilmente inesplorate, e producendo quindi distorsioni di incomparabile portata. Anche nel mondo dell’innovazione dell’AI umanisticamente orientata.

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