di Filippo Goti
È ricorrente nei testi gnostici il monito che viene rivolto in merito alla perniciosità del cibo di questo mondo.
Riscontrando questo elemento nella narrativa di oriente e di occidente, possiamo sicuramente affermare che esso è un caposaldo della strutturazione mitologica e simbolica gnostica.
Con richiami a volte imperiosi e a volte amorevoli viene ricordato allo gnostico di non nutrirsi degli alimenti di questo mondo, in quanto essi sono portatori di oblio, intorpidimento e spossatezza; spesso sono qualificati come mortifero veleno, che conduce alle morte o alla paralisi dello gnostico.
Riporto, a titolo di esempio, alcuni passi dove la metafora del cibo risulta essere centrale.
“Mentre essi mangiavano e bevevano, Giuda non assaggiava assolutamente nulla. Quelli che gli stavano vicino gli domandavano: "Perché sei venuto qui se poi non mangi e non bevi?". Giuda rispose: "Sono venuto qui per qualcosa di meglio che mangiare e bere, cioè per accontentare il re e compiere la sua volontà, e perché gli araldi proclamavano che colui che udiva e non veniva sarebbe stato punito". (atti di Giuda Tommaso)
L’assunzione di cibo e bevande, in questo primo stralcio, è posto in contrapposizione con il mandato che Giuda Tommaso ha ricevuto da Gesù; l’apostolo lascia intendere, appena interrogato attorno al suo diniego, come il ristorarsi non rientri nelle sue priorità, facendo in questo modo pensare che ciò sia comunque incluso in una scala di incombenze, alla cui vetta sussiste l’adempiere la volontà del Re, ma ciò è errato.
Tommaso viene da un lungo viaggio e per molti anni dovrà rimanere in terra d’Oriente svolgendo il ruolo di artigiano del legno e della pietra; in una logica orizzontale egli deve nutrirsi, onde poter espletare la sua missione.
Ovviamente, essendo in presenza di una metafora, il cibo ed il lavoro di mastro svolto da Tommaso devono essere letti attraverso una diversa prospettiva; egli è chiamato per costruire templi e pietre tombali e questo è il lavoro che l’iniziato, in questo caso lo gnostico, deve compiere: la morte interiore e la costruzione del tempio intimo, la morte dell’io profano e della dipendenza dalle cose di questo mondo, ovvero la carnalità e la psichicità che avviluppano l’uomo rendendolo dimentico.
Ciò è rappresentato dal cibo e dalle bevande.
“Ma in qualche modo si accorsero che non ero uno di loro e cercarono di rendersi graditi a me; mi mescerono nella loro astuzia [una bevanda], e mi dettero da mangiare della loro carne; e io dimenticai che ero figlio di re e servii il loro re. Io dimenticai la Perla per la quale i miei genitori mi avevano mandato. Per la pesantezza del loro cibo caddi in un sonno profondo.” (Inno della Perla)
Tale evidenza mortifera delle cose di questo mondo, si staglia per lo gnostico all’interno di questo passo, dove il figlio del Protogenitore viene reso dimentico della missione di cui è stato incaricato. Gli Arconti, le potenze di questo mondo, con astuzia gli tendono un inganno mischiando nel cibo e nella bevanda la propria carne ed il proprio sangue, in modo che l’essere spirituale sia frammischiato, intaccato, intorpidito da ciò che è estraneo alla sua sostanza; lo gnostico proviene da un altro piano esistenziale, un luogo di puro spirito e pensiero, e si ritrova immerso in un mondo che è espressione di una diversa radice creatrice: un mondo di carnalità e di emozioni.
La commistione determina una sorta di oblio di perniciosa fascinazione.
Tale prospettiva viene estesa anche alla sessualità, troviamo infatti:
“La suonatrice di flauto, che si trovava in mezzo alla compagnia, stava girando da tutti e, giunta da Giuda, si arrestò a suonare su di lui. La suonatrice di flauto era ebrea. Mentre lei seguitava a restare a lungo presso di lui, Giuda non sollevò mai il suo sguardo ma lo tenne sempre fisso a terra, fino a quando un coppiere alzò la mano e lo colpì con uno schiaffo. Giuda lo guardò e gli disse: "Il mio Dio ti perdonerà quest'atto nel mondo futuro, ma in questo mondo egli mostrerà le sue opere meravigliose sulla mano che mi ha colpito: la vedrò presto dilaniata da un cane!". “(atti di Giuda Tommaso)
La danzatrice, con le sue sinuose movenze ed il suo mimare [...] attraverso il suono del flauto indugiando attorno a Tommaso Giuda, rappresenta la seduzione: ovviamente una sensualità non solamente ascrivibile alla sola dinamica sessuale, ma estendibile, nel suo potere di fascinazione, all’intera creazione demiurgica.
Le scuole gnostiche, d’oriente e di occidente, che sposarono questa imposizione di totale avversione verso le cose di questo mondo, diedero vita ad un rigido sistema ascetico basato sulla rinuncia e la privazione.
In questo modo viene tramandato dagli scritti degli eresiologi:
La «perpetua astinenza» in materia di cibo è «per distruggere e disprezzare e abominare le opere del creatore» (Hieron., “Adv. Jovinian.” II, 167).
«Non volendo aiutare a popolare il mondo fatto dal Demiurgo, i Marcioniti stabiliscono l’astensione dal matrimonio, sfidando il loro creatore e affrettandosi verso l’Unico Buono che li ha chiamati e il quale, essi dicono, è Dio in un senso differente: perciò, non volendo lasciare niente di proprio quaggiù, diventano continenti non per un principio morale, ma per ostilità al loro fattore, e per non voler servirsi della sua creazione» (Clem. Alex., loc. cit.)
Al contempo è attraverso il sacrificio, che qui assume forma di sacra cannibalizzazione, che in alcune escatologie gnostiche viene posta fine al potere arcontico; così come l’ingestione del cibo di questo mondo è velenifera per lo gnostico, così l’ingestione del corpo di luce è mortifera per gli arconti.
“Perciò l’Uomo Primordiale diede sé e i suoi cinque Figli come cibo ai cinque Figli della Tenebra, come un uomo, che ha un nemico, mescola un veleno mortale ad una torta e gliela offre. L’Arcidiavolo divorò parte della sua luce [cioè i suoi cinque figli] e nello stesso tempo lo circondò con i suoi generi ed elementi. Appena i Figli della Tenebra li ebbero divorati, i cinque dèi luminosi furono privati di intelligenza e mediante il veleno dei Figli della Tenebra divennero come un uomo morso da un cane arrabbiato o da un serpente. E le cinque parti della Luce furono mescolate alle cinque parti della Tenebra”
Sostanzialmente possiamo affermare come attraverso la metafora del cibo, nello gnosticismo si voglia sottolineare la reale natura dell’esistenza terrena, la quale pervade ognuno degli involucri che raccolgono l’essenza dello gnostico; l’azione delle interazioni attive e passive con le cose di questo mondo genera torpore, sonno, debolezza, ubriachezza e oblio.
Il movimento spirituale ed iniziatico moderno ha tratto numerosi spunti da queste riflessioni, riassumendo quanto sopra poeticamente esposto in una più cruda sintesi chiamata “alimentazione delle impressioni”. Essa si fonda sul principio secondo il quale così come il cibo viene scomposto in elemento biochimici che poi andranno a costituire il nostro corpo fisico, così la sessualità, le emozioni, le letture e le interazioni tutte sono a loro volta scomposte, attraverso il nostro sistema nervoso e sensitivo, in altrettante sostanze biochimiche che a loro volta andranno ad interfacciarsi con il nostro cervello ed implementarsi nella nostra psiche.
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