martedì 20 febbraio 2018

La mistica islamica

di Nuccio Puglisi



La via mistica o via spirituale è la dimensione interiore di cui la rispettiva religione è l’espressione esteriore. Non si può essere Francescani senza essere Cristiani, né Sufi senza essere Musulmani. Non vi è Sufismo senza Islam.
Uno studio attento della mistica islamica rivela che il suo fondamento primo o il suo punto di partenza deve essere ricercato prima di tutto proprio nella stessa professione di base della fede islamica, cioè la testimonianza e la coscienza dell’assoluta Unità ed Unicità di Dio (tawhîd):

Non c’è dio se non il Dio (Allâh).

È questa formula continuamente ripetuta che plasma la vita, la coscienza e il pensiero del musulmano. È questa anche la sorgente dell’esperienza dei mistici dell’Islam, i sufi e questo spiega anche il perché non si può essere sufi se non si è musulmani.


Islamismo radicale

L’islamismo radicale non e un movimento religioso ma è il modo in cui alcuni gruppi esprimono la loro barbarica rabbia politica utilizzando a questo fine una certa interpretazione della religione. Gli atti terroristici sono perpetrati da individui che seguono una ideologia settaria che non rappresenta la religione musulmana ed alcuni individui che si imbottiscono di tritolo facendosi esplodere in luoghi affollati, non sono altro che persone, plagiate da gente senza scrupoli, che hanno l’illusione di combattere e morire per un Dio che invece li condannerà.
È bene sottolineare che per l’Islam la vita e la morte sono dei decreti divini. Il Corano, a questo proposito, e abbastanza chiaro:

Non sono i genitori che danno la vita, bensi formano il ricettacolo
carnale atto a riceverla da Dio (Cor. 46,13).

Questo è il motivo per cui il Corano condanna  più volte il suicidio consapevolmente voluto, ed il suicida andrà inevitabilmente all’inferno per aver contravvenuto ad un decreto che spetta solo a Dio.
Come giustamente faceva notare il prof. Gabriele Mandel nel corso delle sue innumerevoli opere e conferenze, l’Islam non si presenta come un blocco monolitico, in quanto esistono numerose fazioni: sciti e sunniti, gruppi antichi minoritari quali kharagiriti, zayaditi, drusi, alawiti. C’è inoltre un movimento di secolarizzazione in epoca moderna tipo salafismo e wahhabismo suddiviso in molte correnti quali fratelli musulmani, talebani etc.
Il Salafismo, che prende origine dalla parola araba salaf cioè antichi/antenati, propugna il ritorno ad un Islam puro, quello riferibile ai primi anni dopo la morte del Profeta ritenendo che nel corso dei secoli a seguito delle dominazioni straniere e della collusione con il mondo occidentale, la religione abbia perso le sue caratteristiche originarie. I garanti e gli assertori di un Islam puro sono quelli che implicano anche un ricorso ideologico al jihad come strumento di difesa (della nazione islamica) e poi di offesa (contro questo contagio sociale esterno).
È una dottrina evolutiva che fornisce alibi ai fondamentalisti musulmani nella lotta contro la modernizzazione, la decadenza dei costumi e la globalizzazione e che oggi, nelle sue forme più deleterie, postula l’attività terroristica.
Anche dal punto di vista politico esistono delle differenze nei posti in cui l’Islam è religione di Stato. Ad esempio l’Iran (a maggioranza scita) è una repubblica coranica, che si affida totalmente a un capo spirituale, la Turchia, negli anni ’20, abrogò la legge coranica e sancì la separazione tra potere religioso e stato, in Libia ed in Iraq, prima della caduta di Gheddafi e di Saddam Hussein vigeva addirittura un regime socialista.
Ognuna delle fazioni religiose e delle relative correnti, come vediamo, ha una sua storia ed anche un suo modo di intendere la religione così come uno Stato segue le proprie leggi in relazione alla propria struttura giuridica; se tutte queste differenze non si conoscono, ecco che un approccio superficiale all’Islam risulta oltremodo difficoltoso generando una notevole confusione.


Quali sono i modi per avvicinarsi alla mistica islamica?

Sono vari i modi secondo i quali ci si può avvicinare allo studio della mistica islamica, innanzi tutto abbiamo l’approccio dello stesso Sufi che considera la sua via o metodo come autentiche espressioni della spiritualità islamica che, in quanto tali, sono iniziate con il Profeta Muhammad e che da sempre hanno costituito parte integrante nella tradizione spirituale dell’Islam. Studiare il Sufismo su fonti esclusivamente sufiche presuppone però, una solida conoscenza della religione islamica in generale e preferibilmente anche la conoscenza di una delle sue lingue originali.
In secondo luogo, si possono studiare le numerose opere scritte dagli orientalisti occidentali, alcune delle quali abbastanza coscienziose e informative ma che mancano quasi completamente di qualsiasi valutazione del gusto sperimentale del Sufismo, essenziale per una sua adeguata comprensione. Questo tipo di approccio comporta generalmente l’idea errata che il Sufismo sia qualcosa di essenzialmente estraneo all’Islam e che vi sia stato trapiantato desumendolo da altre religioni.
Il terzo approccio, che potremo definire universalista, è quello che considera l’Islam e il Sufismo come manifestazioni particolari degli universali aneliti umani verso il soprannaturale e lo spirituale.
Ognuno si approccia allo studio di questa cultura esoterica in relazione a quella che è la sua cultura di base e al suo credo religioso anche se, nella maggior parte dei casi, particolarmente gli occidentali, hanno un approccio universalista.
Nell’Islam l’aspetto essoterico e quello esoterico sono ben distinti anche se hanno tra loro una relazione ben precisa che può essere descritta meglio nel modo seguente: la religione esteriore o essoterica (conosciuta nell’Islam come la Shari’a) può essere paragonata alla circonferenza di un cerchio; la Verità interiore o esoterica, che rappresenta il nocciolo della religione (conosciuta nell’Islam come haqiqa) può, invece, essere paragonata al centro del cerchio. Il raggio che va dalla circonferenza al centro rappresenta la via mistica o “iniziatica” (tariqa) che conduce dall’osservanza esteriore alla convinzione interiore, dalla fede alla visione, dalla potenza all’atto.
La Sharì’a è la religione “esteriore” accessibile e indispensabile a tutti, la tariqa è riservata solo a coloro che ne possiedono la vocazione necessaria.


Dialogo con altre religioni

Il concetto di dialogo è abbastanza chiaro nel dettato del Corano, il quale lo rende evidente ma, soprattutto, invita al costante rispetto dell’altro. Dice il Corano:

Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Ma vuole provarvi con ciò che vi ha dato. Gareggiate, dunque, (reciprocamente) nelle opere buone. Tutti tornerete a Dio, che allora vi informerà su ciò su cui divergete.

Junaid, maestro sufi del nono secolo disse: «Il colore dell’acqua è il colore del suo recipiente», intendendo che tutte le religioni e tutte le culture sono eguali; differiscono per ambiente, nome e ritualistica, ma non possono differire nella sostanza.
La divinità assoluta, non può essere contenuta in una cosa perché è l’origine e l’essenza di tutte le cose e, quindi anche di tutte le religioni. Più ci si avvicina a Dio e più si capisce che tutte le religioni sono tentativi per avvicinarLo.
Ogni popolo ha una sua religione spesso facente capo ad un testo ritenuto sacro. Gli ebrei hanno la Torah, i cristiani la Bibbia, i musulmani il Corano. Tra questi libri è il Corano ad affermare in modo esplicito ed inequivocabile che ogni popolo ha i suoi profeti e le sue sacre scritture di pari dignità tra loro. Per esso la rivelazione divina è universale: «Erano un tempo, gli uomini una nazione sola, e Dio mandò i profeti, araldi e ammonitori, e con loro rivelò il Libro pieno di Verità» (Cor. 2,213).
Per il Corano, quindi, non è tanto una specifica pratica religiosa esteriore che ha importanza, quanto piuttosto, il credere in Dio ed avere un comportamento retto e generoso. A proposito del rispetto interreligioso dice:

Nessuna costrizione in fatto di religione

ed ancora:

Il Giorno del Giudizio universale vedrai ogni comunità inginocchiata dietro al suo Libro sacro; ed allora verrete giudicati sulla base delle vostre azioni.

Giudicati dunque in base alla nostre azioni, non in base al credo religioso. Nel Corano c’è proprio una esortazione al dialogo con persone di altro credo religioso ed esattamente in 29-46:

Con le genti del Libro dialogate in modo cortese e dite loro: crediamo in ciò che è stato rivelato a voi ed in ciò che è stato rivelato a noi, il nostro Dio è lo stesso vostro Dio. A Lui noi siamo sottomessi.

Jalail.al-Din Rumi grande mistico sufi scrisse:

Le vie sono diverse, la meta è unica. Non sai che molte vie conducono ad una sola meta? La meta non appartiene né alla miscredenza né alla fede; lì non sussiste contraddizione alcuna. Quando la gente vi giunge, le dispute, le controversie che sorsero durante il cammino si appianano; e chi diceva l’un altro durante la strada “tu sei empio” dimentica allora il litigio perché la meta è unica.

Facendo una panoramica sulle tre principali religioni monoteiste i Sufi riconoscono che l’Ebraismo è la religione della Speranza, il Cristianesimo è la religione dell’Amore, l’Islam la religione della Fede.
Fede, Speranza ed Amore, origini della mistica, della spiritualità, dei valori sublimati che ci conducono alla comprensione di Dio.
La comprensione dei “valori dell’altro” il giusto equilibrio tra tolleranza e reciproca conoscenza, sono i valori che possono restituire al mondo la pace che cercano tutti gli uomini di buona volontà.




Che cosa è il Sufismo?

A questa domanda risponde Si Hama Boubakeur ex rettore dell’Università islamica di Parigi.

Il Sufismo in se stesso non è né una Scuola telogico-giuridica, né uno scisma, né una setta, anche se si pone al di sopra di ogni obbedienza.
È innanzi tutto un metodo islamico di perfezionamento interiore, di equilibrio, una fonte di fervore profondamente vissuto e gradualmente ascendente. Lungi dall’essere una innovazione o una via divergente parallela alle pratiche canoniche, è anzitutto una marcia risoluta di una categoria di anime privilegiate, prese, assetate di Dio mosse dalla scossa della Sua Grazia per vivere solo per Lui e grazie a Lui nel quadro della Sua legge meditata, interiorizzata, sperimentata.
Sono numerose le definizioni di Sufismo che si trovano nei libri arabi e persiani che trattano dell’argomento ma risulta oltremodo difficile darne una definizione universale in quanto non si può concepire una formula capace di comprendere tutte le sfumature di un sentimento religioso intimo e personale.
Se domandassimo a dei maestri la definizione di sufi ed in cosa consiste, ognuno di loro risponderebbe in maniera differente.
La parola “Sufi” ha una triplice etimologia:
1. gli ahl us-Suffa erano “quelli della veranda”, i Compagni del Profeta Muhammad che avevano lasciato tutto pur di vivere quanto più vicino al Profeta. Risiedevano sotto una veranda fuori della casa di Aysha. Quando il Profeta usciva erano i primi a incontrarlo, quando riceveva un dono lo divideva con loro. Vivevano senza possedere nulla ed in continui digiuni e devozioni.
2. Suf vuol dire lana. I Sufi dei primi secoli erano asceti che vivevano nei deserti vestiti di una lunga tunica di lana
3. Safa vuol dire purezza: i Sufi sono i Puri.


La dottrina dei Sufi

Le componenti della dottrina sufi sono l’amore totale per Dio; la gnosi che superando la conoscenza intellettuale imperfetta e incompleta unisce direttamente il sufi al divino, da cui la certezza della Sua esistenza e dell’impossibilità di capirLo con le sole forze umane; il raggiungimento della conoscenza intuitiva; l’ascesa mistica attraverso una serie di stati e di stazioni, integrati dalla rammemorazione (dhikr) e dall’estasi ( fana)

Il termine fanà include differenti stadi, aspetti e significati che possono essere così riassunti:

1) una trasformazione morale dell’anima per mezzo dell’estinzione di tutte le sue passioni e dei desideri.
2) Una astrazione mentale o un trascendere della mente oltre tutti gli oggetti della percezione, i pensieri, le azioni, i sentimenti, per mezzo della sua concentrazione
nel pensiero di Dio.
3) La cessazione di ogni pensiero cosciente. Il più alto stadio di fana è conseguito quando scompare anche la coscienza di aver raggiunto fana. Questo è quello che i Sufi chiamano “trascendere il trascendere” (fana al-fana) .
Il mistico è allora rapito nella contemplazione dell’essenza divina.

La condizione di estasi può essere raggiunta non solo con la meditazione o la concentrazione ma anche con la musica, il canto e la danza.
Secondo una credenza mistica ben nota, Dio ha ispirato ogni creatura di lodarlo nel suo proprio linguaggio, così che tutti i suoni dell’universo formano un vasto inno corale con il quale Egli è glorificato; conseguentemente, coloro ai quali Egli ha aperto il cuore e che ha dotato della percezione spirituale odono la sua voce per ogni dove e vengono sopraffatti dall’estasi quando ascoltano il canto ritmico del muezzin o il grido che lancia nella via il saqqa che porta a spalla il suo otre di acqua.
A Pitagora e a Platone viene riferita un’altra teoria a cui i Sufi alludono frequentemente, secondo la quale la musica risveglia nell’anima la memoria di celestiali armonie udite in uno stato di pre-esistenza, prima che l’anima fosse separata da Dio.
Le virtù dei sufi sono principalmente: conoscenza, coerenza, perseveranza, rispetto a cui vanno aggiunte pazienza, rinuncia, sincerità, accettazione ed umiltà consapevole; il tutto costantemente, retto dall’equilibrio.
Il sufi realizzato è quindi libero da ogni tipo di simbiosi, e il suo rapporto con il mondo esterno è un corretto rapporto adulto e non simbiotico. Il fine ultimo è il raggiungimento, attraverso l’illuminazione, di una realizzazione personale che disveli a ciascuno di noi la scintilla divina che è in noi: ossia la consapevolezza del divino avendo superato i veli dell’ignoranza.
Soffermiamoci sull’umiltà.
L’umiltà inizia dove una precisa considerazione del sé ha stabilito in termini chiari il valore dell’individuo e la sua realtà fenomenica. Non si può essere umili se non si conosce se stessi e non si dà a se stessi la collocazione precisa nella vita comune e nell’escatologia (“nel mondo ma non del mondo”).
Il cammino è irto di difficoltà e non è breve, in quanto comporta l’unione sia della parte materiale che di quella spirituale; raggiungimento della spiritualità attraverso la materialità, non con il distacco della materialità; è un cammino che deve trovare costantemente il proprio equilibrio anzi l’equilibrio fra i continui squilibri del mondo esterno (si noti, la somiglianza con la via alchemica in cui la fase più importante è rappresentata dal raggiungimento dell’equilibrio mediante la materializzazione dello spirito e la spiritualizzazione della materia).
Per poter progredire verso Perfezione, l’individuo deve, prima di tutto, cambiare il suo modo negativo di pensare e tramutare le sue passioni in virtù. Perché ciò avvenga bisogna armonizzarsi con la Natura Divina. Questa via d’Armonia (la Via Spirituale), consiste nella povertà spirituale; nella devozione e nel ricordo costante di Dio; totalmente dimentico di sé. In questo modo, l’individuo percepisce la Verità quale essa è veramente.


Le Confraternite Sufi

Dal momento in cui molti credenti iniziarono a sentire il bisogno di una sicura e sperimentata guida nel loro cammino mistico, nascono le “vie” (in arabo: turuk) dette anche confraternite o ordini Sufi, che presero il nome dai loro fondatori.
Queste confraternite oltre ad organizzarsi attorno ad un Maestro, adottano anche un determinato ordine o regola di vita, ritmato da pratiche spirituali e da un certo tipo di vita in comune.
L’organizzazione delle Confraternite consiste in gruppi di musulmani anelanti a Dio, iniziati dal capo della Confraternita, che è l’erede diretto del carisma (la baraka) trasmessogli dal fondatore della Confraternita stessa; e a volte può esserne anche l’erede per sangue.
Ai tempi del Profeta, il nome “Sufi” ancora non veniva usato, ma la realtà già esisteva. Il Profeta conferì questo rito (dando la corrispondente istruzione) solo ad alcuni dei suoi Compagni. Dal capo della Confraternita si risale al fondatore attraverso una serie precedente di Capi, in una catena precisa e ininterrotta, la salsalat âlWird (o silsila). Il fondatore ha trasmesso loro una particolare preghiera rituale (wird, o hizb), costituente il fondamento del rituale comune; e un testamento mistico, o “raccomandazione” (wasiya).
I vari metodi sufici di realizzazione spirituale, non possono essere validamente praticati senza iniziazione e senza il consiglio di uno shaykh o maestro; il farlo comporterebbe un pericoloso rischio spirituale.
Il sufi (apprendista, compagno o maestro) fa quindi parte di una tekké e partecipa alle riunioni rituali (hadra). Esse sono di due tipi: una è dedicata alle discussioni, ai postulati, alle delucidazioni, all’istruzione, a quant’altro il Maestro ritiene necessario per la progressione spirituale; ed una è dedicata al dhikr collettivo. È abbastanza normale, in queste riunioni, iniziare con la preghiera comunitaria e con il pasto in comune. In varie Confraternite – non in tutte comunque – il dhikr comprende musica, canto e danza, una danza collettiva che spesso è chiamata âlZohd (l’ascesi).
 Le confraternite sufi hanno avuto, inoltre, un ruolo molto importante anche nella educazione e nella formazione dei credenti e nella inculturazione dell’Islam nei vari popoli, infatti, attraverso questi ordini, l’Islam si è adattato alla diverse culture in cui è penetrato adottandone le caratteristiche locali.
Questo spiega il perché di una varietà di comportamenti rituali, di preminenze dialettiche a volte anche tra le varie Confraternite, fermo restando che: “Tutte le strade conducono ad una unica meta”.


Il sema dei Sufi Mevlevi o dervisci giranti

I dervisci realizzano nel sema ciò che San Tommaso d’Aquino diceva a proposito del corpo e dell’anima. Egli sosteneva che il corpo è nell’anima e non tanto l’anima nel corpo.
Ora i dervisci con la loro danza estatica insegnano che il corpo vive del flusso creatore di cui vive l’anima. Il primato dello spirituale sul corporeo diventa evidente nel fatto che se l’anima gioisce dell’ascolto della Parola divina e dell’energia contenuta nell’Universo, il corpo danzante è l’immagine della spiritualizzazione del corpo.

Al Ney è legata una leggenda:

Un giorno Maometto comunica suo genero Alì i segreti che gli furono rivelati durante il viaggio in cielo. Questi non riesce a sopportarne il peso e li grida dentro ad una cisterna. Così la canna che cresce li accanto viene a saperli. Allontanata dalla cisterna e tramutata in uno strumento, quando riceve il soffio fa risuonare i segreti divini.
Questa leggenda ha un alto valore simbolico, in Rumi, la cisterna è il simbolo del luogo in cui l’anima è imprigionata, sia esso il corpo o il mondo. La via d’uscita da questa prigione è data dall’annullamento dell’Ego, che è possibile attraverso l’abnegazione amorevole, sempre connessa con il dolore. La forza che da la capacità della dedizione è l’amore disposto al supplizio più estremo. Chi ascolta il flauto viene stimolato verso quello stato animico che lo mette in grado di sciogliersi allo stesso modo e con ciò trovare l’accesso verso un mondo più interiore.
Il Ney è il simbolo dell’uomo gnostico, dentro è cavo e quindi ha raggiunto lo stadio dell’annullamento dell’Ego, l’alito di colui che lo suona, soffia è paragonabile al respiro di Dio quando svegliò Adamo alla vita. La canna, come l’uomo, è separata dalla sua casa di origine, il canneto; consapevole della sua origine divina, l’uomo ha nostalgia di casa e il suo dolore per la separazione, è espresso attraverso i toni lamentosi del flauto.

Lo Shayk  ha un caratteristico copricapo nero avvolto da un turbante nero, simbolo del suo grado, (o verde se ha compiuto il pellegrinaggio alla Mecca), mentre i danzatori hanno un alto cappello di feltro marrone, che simboleggia la loro pietra tombale.
A passi lenti, i danzatori percorrono in senso antiorario la circonferenza della danza ( come avviene in tutte le circumbulazioni attraverso a luoghi sacri e nella Ka’ba) per tre volte, avanzando con passo puntato al ritmo dei tamburi, mentre, sempre a ritmo ripetono interiormente il nome di Al-lah.
Questo è il devr-i Veledi: il circolo del sultano Veled, e i tre giri della sala e questi saluti simbolizzano l’elevazione dei livelli di consapevolezza nei tre valori di ‘ilm alYakin, ( Scienza della Certezza o conoscenza esteriore delle cosa manifestate )  ‘ayn alYakin, ( Visione della Certezza o certezza basata sulla percezione sensoriale diretta ) e  haqq alYakin ( la Verità della Certezza  o certezza basata sulla esperienza individuale).

Dopo avere percorso per tre volte la circonferenza di danza, i danzatori si fermano su un lato lungo ed ha luogo, con un breve inchino, lo scambio reciproco dei saluti.
Il capo dei danzatori ( semazen bash) raggiunto il vello fa un inchino, supera con tre passi la linea centrale della circonferenza di danza e si volta indietro trovandosi così “faccia a faccia” con il successivo danzatore, entrambi guardano “la bellezza del mondo di Dio negli occhi dell’altro” e si inchinano l’un altro a simboleggiare il saluto che tutte le anime nascoste nelle forme e nei corpi si scambiano in segno di fratellanza. Il Semazen bash prosegue dietro lo Shaikh ed il danzatore con il quale si era trovato “faccia a faccia” varca anch’egli l’equatore con tre passi si volta verso chi lo segue ripetendo lo stesso rito e così via.
A questo punto inizia la vera e propria musica per la danza rotante, i semazen baciano la kirqa (il mantello nero) e la lasciano cadere a terra dietro di sé ed assumono la posizione definita di umiltà (niyaz vaziyeti )  cioè incrociando le braccia sul petto, la mano sinistra sulla spalla destra e la mano destra sulla spalla sinistra che nella grafia araba  sta a significare il termine Allah .
Ad uno ad uno i danzatori si dirigono verso il maestro,  ricevono un bacio sul bordo del copricapo di feltro e cominciano a roteare sul proprio asse avanzando lungo la circonferenza e, dopo aver allargato le braccia, sempre roteando su se stessi iniziano a girare attorno alla sala con la mano destra volta al cielo per ricevere i doni di Dio e la mano sinistra volta alla terra per dispensare a tutti i doni ricevuti da Dio.
Il semazen bash cura che, ruotando, i semazen non si disturbino a vicenda e mantengano la giusta distanza.
Questa cerimonia è ripetuta integralmente quattro volte, cioè per quattro “saluti” interrotti ciascuno da un arresto della musica ed in ciascuno delle quattro fasi di danza che si susseguono, procedono di un gradino verso la conoscenza e l’avvicinamento a Dio.
Sul finire del quarto selam  il Maestro (Shayk) si allontana dal vello e compie a piccoli e lenti passi un breve percorso davanti a sé, girando su se stesso e tenendo tirato con la mano destra il bavero del mantello. Egli ruota al centro del cerchio della danza ed è un tutt’uno con il qtub (l’asse) che unisce la terra (area della danza) con il cielo (la cupola) sopra di lui. Simboleggia il completamento del “viaggio mistico” con il raggiungimento della Gnosi ( Ma’rifa, la conoscenza mistica suprema); ed il ritorno sulla terra dell’anima che, sottraendosi allo stato di estasi, accetta di nuovo la prigionia della materia fisica dopo l’ebbrezza della luce divina.
Il viaggio mistico è terminato ed il Sufi “morto prima di morire” ha testimoniato materia e spirito, essenza reale e transitorietà fenomenica.
Lungo la via sufica del perfezionamento di sé, quindi,  sono quattro i viaggi interiori, che i dervisci percorrono dal primo all’ultimo selam.

Il primo “saluto” simboleggia la nascita dell’essere umano alla verità, cui giunge, grazie al ragionamento, ad una formale presa di coscienza che lo rende consapevole dell’esistenza di Dio.
Il secondo “ saluto” simboleggia il raggiungimento di una consapevolezza superiore, in cui l’essere umano sente la Potenza di Dio attraverso lo splendore della Sua creazione.
Nel terzo “saluto” l’essere umano giunge a Dio eliminandosi in Lui ( fana), ed è l’estasi, il superamento di ogni transitorietà fenomenica.
Il quarto “saluto” simboleggia il ritorno sulla terra dallo stato estatico e l’accettazione della materia dopo l’ebbrezza della luce divina.
Riepilogando, durante il semà, i dervisci percorrono la via dell’intuizione, dell’eccitamento e del movimento interiore ( processione ), passano per l’estasi e la dedizione giungendo al dissolvimento (dal primo al quarto selam ), poi gradualmente ridiscendono ed infine escono per tornare nel creato, per essere “nel mondo ma non del mondo”, nella silenziosa consapevolezza del mistero di manifestazione che hanno sperimentato.
Nell’ultima fase della cerimonia, lo Shaikh ritorna lentamente al vello e la danza è terminata.  I danzatori indossano nuovamente la kirqa. Il capo dei danzatori  dice una preghiera di ringraziamento e di benedizione ( post du’asi ),e la recitazione del Corano. In particolare è recitato il passo coranico 2° 1-4 ed il Versetto 2°115: «A Dio l’Oriente e l’Occidente. Ovunque vi volgiate quindi là è il volto ( l’essenza) di Dio. Si: Dio è l’immenso e il sapiente».
Nel silenzio generale il qtub talvolta  pronuncia, talvolta, un  ultima preghiera  per tutti i profeti e per tutte le anime dei credenti ( Mevlevi Gulanky), e la fatiha , la prima sura del Corano che si conclude con le parole:  «Hu diyelim» ( Noi Lo vediamo ).  Tutti  allora esclamano Hu ( Egli, Dio, in assoluto), chiudendo il rito con questa affermazione che trascende il vocabolo “Dio” a significare il superamento di ogni descrizione possibile della divinità da parte dell’essere umano.


Sufismo e Massoneria

La massoneria riprende, per certi versi,  gli antichi temi del sufismo compreso quello mistico, poiché il Grande Architetto dell’Universo non può essere esaurito da nessuna religione e da nessuna credenza, solo una “cerca” personale può permettere di non essere intrappolati dalle credenze del tramandato.
La massoneria ha avuto come principio il dar la possibilità di agire e di riunirsi a tutti coloro che aldilà delle fedi volevano impegnarsi per cercare la verità, la giustizia, una evoluzione umana cominciando imprescindibilmente da loro stessi.
Il Guénon rivelò poi di avere ricevuto dallo Sheik Elish El Kebir della Confraternita Sufi Chadhilyya fondamentali insegnamenti sul simbolismo muratorio della Squadra, Livella, Triangolo e Compasso e di aver verificato sorprendenti analogie tra il lavoro muratorio e l’operatività delle Confraternite Sufi quale, ad esempio, la necessaria presenza di almeno sette confratelli per la pratica del Dhikr.
Il Sufismo è costituito in Ordini, o Confraternite. Confraternite ben organizzate sin dal X secolo. Un Maestro venerabile, due luci, un copritore esterno, e gli adepti, che si distinguono in apprendisti (murid), compagni (‘arîf: iniziato) e maestri (Shayk). Si riuniscono in una tekké, o zawiyya, o dergah: una Loggia.
Per entrare nell’ ordine, il neofita si sottopone a una iniziazione, che comporta anzitutto il ritiro (khalwa) in un gabinetto di meditazione, ritiro che a seconda degli Ordini va dai tre ai quaranta giorni. Riceve allora la parola segreta di rito, i passi e le insegne del suo lavoro. Presso i Bektashi l’iniziando è condotto nella loggia con una corda al collo (tigbend) e ricevuto, è cinto dal grembiule (peshtemal), che viene mutato ad ogni aumento di salario.
I lavori si aprono idealmente a mezzogiorno e si chiudono idealmente a mezzanotte.
I parallelismi non si limitano qui. In tutta la letteratura dei maestri sufi, ricchissima, si trovano concetti, simboli, rituali, che possono essere accostati a concetti, simboli e rituali massonici.
Concludendo, si può dunque ragionevolmente affermare che il Sufismo ha certamente avuto influenza su diversi aspetti del Lavoro Muratorio o, per meglio dire, tra questi due Soggetti esistono diversi punti in comune poiché, ciò che appartiene alla Tradizione, è Tradizione essa stessa, come Guénon amava dire.
In definitiva la Massoneria è un grande veicolo, una summa degli insegnamenti tradizionali ove convergono aspetti provenienti da diverse dottrine, ma con l’unico scopo di portare l’uomo alla elevazione spirituale in modo che egli contribuisca al miglioramento del mondo in cui vive.