mercoledì 11 gennaio 2017

Il mito gnostico

di Filippo Goti




«Il mito racconta una storia sacra; riferisce un avvenimento che ha avuto luogo nel tempo primordiale, il tempo favoloso delle origini [...] È dunque sempre il racconto di una "creazione": si narra come qualcosa è stato prodotto, come ha cominciato a essere» (Mircea Eliade, Aspects du Mythe)

«Gli antichi dei, disincantati e perciò trasformati in potenze impersonali, sorgono dalle loro tombe e riprendono la lotta fra di loro aspirando a conquistare il dominio sulla vita». (Max Weber)
Qualcuno leggendo uno dei testi di Nag Hammadi potrà avere il dubbio che gli antichi gnostici fossero dei politeisti, che antropomorfizzavano gli eoni o gli arconti, e che tutta la saga della caduta altro non fosse che una questione di un amore ai limiti dell’incesto. Riducendo quindi lo gnosticismo ad una versione romanzesca, estremamente elaborata e sofisticata, di un rapporto amoroso tragicamente terminato fra una divinità femminile di ordine inferiore, e il Padre del tutto. Infine, come ultima estensione, si potrebbe essere successivamente tentati di fornire una spiegazione psicologica, o di creare archetipi di interpretazione psicanalitica proprio attraverso lo gnosticismo.
Ipotesi che potrebbe trovare ulteriore alimento dalla constatazione che lo gnostico si ritiene straniero al mondo, il suo continuo anelare un mondo superiore di eterno equilibrio, potrebbe suggerire una qualche forma di rifiuto o di dissociazione, da leggersi proprio attraverso i miti proposti.
A mio avviso è questa una strada veramente impervia, in quanto ogni mito umano è in ultima analisi l'ultimo rifugio della capacità di rappresentare, da parte dell'uomo, il perchè della propria esistenza. Ricostruendo su piani superiori quel rapporto affettivo e creativo di cui è esso stesso un anello. E' nella natura umana leggere il mondo circostante, dare ordine allo stesso, creare dei punti fermi di relazione, e tracciare la propria posizione presente, passata e futura, in tale rappresentazione. La quale comprende elementi sensibili, ma non per questo reali, ed elementi interpretativi e speculativi.
La grande novità rappresentata dallo gnosticismo è la rottura di ogni legame con la manifestazione stessa, non riconoscendo ad essa dignità di essere stata creata da parte della vera divinità, ma bensì da una potenza di ordine inferiore. Tale intuizione porta l’uomo ad essere finalmente arbitro del proprio destino, in lotta perenne contro forze titaniche che altro non sono che forme particolari della manifestazione. Che nella sua integralità è avversa ed ostativa al desiderio gnostico di ascesa. Lo gnostico credendo che la creazione è ingannevole, non ha fede verso il dio che l'ha partorita. Esso intuisce in se una particola elementare, che lo ricollega ad un piano superiore, precedente a questa manifestazione sensibile, e possiamo trovare in ciò forti richiami al pensiero cabalistico delle origini, che del resto è stato fortemente influenzato dallo gnosticismo, ad una parte del pensiero platonico, e non per ultima ad una certa metafisica orientale. Comprendiamo quindi che lo gnosticismo si collega da un lato in modo trasversale rispetto a movimenti religiosi-spirituali, e dall'altro che si pone in quella tradizione metafisica che tratta ciò che è reale ed irreale rispetto alla capacità dell'uomo di realizzarsi attraverso il risveglio interiore. In tale ottica ecco quindi che la manifestazione eonica è un costrutto, un immaginario utile a raffigurare una moltitudine di psichichismi per spiegare cosa è l'uomo e quale dovrebbe essere il suo fine.  Il degradare degli eoni, la rottura della divina sigizia (la coppia maschile/femminile eonica), altro non è che la rappresentazione simbolica, in un racconto mitologico, atta da un lato a rappresentare il passaggio da un mondo di pienezza e realtà, ad un mondo di frammentazione ed irrealtà.
 Il problema che si trova innanzi un lettore moderno dello gnosticismo, è relato al fatto che oggi siamo abituati a comunicare in forma enunciativa. La parola ha perso completamente ogni valore simbolico ed evocativo, risultando incapace di stimolare l'immaginazione del lettore. La nostra lente di lettura è piatta e moderna, e difficilmente comprendiamo che in epoche ed ambiti diversi dai nostri la comunicazione poteva avvenire in altre forme e modi.
Anche negli ambienti in cui si vorrebbe parlare in chiave simbolica, a causa della pressante dialettica si tende a confondere il simbolo con segno. Ritenendo che il significante sia rappresentato dal segno, e che le informazioni abbiano per propria stessa esistenza automatica capacità di formazione. Gli antichi gnostici scelsero come mezzo espressivo la forma mitologica, essi comunicavano attraverso immagini, cercando di conseguire vari obiettivi.
Il primo permetteva loro di veicolare un maggior numero di informazioni. Prendiamo ad esempio l'immagine di una rosa, essa per sua stessa natura solletica i sensi, e attraverso i sensi la nostra capacità associativa. Quindi con una sola immagine non richiamiamo colore, forma, composizione, periodo dell'anno di fioritura, e una serie di sensazioni collegate ad ognuno di questi elementi.
Il secondo offriva uno scrigno simbolico a chi aveva la giusta chiave interpretativa. Gli ambienti iniziatici, hanno spesso elaborato una sorta di linguaggio riservato che non si fondava su di una semplice crittografia del segno, ma bensì di una crittografia del senso. Pensiamo all'ermetismo dei testi alchemici, che pongono in profondo imbarazzo gli stessi studiosi di simbolismo o di alchimia moderna. Così gli gnostici attraverso parole e frasi di apparente significato lineare, offrivano diversi livelli di lettura ai propri fratelli.
Il terzo poneva a disposizione all'interno della comunità elementi simbolici, onirici, atavici, archetipali su cui lavorare. Tramite una progressione associativa del profondo. Una sorta di estasi filosofica tramite la costruzione del pensiero e il suo radicarsi in immagini, con cui sprofondare lentamente su di un piano profondo e avulso dalle logiche del mondo sensibile.
Per lo gnostico antico niente esisteva tranne il proprio spazio intimo, o laboratorio interiore per colui che maggiormente è abituato a tale termine. In tale ottica deve quindi essere trattata la comunicazione gnostica, ossia una serie di miti cosmici, con cui affrescare le membrane psichiche dello gnostico, in modo tale che essi siano il giusto alambicco ove l'anima e lo spirito possano trovare giusta e degna unzione celeste.