sabato 24 gennaio 2009

BENEDUCE, UN AFASCISTA ALLA CORTE DI MUSSOLINI.

Beneduce. Il finanziere di Mussolini
Mondadori, pagg. 329
€ 20,00

In occasione della pubblicazione della biografia di Alberto Beneduce a cura di Mimmo Franzinelli e Marco Magnani , ne ritaglia un ritratto il quotidiano "La Stampa" con un'articolo a firma Giuseppe Berta.
Beneduce, un afascista alla corte di Mussolini. Ex socialista e massone guidò la politica economica del fascismo


La notizia della morte di Alberto Beneduce nell’aprile 1944 venne oscurata dagli eventi della guerra e non ebbe la risonanza che il suo ruolo pubblico avrebbe sicuramente garantito in altre circostanze. Fino a pochi anni prima, Beneduce era stato considerato l’uomo più potente dell’economia italiana, poiché era giunto ad assommare poteri di decisione e di intervento vastissimi ed eccezionali con la grande crisi degli anni trenta, nel momento in cui - assoggettando al controllo pubblico le grandi banche a rischio di fallimento come la Banca Commerciale Italiana e il Credito Italiano - aveva dato forma a un piano di salvataggio straordinario dell’economia del nostro Paese. Da lì aveva tratto origine la creatura più famosa di Beneduce, l’Iri, ma il suo potere era esteso ad altri fondamentali enti finanziari come la Bastogi - di cui, si disse, era «arbitro e signore» - per arrivare fino alla Banca d’Italia.

Nel periodo centrale del regime fascista, nessuno poteva eguagliare Beneduce per l’influenza che esercitava sul sistema economico e nessuno aveva probabilmente una visione altrettanto nitida e determinata della sua circa il nuovo assetto delle relazioni fra stato, banche e imprese. Ciò derivava dal riconoscimento diretto che gli aveva offerto Mussolini. Eppure, Beneduce non era fascista. La sua storia lo legava invece direttamente al primo antifascismo, mentre in seguito aveva svolto la sua funzione di grand commis con un’impronta che sottolineava il suo «afascismo», come tecnico dotato di un’autonomia di comportamento tale da sottrarlo al cerimoniale del regime, verso cui professava all’esterno l’ossequio formale che si deve al potere costituito.

È una biografia complessa, cruciale per la ricostruzione di alcuni passaggi di fondo della storia del nostro Paese, quella che pubblicano Mimmo Franzinelli e Marco Magnani. Storico il primo, noto in particolare per i suoi studi sull’apparato poliziesco e repressivo del fascismo, ed economista della Banca d’Italia l’altro. Il pregio migliore del libro è, insieme alla ricchezza della documentazione, l’aver annodato la prospettiva politica con quella economica, seguendo un asse di interpretazione che permette di cogliere in pieno il significato della lunga vicenda istituzionale di Beneduce.

Nato a Caserta nel 1877 da una famiglia molto umile, la sua intelligenza l’aveva condotto agli studi di matematica e, dopo la laurea, a una carriera di funzionario ministeriale a Roma. Due scelte soprattutto ne avevano condizionato il percorso: l’adesione a una massoneria di stampo risorgimentale, ferma nel suo anticlericalismo, e l’orientamento socialista, anche se il socialismo di Beneduce divenne ben presto un tentativo di conciliazione degli interessi economici al servizio dello sviluppo economico nazionale. Fu l’incontro con Francesco Saverio Nitti a cambiare la vita di Beneduce: Nitti puntava alla costituzione di un nucleo qualificato ed efficiente di burocrazia pubblica capace di imprimere un impulso all’economia attraverso l’intervento dello Stato. Beneduce divenne per un po’ di tempo il suo segretario, occupandosi del progetto più importante, la creazione di un grande ente finanziario pubblico per le assicurazioni sociali. 

Il transito dai ranghi dell’amministrazione ai banchi del parlamento fu quasi naturale nella temperie politica della prima guerra mondiale e del dopoguerra. Il riformista Beneduce si trovò così a essere ministro del Lavoro in uno degli ultimi governi antecedenti al fascismo, quello di Ivanoe Bonomi (1921). La sua ascesa pubblica venne troncata dalla marcia su Roma e, infine, dal delitto Matteotti, che indusse Beneduce al ritiro dalla politica. La sua parabola rischiava di concludersi nell’oscurità, se la stima di Mussolini per la sua perizia amministrativa non l’avesse tratto dall’isolamento. Per Beneduce ebbe inizio una nuova vita, come supertecnico nelle questioni monetarie e internazionali (di spicco fu la sua parte nella Banca dei regolamenti internazionali), che lo portò ad assumere la veste di regista delle operazioni per assicurare all’Italia un riparo dalla grande crisi degli anni trenta. 

La densa biografia di Franzinelli e Magnani non riesce, naturalmente, a dissipare le zone d’ombra di una personalità che tenne in gran cura il proprio riserbo, come si conviene a chi è depositario di un enorme potere discrezionale. Mette però in luce le molte anomalìe di una figura che era, sì, potentissima, ma pur sempre spiata e vista con sospetto dal regime, che talora non rifuggiva dal farla oggetto di velate minacce. Perché Beneduce, democratico e radicale dalla gioventù fino alla maturità, rigoroso anticlericale, si prestò a servire Mussolini e il fascismo? La risposta sta in un’altra caratteristica del suo credo, la fiducia nel primato dello Stato e delle istituzioni. Il fondatore dell’Iri era convinto che all’economia italiana fosse necessaria una disciplina dall’alto e che le leve di una classe dirigente in grado di guidare le forze dello sviluppo dovessero essere forgiate dalla mano pubblica. Non a caso alla sua scuola si formò un uomo come Enrico Cuccia (genero di Beneduce per averne sposato la figlia Idea Nova), mentre il giovanissimo Guido Carli ottenne il primo incarico di lavoro presso l’Iri nel 1938. 

Fonte:http://www.lastampa.it