domenica 21 settembre 2008

IL MESSAGGIO ALCHEMICO-ESOTERICO NEI "TRE FILOSOFI" DI GIORGIONE


IL MESSAGGIO ALCHEMICO-ESOTERICO NEI "TRE FILOSOFI" DI GIORGIONE
di Carlo Di Stanislao

Per Platone la filosofia è conoscenza di oggetti che sfuggono ai sensi, per Kant "conoscenza razionale per concetti puri".

In questa prospettiva sembrerebbe senza senso consegnare riflessioni filosofiche a un'immagine.

Ma il senso di tale ricerca può essere diverso alla luce della interpretazione simbolica o ermetico-allegorica.

Si può infatti leggere la storia dell'arte, considerando l'ipotesi che alcuni autori abbiano lavorato seguendo un iter creativo fondato sull'applicazione di un Codice; vale a dire ideazione di un testo per trasformare le parole in altre parole, conversione delle parole in immagini e inserimento di queste in un'opera completa.

I tre Filosofi di Giorgione sembra rispondendere più di altre opere a questa regola.

Massimo esponente della cosiddetta “pittura tonale veneta” e maestro fra i più considerevole del Rinascimento, Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione, ci lascia pochi, incredibili quadri (tra le opere giovanili a lui attribuite abbiamo: l’Adorazione dei pastori della National Gallery di Washington, l’Adorazione dei Magi, la Madonna col Bambino, la Giuditta, la Laura, la Prova del fuoco, mentre le opere “adulte” si contano sulle dita di una sola mano: I tre filosofi, La pala di Catelfranco, La Venere, La Tempesta, Il ritratto virile).

Eppure, nei soli 37 anni delle sua breve vita (nacque probabilmente nel 1477 e morì certamente nel 1510), egli ha saputo modificare e nobilitare l’arte italiana di Antonello e Leonardo, creando uno stile in cui il segno di contorno scompare, tutto diventa più morbido e permeato di luce; una luce che sembra scaturire dalle cose stesse, mutevole, instabile, trepidante come il sentimento umano.

“ I Tre Filosofi” è un olio su tela (oggi conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna), che Giorgione dipinse nel 1505, su commissione di tre giovani nobili veneziani (Taddeo Contarini, Gerolamo Marcello e Gabriele Vendramin), interessati all’esoterismo e all’alchimia.

Numerose e varie le interpretazioni sui simboli nascosti nel quadro, a partire dal 1525, ad opera dello storico Marcantonio Michiel, poi attraverso il ‘700 e l’800, con letture le più disparate: dai Magi in attesa della cometa (l’umano che attende un segno dal divino), al Marco Aurelio (massimo esponente della cultura latina), insieme ad altri due filosofi, rappresentanti l’aristotelismo averroistico (l’uomo col turbante) e la “scienza nuova”, simboleggiata dal giovane seduto.

Va qui ricordato che nell’epoca in cui Giorgione dipense il quadro, vi fu una persecuzione ferocissima della chiesa nei confronti dell’esoterismo e dell’alchimia.

E non fu solo la Chiesa a farlo. Valga per tutti la proibizione promulgata in Francia da Francesco I , nel 1537, che porto alla distruzione di moltissime opere alchemiche ed ermetiche.

E’ naturale, quindi, che la simbolizzazione ermetica doveva essere prudente e particolarmente occulta.

Secondo il raffinato studioso Lensi Orlandi la figura chiave (e chiarificatrice), è quella anziana e barbuta, lievemente più avanzata rispetto alle altre e che reca in mano un libro antico e perduto: “Le Dodici Chiavi della Filosofia”, attribuito al benedettino Frére Basile Valentin, nel quale sarebbero stati spiegati i misteri dei due giudizi ciclici dell’umanità, il primo realizzato con l’Acqua del Diluvio, il secondo col Fuoco preannunziato dal Battista.

Ancora, la pergamena che il vecchio ha in mano, sembra contenere la descrizione di una eclissi: congiunzione mistica dell’anima (Luna) con Dio (Sole), che lascia nell’oscurità il corpo, cioè la Terra, mentre un esame condotto ai raggi X ha rivelato che, in origine, il vecchio in testa aveva una corona a forma di raggi solari, altro chiaro riferimento al “fuoco alchemico della prova e della trasformazione”.

Continuando la nostra analisi, notiamo che L’uomo col turbante, al centro, ha un lungo vestito rosso e grigio.

Sul bordo di questo, proprio sopra il piede destro, si legge una scritta sul ricamo: ALCH.

Se vi fosse qualche dubbio sulle intenzioni di Giorgione, credo che questo particolare li abbia fugati definitivamente.

Nel Rinascimento era comunemente accettata una tripartizione della vita del Saggio in attiva, contemplativa, voluttuosa.

Dante Alighieri ammetteva soltanto una vita attiva e una contemplativa, ma quasi tre secoli erano passati dalla sua morte e la filosofia del Rinascimento era ormai pregna di Platone, Macrobio e Plutarco.

Ficino, in una lettera a Lorenzo de’ Medici, poteva scrivere: "...Non esistono ragionevoli dubbi che vi sono tre tipi di vita: contemplativa, attiva, voluttuosa...La vita attiva ha il suo culmine nell’impegno nelle cose del mondo, la vita contemplativa nella teologia, la vita voluttuosa occupa il mezzo e riguarda l’amore”.

I tre filosofi possono interpretare, simbolicamente, questi ruoli.

Posto che l’ipotesi sia corretta, identificheremmo il vecchio come rappresentazione della teologia (contemplativa), il più giovane come vita attiva e il filosofo col turbante, in mezzo, come l’alchimia, cioè la vita voluttuosa, l’Amore (il bisogno d’amore o l’amore negato è il tema centrale di uno dei capolavori di Giorgione: La tempesta).

In base a questa interpretazione l’opera complessiva conterrebbe una metafora esoterica sull’arte come amore e come alchimia: ciascuno nasconde dentro di sé la propria Pietra Occulta e ogni Artista, nel segreto del proprio laboratorio alchemico, lavora, distilla, rettifica, separa il pesante dal sottile per conquistarla.

Molti sono gli strumenti che ci aiutano a percorrere la via, ma il vecchio saggio ha nella mano sinistra un compasso, un utensile i cui bracci possono essere divaricati in infiniti angoli, da 0 a 360, ad abbracciare il punto e il cerchio, simbolo della padronanza assoluta dei propri mezzi, della propria personalità, della propria mente.

Le figure sono tre poiché tre sono i volti dell’ego alchemico, molto diverso dall’ego inteso in senso psicologico.

L’ego, esotericamente inteso, è la scintilla della divinità, della Mens divina che si è immersa nella materia.

Finché ha a che fare con il mondo materiale, l’ego deve cercare la strada per guadagnare il divino.

La materia, l’uomo, è dotato, secondo le dottrine esoteriche, di tre corpi: fisico, eterico, (sede della memoria), astrale (sede delle emozioni, dei desideri, ecc...). L’ego, non a caso, è raffigurato nella letteratura ermetica come un cigno o un pellicano dotato stranamente di tre ali e non a caso i filosofi di Giorgione sono tre.

Gli studiosi della tripartizione dell’ego (e della relativa “alchimia spirituale”), affermano che, equilibrando materia, emozione e spirito, l’uomo può raggiungere uno “stato inalterabile”, uno stato di “divino equilibrio” a cui né i libri né la volontà possono portare, ma che si raggiunge con un "impeto dello spirito" che partendo dal fisico, passando all’etereo possa giungere all’astrale.

Ma vi è anche un’altra, avvincente e recente interpretazione che lega le tre figure agli errori dell’uomo e dell’umanità.

Una conoscenza non è lo specchio delle cose o del mondo esterno.

Tutte le percezioni sono nel contempo traduzioni e ricostruzioni cerebrali a partire da stimoli o segni captati, codificati attraverso i sensi ed elaborati dalla ragione.

All'errore della percezione si aggiunge l'errore intellettuale.

Possiamo interpretare "I tre filosofi " dipinti da Giorgione per dimostrare l'esistenza dei paradigmi intellettuali che modificano la qualità della percezione e orientano i mezzi espressivi del linguaggio, del pensiero e dell'arte verso una particolare traduzione/ricostruzione di ciò che appare "vero" all'interno della caverna, metafora del cranio in cui si dibattono, come ombre e fantasmi, le proiezioni delle nostre paure e dei nostri desideri e le perturbazioni mentali provocate dalle nostre emozioni.

I tre filosofi sono diposti da Giorgione fuori dalla caverna, poiché l'atto di conoscere la verità richiede un preliminare distacco razionale da ciò che può influire la visione della natura, la percezione della realtà e la contemplazione di ciò che è giusto in rapporto al mondo esterno e alle leggi universali.

Tuttavia permane la possibilità dell'errore indotto dalla mente nel processo di ricostruzione della Percezione (il primo filosofo ha in mano una squadra e un compasso), oppure provocato dalla teoria elaborata dall'Intelletto nel concepire la visione d'insieme, affinché ogni contradizzione sia risolta dalla razionalità e dalla logica (il filosofo arabo).

Se si osserva l'opera di Giorgione da questo punto di vista, si intuisce l'intento ironico dell'artista nel dipingere il filosofo ebreo con un trattato di astrologia sotto braccio.

La Ragione che si fonda su assiomi dogmatici, religiosi o scientifici, ha lo stesso identico valore della Ragione che origina dall'osservazione dei cicli di lunazione.

Non esiste una unica Ragione, ma una unica Realtà e tale realtà emerge dalla dialettica creativa e cognitiva che si instaura tra il Sole (la cultura del proprio tempo) e Luna (l'anima creativa) in grado di dialogare sia con il sistema della percezione (Venere Urania) che con il sistema della elaborazione /costruzione delle parole in segni, analogie, allegorie, metafore e simboli (Hermes) che per loro natura rapprentano un sistema aperto, fluido e democratico.

Per gli artisti del Rinascimento la verità è negli occhi di chi osserva la realtà con distacco e filosofia, ma, per essere compresa pienamente, deve essere decodificata attraverso l'analisi dei segni , delle immagini e dei simboli che costituiscono il linguaggio ermetico (translogico) da cui emerge, inaspettata, la sapienza istintiva dell'anima.


Letture consigliate
AAVV: Bellini, Giorgione, Tiziano. L'invenzione della pittura veneziana. 1500-1530. Catalogo della mostra (Vienna, 17 ottobre 2006-7 gennaio 2007), Ed. Skira, Roma, 2007.
Brandt R.: Filosofia nella pittura. Da Giorgione a Manritte, ed. Bruno Mondatori, Milano, 2003.
Hirdt W.: I tre filosofi di Giorgione, ed. Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2004.
Nepi Scirè G., Rossi S.: Giorgione. Le meraviglie dell'arte, Ed. Skira, Roma, 2004.
Prandelli G., Calderoni A.: Il linguaggio occulto della pittura. Dall'antica Grecia a Picasso un codice noto solo agli iniziati, Ed. L’Età dell’Acquario, Milano, 2007.
Sgarbi V., Lucco M.: Natura e Maniera tra Tiziano e Caravaggio. Le ceneri violette di Giorgione, ed. Skira, Roma, 2004.

Fonte: http://www.ilcapoluogo.it/content.php?article.9441