giovedì 3 luglio 2008

Una lettera al direttore del Corriere della Sera


Il 18 giugno il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia A.L.A.M. indirizzava al direttore del Corriere della Sera la lettera che di seguito riportiamo.

Chi volesse potrà fare riferimento ai “Post” pubblicati il 9 l’11 e il 15 giugno scorso che danno una ampia visione a uno degli avvenimenti a cui fa riferimento la lettera.

Inoltre il 4 luglio 2008 il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia ha indetto una conferenza stampa nella quale assieme alla Gran Maestranza risponderà senza eludere le questioni di più scottante attualità, come quella relativa ai presunti rapporti tra mafia e massoneria che verranno poste dai giornalisti.

18 Giugno 2008 E.V.- al Direttore del “CORRIERE DELLA SERA” Dott. Paolo MIELI via Solferino 28.- 20121 MILANO

Gent.mo Direttore,

sono il Sovrano Gran Commendatore Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. Obbedienza di Piazza del Gesù Palazzo Palazzo Vitelleschi, comunione massonica nella quale milito da quasi trentacinque anni.

Da lungo tempo sono pure un fedele lettore del “Corriere della Sera”, quotidiano che segna l’inizio e la fine della mia giornata: al mattino lo sfoglio, gustandomi una tazzina di caffè, a sera lo spulcio, soffermandomi sui pezzi più interessanti.

Oggi però, 18 Giugno, ho infranto l’inveterata abitudine tanto che, quando il sole era ancora basso all’orizzonte, avevo già letto e riletto l’articolo “Mafia massoni, patto anti processi”, a firma di Giovanni Bianconi.

Più tardi, anche per l’affezione che nutro verso il “Corriere”, ho deciso di esporle alcune considerazioni, nella speranza che voglia pubblicarle.

Il titolo del pezzo, presente in prima pagina e poi ripreso ampiamente all’interno, evidenzia un rapporto forte e strutturato fra mafia e massoneria, accreditando nell’opinione pubblica quanto questa ultima tenda a colludere con la malavita.

In realtà, procedendo nella lettura, si evince che fra gli inquisiti di quest’ultima inchiesta vi sono solo due personaggi iscritti ad una fantomatica “Serenissima Gran Loggia Unita d’Italia”, denominazione a me ignota.

L’episodio riguarda dunque una sigla fra le tante che sorgono e tramontano nello spazio di un mattino, a causa della mancanza di una legge sulle associazioni.

Ciò però è bastato a porre l’intera massoneria italiana sul banco degli imputati e ad accreditala ancora una volta come una presenza dai tratti perlomeno inquietanti.

Di conseguenza la Comunione alla quale appartengo, pur essendo del tutto estranea alla vicenda, è pesantemente coinvolta, giacché da noi, quando un massone o un presunto tale è chiamato in causa, è pronunciata una condanna generalizzata contro tutto ciò che odora di squadra e di compasso.

Questo costume mediatico è ormai inveterato ed ha un nome: discriminazione, giacché nessun giornale si sognerebbe, giustamente peraltro, di chiamare in causa la Polizia di Stato o la Compagnia del Gesù per la presenza in un’inchiesta di un sacerdote o di un agente.

Ormai sono abituato ad un simile trattamento e non mi scompongo più, ciò che invece mi ha colpito è il box, apparso a pagina 18 del “Corriere”, uno specchietto che accredita l’idea di uno storico rapporto fra malaffare e libera muratoria.

L’episodio più recente, presente nell’elenco delle inchieste, riguarda la gestione di “Porto 2000” a Livorno.

Nessuno degli iscritti alla Gran Loggia d’Italia degli A.L.A.M. risulta coinvolto, come ha sottolineato anche il “Corriere di Livorno” che, in barba al segreto istruttorio e alla legge sulla privacy, ha pubblicato le nostre liste.

La cosa, comunque, sembra non aver alcun rilievo perché, come massoni siamo tutti sospettati.

E’ poi indicata l’indagine del p.m. di Potenza, Herry Woodcock, su “presunti rapporti fra massoneria e politica”.

In tal caso si parla di una loggia segreta di San Marino e di altri intrecci, senza far nomi, né fornire coordinate precise.

E’ passato più di un anno da allora, tutto tace, nella piccola Repubblica non avevamo e non abbiamo presenze, siamo estranei alla vicenda, ma essendo massoni il sospetto grava pure su di noi.

Dulcis in fundo si cita il caso P2, una Loggia coperta, soppressa dalla Legge 17/82.

Fu un evento di rilevanza mondiale che ossidò il look di tutta la massoneria italiana e pertanto anche il nostro, anche se con la P2 non avevamo niente da spartire.

Nel box vi è però un’omissione: non si cita l’inchiesta Cordova.

L’azione giudiziaria del Procuratore di Palmi fu un tormentone nazionale, vi furono perquisizioni, sequestri di documenti, esternazioni esplosive, mentre stampa e televisione attribuivano alla massoneria ogni sorta di crimine e alcuni quotidiani pubblicavano a getto continuo elenchi di fratelli, rinnovellando l’antico genere delle liste di proscrizione.

La vicenda si trascinò per otto anni, poi il 3 luglio 2000 la dottoressa Augusta Iannini, giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, accolse la richiesta di archiviazione avanzata dai pubblici ministeri Lina Cusano e Agnello Rossi.

Nel dispositivo di sentenza si dichiarava fra l’altro: “Non può […]essere taciuto che in questo procedimento penale l’indagine conoscitiva ha vissuto momenti d’inusuale ampiezza […] che le iniziali dichiarazioni del notaio Pietro Marrapodi, peraltro anticipate dal settimanale “Avvenimenti”, certamente non consentivano, quanto meno a livello nazionale.

Da questi racconti a contenuto generalissimo ma conformi all’immaginario collettivo sul tema “gruppi di potere”, il p. m. ha tratto lo spunto per acquisire una massa enorme di dati. […] In questo procedimento, infatti, l’articolo 330 c.p.p. è stato interpretato come potere del p.m. e della polizia giudiziaria di acquisire notizie e non, come si dovrebbe, notizie di reato”.

Insomma, dopo essere stata passata al setaccio per anni, in ogni angolo del Paese, la massoneria non presentava zone d’ombra.

Questo però il suo giornale lo tace.

Non vorrei perciò, illustre Direttore, che anche il “Corriere della Sera”, fosse vittima di quella sindrome che Piattelli Palmerini, definì “Effetto Otello”: la capacità di teorie manifestamente infondate, o comunque non provate, di accreditarsiquali verità, in virtù di un tam tam mediatico che risponde ad un immaginario collettivo, le cui radici affondano in humus infarcito di pregiudizi e d’intolleranza.

Con la speranza di sbagliarmi, la saluto cordialmente

Prof. Luigi PRUNETI