giovedì 10 luglio 2008

Carducci 2008. Poesie.


Nel sistema culturale vigente si tende ad obliare la figura di un poeta, che non presenta i requisiti previsti dagli stucchevoli stereotipi di moda attualmente.

Nelle scuole si ricorda agli studenti che fu un anticlericale, figlio della cultura risorgimentale antipapalina, con un carattere difficile e sanguigno, frutto delle esperienze giovanili di esilio nella terra maledetta di Maremma.

En passant, con leggerezza si ricorda che fu insignito di un premio Nobel per la letteratura, ma tale fatto passa come semplice citazione senza approfondire i veri motivi di un tale riconoscimento quando, invece, il premio gli fu assegnato perché egli era un Uomo simbolo di una cultura sicuramente di levatura europea, ma oserei dire universale, pur essendo inserito nella parzialità della situazione politico-culturale italiana dei primi del novecento.

Non volendo però, qui, esaminare i motivi sociologici che stanno alla base di un tale stato di cose mi preme ricordare, cosa omessa sistematicamente dalla cultura ufficiale, che Carducci fu un Massone che praticò la vita attiva delle Logge, ma lo fu anche nel più profondo del suo essere, cioè era fedele ai requisiti fondamentali obbligatori per l’appartenenza alla Libera Muratoria, essere Uomo libero e di buoni costumi e non essere nemmeno uno stupido ateo! Era si un anticlericale, ma non un ateo.

Non possiamo penetrare la sua poesia se non si parte dall’assunto che i suoi versi hanno carattere di propagazione di principi sì d’impegno civile e acculturazione delle masse, e ciò non come viene inteso nel comune senso della politica, ma nella più stretta osservanza massonica e cioè per il Bene dell’Umanità e alla Gloria del Grande Architetto dell’Universo.

Tutta la sua produzione letteraria, se esaminata alla luce di questi principi, è rivelatrice specialmente agli occhi dei fratelli, di una profonda cultura massonica, non solo nella trasposizione del rituale di loggia nelle sue strofe, ma nella sua essenza più vera quella di ricerca della via per la risalita alla verità originale, che noi indichiamo come la costruzione del tempio interiore,costruzione che, come sanno perfettamente i Fratelli e il Carducci stesso, mai sarà perfettamente compiuta!

Il Carducci nelle sue strofe ha parlato per simboli al cuore di chi sa leggere, non con la razionalità della mente, ma con l’intelletto del cuore. Egli è nel solco della Scuola italica dei misteri orfici, di Pitagora, di Platone, del rito di Cibele, di San Benedetto, della scuola platonica di Chartre, della tradizione Druidica, dei Trovatori, del Dolce Stilnovo, di Gioacchino da Fiore, degli Illuminati di Baviera, di Sant’Agostino e Galileo, è insomma un Uomo della Tradizione, che da indicazioni essenziali, per chi voglia percorre la Via attiva dell’esoterismo.

Su questo piano fu un accanito contestatore della via dogmatica, che imponeva una acquiescenza passiva ed acritica dei fedeli al potere religioso e temporale della chiesa Romana cattolica.

Pur in presenza di questa azione di oblio da parte della cultura ufficiale, per colmo di ironia le poesie che vengono più lette nelle scuole sono Davanti San Guido e San Martino, che all’interno della produzione carducciana sono anche le più esplicite poesie massoniche piene di allegorie, la prima, al rituale massonico della Loggia e, la seconda, alla ritualità Alchemica.

Esaminando nel dettaglio le due poesie ho evidenziato, ciò che a me pare una dimostrazione del tema trattato nella premessa di cui sopra.


DAVANTI SAN GUIDO


I cipressi che a Bólgheri alti e schietti (1)
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.

Mi riconobbero, e - Ben torni omai -
Bisbigliaron vèr me co 'l capo chino - (2)
Perché non scendi? perché non ristai? (3)
Fresca è la sera e a te noto il cammino.

Oh sièditi a le nostre ombre odorate (4)
Ove soffia dal mare il maestrale
:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh, non facean già male!

Nidi portiamo ancor di rusignoli: ( 5)
Deh perché fuggi rapido così
Le passere la sera intreccian voli
A noi d'intorno ancora. Oh resta qui!

Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d'un tempo migliore, (6)
Oh di che cuor con voi mi resterei -
Guardando io rispondeva - oh di che cuore! (7)

Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
Or non è più quel tempo e quell'età.
Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità. (8)

E so legger di greco e di latino, (9)
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù
;
Non son più, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro più.

E massime a le piante. - Un mormorio
Pe' dubitanti vertici ondeggiò, (10)
E il dì cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.

Intesi allora che i cipressi e il sole (11)
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe' parole:
Ben lo sappiamo: un pover uomo tu se'. (12)


Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse (13)
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.

A le querce ed a noi qui puoi contare (14)
L'umana tua tristezza e il vostro duol;
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!


E come questo occaso è pien di voli,
Com'è allegro de' passeri il garrire! (15)
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire
;

I rei fantasmi che da' fondi neri (16)
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.


Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l'ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l'ardente pian,

Ti canteremo noi cipressi i cori (17)
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co 'l lor bianco velo
;

E Pan l'eterno che su l'erme alture
A quell'ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure (18)
Ne la diva armonia sommergerà
.

Ed io - Lontano, oltre Appennin, m'aspetta
La Tittì - rispondea -; lasciatem'ire.
È la Tittì come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.

E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! (19)

Che vuoi che diciam dunque al cimitero (20)
Dove la nonna tua sepolta sta?
-
E fuggìano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.

Di cima al poggio allor, dal cimitero, (21)
Giù de' cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder
nonna Lucia:

La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch'è sì sciocca (22)
Nel manzonismo de gli stenterelli,

Canora discendea, co 'l mesto accento (23)
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.


O nonna, o nonna! deh com'era bella
Quand'ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest'uom savio la novella (24)
Di lei che cerca il suo perduto amor
!

Sette paia di scarpe ho consumate (25)
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:

Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.

Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio così.
E quello che cercai mattina e sera (26)
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,


Sotto questi cipressi, ove non spero,
Ove non penso di posarmi più:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.


Ansimando fuggìa la vaporiera
Mentr'io così piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera (27)
Annitrendo correa lieta al rumore
.

Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo (28)
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
E a brucar serio e lento seguitò

(1) Con tale introduzione si ha subito la descrizione esenziale e simbolica del tempio massonico.Per chi conosce la zona è facile da capire che lui viaggiando in treno verso Roma entra nel tempio provenendo da Nord, poi ponendosi davanti a San Guido deve fare una girata a squadra, sinistro centrica, per porsi con le spalle ad Occidente e la faccia ad Oriente verso la collina di Bolgheri. Il sorvegliante esterno gli balza incontro lo guarda e poi riconosciutolo lo invita ad entrare.Quindi il Carducci componendo la sua lirica ha fatto il suo ingresso rituale nel tempio avendo a nord la fila dei cipressi di sinistra o colonna degli apprendisti e a sud la fila destra dei cipressi o colonna dei compagni. E’ interessante notare come Lui ritenga la Loggia già assieduta ed il suo ingresso avviene come quello di un visitatore, anche se poi nelle strofe successive declamerà il rituale di apertura e quindi si deve dedurre che il suo ingresso avviene prima della ritualità di apertura del libro sacro e dell’accensione delle luci rituali quindi come un visitatore di riguardo che poi dovrà andare ad Oriente. C’è da domandarsi anche perché il Carducci prenda a spunto la località di Bolgheri per poter descrivere la Loggia e i suoi rituali.Vi sono, infatti, in Toscana località altrettanto o più pregnanti dal punto di vista simbolico della tradizione che la Massoneria incarna nel mondo occidentale.Sarebbe troppo semplice rispondere che visse in quel luogo vi è stato bambino, anche perché Lui abitava a 6 Km. di distanza cioè a Castagneto e nell’ottocento erano molti chilometri anche per un adulto, figurasi per un bambino.Secondo il mio modo di vedere in primo luogo Bolgheri è in Maremma, la terra di frontiera per eccellenza in cui si poteva iniziare la “renovatio” immersi nella natura ancora poco antropizzata e maledetta, insomma in quello stato di mescolanza grezza che in Alchimia si definisce opera al nero.Il secondo perchè Bolgheri fu un castello strappato alla potestà ecclesiastica del convento benedettino di Monteverdi e portato a stato laicale, tanto da essere poi dimora sicura dell’antipapa Pietro da Corvaja nel 1330 e sino a divenire signoria della nobile famiglia ghibellina pisana dei Della Gherardesca . torna su

(2) E’ il gesto naturale per bisbigliare la parola di passo al copritore esterno.

(3) E’ l’invito a entrare nella Loggia, dato che lo Loggia è aperta essendo sera in quanto i lavori iniziano a Mezzogiorno e terminano a Mezzanotte e a Lui é noto il rituale specialmente dei passi e dei saluti.

(4) Anticamente nei rituali di apertura era usanza di bruciare un bastoncino di incenso il cui profumo doveva spandersi da occidente ad oriente così come spira il maestrale in toscana. E’ evidente poi la formula che fra le colonne non debbano esistere astio (sassate) o dissapori e la vera pace regni tra i fratelli per perseguire il bene e il progresso dell’umanità.

(5) Il canto degli uccelli e specialmente dei rusignoli (usignoli) è una via sacra e nella tradizione sinonimo di esotericità, quindi portare in se i nidi di coloro che possono esercitare il canto sacro vuol dire essere portatori della Tradizione. Su tale assioma si fonda il potere ininterrotto della Massoneria ad iniziare i fratelli alla via attiva.

(6) Qui si ricorda che i fratelli sono fedeli alla tradizione e possono anche temporaneamente allontanarsi o andare in sonno, ma chi ha ricevuto l’iniziazione resta e rimane per sempre massone.

(7) Si introduce il vero ed unico segreto massonico e cioè l’intelligenza di cuore in antitesi all’intelletto della mente o pura razionalità scientifica vedremo nelle strofe seguenti una più ampia disquisizione sull’argomento.

(8) Ecco la frase che molti profani pronunciano io nella vita quotidiana sono qualcuno, io conto!

(9) Continua la vantazione tipicamente profana con l’elencazione dei meriti e dei successi conseguiti nel mondo profano. In loggia questi meriti profani però non contano niente, anzi aprono la strada alla controiniziazione, pericolo estremo per gli iniziati, e la risposta giungerà durissima nelle successive strofe!

(10) I dubitanti vertici sono le teste dei fratelli, abituate al dubbio e non alla certezza del dogma, che si scambiano le parole di passo nella catena di unione. La catena d’unione determina un evocazione agli stati superiori che si propaga verso occidente, porta della vita, dove il cielo, identificato nella tradizione come il luogo di posizionamento degli stati superiori dell’essere, al tramonto è roseo ed esprime speranza, temperata dalla saggezza, qui raffigurata dal colore verde delle chiome dei cipressi. Il Carducci conosce il simbolismo dei colori perfettamente e ne conosce il metodo di trasmissione nei rituali massonici.Questo passaggio è intercalato con i punti 8-9 e poi 11 che vedremo di seguito.

(11) Arriva la risposta delle Colonne,i cipressi, e del maestro Venerabile, il sole, è durissima!

(12) La risposta durissima nella sostanza è però temperata da una pietà gentile come è d’uso nelle logge: un pover uomo tu se’. Qui la tua fama non conta nulla ne ti accredita a far da maestro.

(13) In questa strofa si vede tutta l’essenza ed il fine della Iniziazione massonica,specialmente di quella di tipo francese rappresentata da rito di Misraim, gli stati superiori dell’essere che fanno percepire e conoscere l’uomo nella sua essenza prigenia sono qui rappresentati dal vento che evidenzia il contrasto tra l’intelligenza razionale della mente contrapposta a quella unica e vera del cuore.Le due intelligenze non sono conciliabili nell’iniziazione l’una esclude l’altra!

(14) In questa strofa si inizia la descrizione del simbolismo degli alberi la querce rappresenta la prima colonna degli apprendisti o della forza la seconda i cipressi rappresenta la stabilita o colonna dei compagni. Questa seconda rappresenta anche la tensione alla salita al cielo o agli stati superiori dell’essere. I romani facevano piantare un cipresso per ogni religione che si volesse praticare a Roma o nell’impero, la tradizione cristiana fa porre questi alberi a segnale dei cimiteri per indicare un luogo sacro in cui gli spiriti tendono all’ascesa e all’eternità, i fratelli templari, se potevano, si facevano inumare in casse di cipresso perché legno imputrescibile e non attaccabile dai tarli che quindi preservava i corpi dalle impurità della terra dando il tempo allo spirito di salire e non rimanere invischiato nell’opera la nero della natura (putredo) che poteva produrre un rallentamento della salita, una fermata agli stati intermedi ( stadi richiamati dall’occultismo o dallo spiritismo e caratteristici della controiniziazione) o addirittura una nuova caduta in un circolo di morte –rinascita (metampsicosi).

(15) I cipressi ricordano al fratello che nella loggia si possono avere anche diverse forme di canto, il garrire dei passeri o i gorgheggiare dei rusignoli, ma la strada da seguire è comunque unica cioè quella della tradizione, che ha per meta gli stati superiori dell’essere e non quelli intermedi rappresentati dai rei fantasmi evocati dalla controiniziazione. E la musica, forma diversa ma nella sostanza, secondo la tradizione cabalistica è la decima Sefirot Malkut, che risulta la via più diretta per raggiungere la meta della verità suprema indicata dai cabalisti come corona divina o prima Sefirot Keter Elion.

(16) E’ un passaggio cruciale, qui in questa rima si sostanzia la formazione culturale ricevuta dal Carducci nei suoi studi agli Scolopi, qui si ha in forma profetica l’avvertimento alla cultura e agli uomini dei rischi che la società correrà nel 900. Il poeta massone avverte che i movimenti nascenti dell’occultismo,del modernismo sfrenato e del ricorso alle pratiche nere della magia porteranno l’uomo a perdersi nel puro razionalismo, o nel mondo falso e artificioso degli stati intermedi dell’essere. I nazionalismi, le due guerre mondiali, la droga, la perdita di valori spirituali e l’esaltazione dei soli valori materiali saranno, infatti, i dati salienti del ‘900. L’economia ed il mercato diveranno gli idoli di una società che si è venuta sviluppando sul falso concetto della sociabilita, togliendo all’uomo la sua centralità all’interno della stessa. L’uomo diverrà così facile preda dei falsi miti, frutti avvelenati della contro-iniziazione. Insomma, quando la sola intelligenza razionale della mente prevarrà scacciando l’intelligenza del cuore, il tempio interiore che è nell’uomo si sgretolerà con tutte le conseguenze del caso ed “al passegger “ potrebbe essergli negato l’accesso alla via della luce .

(17) Nella situazione di rischio paventata nel punto precedente vi è una sola via di salvezza dicono i cipressi: rimani e noi domani a mezzogiorno apriremo i lavori di loggia in grado di apprendista, all’ombra della colonna della forza (querce) .. e formando la catena d’unione (intorno intorno) con il sole allo zenit, e in silenzio riceveremo l’illuminazione massima per trovare la via.

(18) Nel recitare il rituale di apertura dei lavori (cori) ove si usano parole senza tempo e quindi eterne per evocare l’apertura del canale che unisce la terra ed il cielo (stati superiori dell’essere),e si determinerà tra i fratelli quello stato sublime che si ottiene nel praticare l’unità di intenti, motivo delle riunioni di loggia.Questo stato è sintetizzato nell’olmo e dalle ninfe, infatti nella tradizione è sotto l’olmo che gli anziani iniziavano i giovani ai misteri, venivano composti i dissidi e si praticava la giustizia.

(19) Ottenuto lo stadio di calma spirituale voluto dal rituale i dissidi tra mente e cuore, causa degli affanni sopra menzionati si assopiranno nell’armonia dei lavori di loggia.

(20) Da questo punto in poi si abbandona il rituale dell’apprendista e del compagno per passare a quello del maestro e delle ritualità superiori .Con la formula addio cipressi ! addio, dolce mio piano, il poeta ci avverte che dobbiamo passare alla conquista della verticalità e del volume, stati tipici dei maestri e dei riti, al fine di completare la nostra conoscenza personale dell’universo. E’ semplice qui intravedere la regola che se non si è giunti al grado di maestro non possiamo accedere ai riti. Il fratello deve lasciare il solido appoggio del piano per ascendere, in verticale, ai più leggeri stati spirituali deve cioè essere in grado di volare con le ali dello spirito.

(21) S’inizia subito con un passaggio chiave in omaggio alla massoneria di tradizione francese rappresentata in Italia dal rito di Memphis-Misraim di cui Garibaldi, era il gran Jerofante. Se si ricordano le prime strofe dell’inno di guerra garibaldino non possiamo che osservare l’identità dei due passaggi, infatti, l’inno inizia “ si scopron le tombe, si levano i morti, i martiri nostri son tutti risorti ...” il Carducci “che vuoi che diciam dunque al cimitero dove la nonna tua sepolta sta? ..

(22) Abbiamo qui la conquista dell’altezza e la riconferma del punto precedente. Di cima al poggio , .. dal cimitero .. alta solenne vestita di nero ..parvemi riveder nonna Lucia.

(23) La richiamata figura della nonna “per la verde via” e la “favella toscana” ha anche lo scopo di introdurre attraverso il richiamo della tradizione romana, dei Lari e dei Penati, la pretesa che la massoneria moderna nasca in Toscana.Nel punto successivo si indicano anche gli antenati della massoneria moderna richiamati dal poeta.

(24) Il Carducci con questo passaggio e l’accenno al Serventese rende omaggio alla tradizione del dolce stilnovo ed in particolare a Dante in quanto nella trattatistica antica, il "serventese" o "sirventese" (termine ripreso dal provenzale sirventes) non è un genere metrico, ma di contenuto: vengono indicate infatti con questo nome poesie per lo più didattiche o d’occasione, che metricamente di solito prendono lo schema metrico di lunghe canzoni. Il più noto sirventese scritto da un trovatore italiano è forse il Compianto per la morte di Ser Blacatz scritto da Sordello da Goito, sicuramente presente a Dante in Purg. VII. Non importa ricordare quanto tale tradizione sia ripresa dalla Massoneria moderna, ma sicuramente il Carducci resta convinto che in tale forma colturale, nonna o antenata toscana, vi siano i fermenti che poi si renderanno espliciti nei principi della moderna massoneria settecentesca.

(25) In questa strofa si fa riferimento al fatto che nei riti ci rifacciamo alla novella e cioè al quel complesso di storie bibliche che tendono alla ricerca dell’amore perduto. E’ chiaro che l’amore qui inteso deve configurarsi come lo intendono i cabalisti nel Cantico e nello Zoar, o libro dello splendore, e cioè come Agape e non come Eros.

(26) Iniziano le strofe dei numeri che ci danno conto della conoscenza esoterica del Carducci della scala magica pitagorica, ma anche della magia del numero sette anche in riferimento ai quattro pellegrinaggi Campostela, Roma, Gerusalemme e segreto, ai quattro viaggi terra,acqua,aria,fuoco.

(27) E’ il riconoscimento che la saggezza, si può acquisire solo attraverso la pratica e la perfetta conoscenza esoterica del simbolismo massonico attuato nelle logge e nei riti. Il Carducci ricorda ai giovani fratelli che tale saggezza va perseguita con calma e con la pratica del dubbio .

(28) I giovani fratelli identificati come schiere di polledri, che lieti nitriscono e corrono dietro al rumore, qui inteso come le parole d’ordine della Massoneria, si pongono in contrasto, con il loro iperattivismo, con l’aspetto di calma e ponderatezza, come evidenziato al punto precedente.

(29) Siamo all’ammonimento finale il Poeta sostiene che al di fuori della via iniziatica , rappresentata dalla Massoneria , esistono solo dei profani che come asini incuranti di tutto e di tutti continuano solo a guadare nel loro piatto. Oltretutto l’alimento del piatto è simbolico in quanto risulta tanto misero da essere rappresentato da un cardo rosso e turchino, alimento povero, aspro ed acido che allappa il palato di chi lo mangi rendendogli difficile anche pronunciar parola. Anche l’aver dato risalto ai colori del cardo ha un senso in quanto in toscana sono due colori antitetici, male assortiti, infatti, in senso dispregiativo vien detto e se non vuoi sembrare un contadino non accostar mai il rosso con il turchino. In Toscana dell’ottocento il dare del contadino era sinonimo di essere grezzo e poco sensibile, in genere come si attiene il mondo profano nei confronti dei temi trattati dalla Massoneria, che invece opera con i suoi principi per il bene dell’umanità.

Gli argomenti qui evidenziati mi sembrano sufficienti ad indicare che la poesia esaminata sia una lirica eminentemente massonica, mentre se esaminiamo con lo stesso metodo la seconda poesia San Martino, possiamo giungere a sostenere che essa è un allegoria all’Alchimia, pratica segreta per un elite di pochi eletti e quindi di ancor più difficile comprensione per chi non sia addentro ai rudimenti di tale arte.

SAN MARTINO (1)

La nebbia agli irti colli (2)
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar
;

Ma per le vie del borgo (3)
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor de i vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi (4)
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi (5)
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.

(1) La ricorrenza di San Martino di Tuors cade il giorno 11 di novembre che a sua volta è l’undicesimo mese dell’anno. Si ricorda in questo giorno il gesto di un cavaliere, della regione di Champagne, che dona meta del suo mantello al povero. Per tradizione, in questo giorno, si fa iniziare l’annata agraria quando i contadini eseguono le stime di consegna e riconsegna delle terre e per convenzione inizia il ciclo del grano. Vi è da domadarsi perché il Carducci abbia sentito la necessità di intitolare una poesia a un Santo e perché proprio a questo; il borgo a cui si riferisce il poeta è Castagneto oppure Populonia? Secondo il mio giudizio la data è assai simbolica se la osserviamo dal punto di vista esoterico in quanto Novembre, periodo centrale dell’autunno, è considerato il mese della putredo o opera la nero, che è la prima fase dell’opera alchemica. Il giorno 11 è l’inizio del ciclo che contrappone l’interamento-nascita a morte–rinascita nei misteri, che lo fanno coincidere con l’inizio del ciclo corrispondente alla semina del grano, grano che poi morirà, per poi rinascere, con il suo colore d’oro al solstizio d’estate per la fine del ciclo. E’ interessante notare come tale ciclo inizi e finisca nel semestre del buio, infatti la germinazione e la morte del grano cadono nel semestre del buio, mentre la vegetazione, la fruttificazione e la maturazione avvengano nel semestre della luce. Sono anche del parere che il borgo sia identificabile con Castagneto,vuoi per la conoscenza diretta dei luoghi e delle abitudini, ma anche per la vicinanza e la simiglianza della disposizione ai punti cardinali, a Bolgheri, luogo simbolo della sua appartenenza massonica.Castagneto, inoltre, è posto sulla antichissima via “del legno”, infatti sta a metà strada tra la via del sale, a nord, che partendo dall’area Cecina Bibbona sale sino a Volterra e da li verso la risalita dell’Arno sino agli insediamenti pre-appenninici di Fiesole ,Camars. A sud invece è posta la via del ferro che partendo dall’area di Populonia sale attraverso la Val di Cornia sale sino alle metallifere a Montieri, Chiusdino, San Galgano, Siena e poi Arezzo. La via del legno così detta perché si snodava all’interno del mantello forestale originario della Toscana,oggi rimasto solo nell’area del Berignone sito tra il Pian della Speranza, Pomarance ed il mare dinanzi a Castagneto e Bolgheri.Gli abitanti di Castagneto erano famosi per far parte della Gilda Pisana dei Carbonai o Carbonari anche se nella sezione dei tagliatori che era contrapposta a quella dei cuocitori. Il loro potere si estese sulla Corsica e sulla Sardegna oltre che nei boschi dell’attuale Maremma. Quindi il loro lavoro era troppo evocativo per non essere notato dal Carducci che sicuramente nelle veglie della sera aveva sentito le dispute tra le due fazioni che aprivano però finestre cognitive su quel mondo, tanto misterioso, le cui regole venivano tramandate da bocca ad orecchio da padre in figlio o tra compagno e apprendista. La Carboneria pagò il tributo di sangue più alto nel Risorgimento italiano in quanto fu l’associazione più potente ed estesa operante in quel periodo storico. Il sito di Populonia, invece, ha sì alcune caratteristiche evocative del ciclo dei misteri, essendo la partenza della via del ferro e sede della città dei morti più importante dell’area della costa, ma non le ritengo sufficienti per idealizzare il concetto di Alchimia, parola che poi altro non vuol dire che conoscenza segreta ! Ho eseguito tutta questa disquisizione sull’identificazione del borgo descritto nella poesia, perché per Carducci i luoghi, per le tradizioni che vi operano o per la loro posizione geografica, sono elementi fondamentali per il simbolismo da trasmettere al lettore.

(2) La prima strofa indica chiaramente che il Carducci conosce bene la procedura alchemica e dichiara di non voler seguire la via umida perché poco chiara (nebbia),uggiosa (piovigginando) e tempestosa, quindi rischiosa per chi la pratichi, con il mare che urla e spumeggia sotto l’azione del vento.Ci dobbiamo ricordare che siamo in un periodo ove stanno sbocciando movimenti come di quello di Yates e della Blavataski, sotto la spinta delle lezioni dello Stainer e di Svedemborg, e il mare in burrasca è la più stringente rappresentazione dello stato dell’arte nell’ambito massonico e sociale del periodo. Il manifesto di fondazione di tali movimenti è la pubblicazione del libro la rosa alchemica a cui tutti i moderni movimenti del New Age fanno riferimento. La Massoneria europea tradizionale stigmatizzava tali movimenti tanto che a causa di tale ostracismo la Blavataski dovette spostarsi negli Stati Uniti, dove il suo movimento si tramutò prima in occultismo e poi nel New Age. Il Carducci, massone sì sui generis, ma ortodosso, si adeguò a tale linea e qui da testimonianza della sua ortodossia.

(3) La seconda strofa, infatti inizia con un “ma” proprio per marcare la contrapposizione della via secca, che lui invece vuole perseguire e descriverà nei versi successivi. Le vie del borgo sono all’interno della cerchia dell’abitato, e quindi sono coperte, posizione che si deve adottare per perseguire l’opera alchemica. La seconda indicazione è il ribollir dei tini, poiché nella tradizione uno degli elementi fondamentali di partenza da miscelare a secco nell’atanor è il tartrato di potassio che si rileva dalle grome dei tini, quando in questi hanno bollito le vinacce d’uva. Non a caso in tantissimi casi si pone in evidenza un tralcio di vite quale simbolismo segreto dell’arte ed il vino è indicato in tanti racconti quale elemento fondamentale alla vita dell’uomo.Su tale argomento potremmo scrivere un trattato, ma basterà leggere un trattatello, scritto dal francese Luois Charpentier, intitolato i misteri del vino, per avere una cognizione su questo argomento. Le ultime due strofe sono la chiara descrizione dell’alchimista intento alla preparazione dell’atanor per intraprendere la via della grande opera, in piena armonia con se stesso e completa coscienza dell’atto compiuto.Infatti è precluso ai veri iniziati all’arte intraprendere la via senza aver piena cognizione di ciò che viene intrapreso; potrebbero incorrere nella manifestazione degli stati intermedi dell’essere e cadere nella controinizziazione.

(4) Finalmente l’atanor è acceso e inizia la calcinazione(ceppi accesi o fuoco), ma attenzione il Carducci ricorda ai lettori le seguenti raccomandazioni il prodotto deve essere sempre girato come fa lo spiedo,altrimenti si potrebbero avere effetti non voluti, ma anche il fuoco deve essere particolare in quanto scoppiettante.Su queste parole molti critici si sono arrovellati arrivando a soluzioni le più disparate, ma non esaustive. La più comune racconta che lo spiedo è scoppiettante perché il grasso della carne cadendo sul fuoco scoppia, niente di più falso il grasso colando brucia e fa fumo, non scoppia. Il fatto vero è che come per lo spiedo anche per l’atanor non va bene tutto il fuoco! Vi sono piante speciali da bruciare sia per lo spiedo che per l’atanor e che messe sul fuoco scoppiano. Il Carducci mostra di conoscere bene,come abbiamo visto per davanti San Guido, il messaggio delle piante e quindi il passaggio deve intendersi così per lo spiedo per insaporire la carne si devono bruciare le piante aromatiche alloro,ginepro, rosmarino che messe sul fuoco scoppiano in quanto nei fusti legnosi si annidano borse resinose; per l’atanor, invece, si deve usare il fuoco di biancospino (in maremma, in linguaggio popolare, si usa chiamare il biancospino bombaccino) che scoppia spandendo tizzoni nell’ambiente circostante. Perché proprio il biancospino? Il biancospino era la pianta che prima dell’apparizione in Europa della rosa (pianta proveniente in età tarda dalla Persia) rappresentava la saggezza, o conoscenza segreta, o sofia, o amor, o per Dante Beatrice, o per Petrarca Laura, o per Boccaccio Fiammetta e fu posta come corona di spine sul capo al Cristo nel suo calvario a testimoniare la sua protezione al saper segreto. Quindi il fuoco che alimenta l’atanor deve essere un fuoco speciale, di conoscenza segreta che solo pochi sanno produrre. L’Alchimia è, per certo, una via spirituale iniziatica che può dare grandi frutti o condurre alla perdizione. L’esempio più grande di questa regola sta in Santa Maria Novella a Firenze nella chiesa dei Domenicani. Per chi la visiti basterà osservare che nella parete destra della cappella del transetto a sinistra, negli affreschi a commento della Divina Commedia gli alchimisti vengono scaraventati all’inferno. Poi scendendo verso l’uscita a meta della navata principale sulla parete destra, all’altezza del grande crocifisso ligneo appeso alla capriata centrale vi è l’affresco del Masaccio raffigurante la crocifissione che è la rappresentazione e la esaltazione più evidente dell’Alchimia in un opera d’arte. Come è possibile che nella stessa chiesa si abbiano situazioni così contrapposte se non nella spiegazione che i primi sono solo soffiatori alla ricerca dell’oro materiale che vanno inviati all’inferno, e il secondo è un alchimista che segue la via spirituale iniziatica degna di esaltazione.Le ultime strofe insegnano la pazienza raffigurata dal cacciatore che sta sull’uscio fischiettando a rimirar l’atanor che cosa?

(5) Il cacciatore osserva il manifestarsi dell’opera al rosso (rossastre nubi) nel matraccio altrimenti detto corvo (uccello di colore nero) e capisce di essere solo, solo, come lo può essere un esule in terra straniera, ad osservare l’ormai prossimo manifestarsi della grande opera, lo svelamento dell’oro! La grande opera o grande segreto iniziatico che come al solito si manifesta sempre al tramonto della vita ben spesa per l’arte quando la saggezza supera tutte le altre virtù, ma l’alchimista, ormai come ogni uomo, sta per migrare in un altra dimensione verso occidente, anche se come si dice in Toscana “ rosso di sera bel tempo si spera”

Termino sperando che chi mi ha ascoltato con pazienza, possa trovare in se la forza di formulare le domande giuste, che ami la bellezza per porle al momento giusto e la saggezza di farle ai soggetti giusti. Solo così potranno ricevere le dovute risposte.

Altrimenti, ahimé per loro, le porte non potranno aprirsi.

Fr. Mauro Alderighi