giovedì 15 maggio 2008

Aldo Mola rivela a Voyager il dramma del futuro premio Nobel: Carducci compì in carcere il suo 15° compleanno.




ALDO A. MOLA RIVELA A VOYAGER IL DRAMMA DEL FUTURO "PREMIO NOBEL"




I – Quando Carducci aggredì il padre e venne arrestato.



A "Voyager" la trasmissione televisiva condotta da Roberto Giacobbo, sono state fatte rivelazioni sul "lato oscuro" di Giosue’ Carducci (1835-1907).




Primo italiano premio Nobel per la letteratura, il 26 luglio 1850, alla vigilia del quindicesimo compleanno, il futuro Vate della Terza Italia fu arrestato a Firenze su denuncia del padre, col fratello minore, Dante.




Da un rapporto segreto risulta che i due ragazzi avevano maltrattato il genitore, Michele, "perché contrario alle lor massime repubblicane".




Accusato di aver assalito il padre con un ferro, Giosue’ si mostrò arrogante e venne chiuso in "Camera di forza".



E’ quanto emerge da documenti scoperti da Aldo A. Mola, autore di Giosue Carducci: scrittore, politico, massone (Bompiani), in collaborazione con il saggista Guglielmo Adilardi.



"Voyager" torna anche sulla tragica morte di Dante, appena ventenne, a Santa Maria a Monte (4 novembre 1857): suicidio? incidente in una rissa col padre? Di sicuro, ricorda Mola, non venne eseguita alcuna autopsia e Giosue’ raggiunse la famiglia solo a funerale avvenuto: sei giorni dopo la morte del fratello benché fosse a due passi.



L’autore dell’ Inno a Satana - spiegano Giacobbo e Mola - scoprì da giovane il sottile velo che divide il Bene dal Male, il dovere dal disordine.




Da quel momento Carducci visse sdoppiato.




Ebbe due personalità, il "professore" e il ribelle, l’uomo delle istituzioni e l’ esoterico e massone.




Per scoprire il vero Carducci "Voyager" ha visitato i luoghi della sua formazione: la casa natale a Valdicastello (Pietrasanta), Bolgheri, Castagneto, Santa Maria a Monte...



La documentazione delle tragedie giovanili aiutano a capire l’opera del Poeta in tutta la sua grandezza.



II – Carducci in carcere.
"Nel luglio 1850 - osserva Mola – Giosue’ Carducci aveva appena terminato il primo anno di studi nel collegio dei padri scolopi a San Giovannino, in Firenze.




Aveva alle spalle una serie di illusioni e di drammi, comprese le fucilate che avevano costretto il padre a fuggire da Bolgheri e dai suoi cipressetti.




Rifugiato a Firenze, il padre voleva evitare conflitto col governo del Granduca Leopoldo II d’Asburgo-Lorena, che già lo aveva condannato al confino perché carbonaro.




L’unità nazionale sembrava lontanissima.




I contrasti politici e umorali tra Giosue e suo padre erano continui.




In una celebre lettera ad Angelo De Gubernatis il futuro Premio Nobel nel 1871 scrisse che il dottor Michele, a sua volta arrestato e condannato come carbonaro, quand’era ragazzo lo chiudeva ‘in prigione’ e gli faceva leggere le opere di Manzoni e di Pellico.... Si pensava fosse una metafora. Invece è una cruda realtà".



Infatti, la sera del 26 luglio 1850, su richiesta di Michele Carducci i gendarmi rilasciarono il secondogenito, Dante, perché il padre lo ritenne "meno colpevole".




Giosue’ invece venne chiuso in ‘stanza di forza’.




Fu la prima delle tristi vicende che ne segnarono la vita, compresa la morte del fratello Dante a soli vent’anni, trafitto da un colpo i bisturi durante un alterco col padre (4 novembre 1857).




Suicidio? Mistero.



III - Giosue’ in lugubre viaggio verso la morte...
"La carcerazione di Carducci a soli quindici anni - commenta Mola a colloquio con il conduttore di Voyager, Roberto Giacobbo - fa luce sulla sua opera di poeta e scrittore politico: all’insegna della ribellione e della ricerca interiore di ordine.




Forse il padre voleva trattenerlo da errori politici pericolosi.




Il ragazzo, precocissimo, scriveva versi di fuoco contro i ‘tedeschi’ che occupavano Firenze e l’Italia...".



Rilasciato e tornato dagli scolopi di San Giovannino, nell’ottobre 1850 il quindicenne Giosue’ scrisse i versi A la sventura, Il delirio del Trovatore, il famoso La mia vita , che inizia : "Passa la nave mia colma di pianto...", verso la "bianca scogliera della morte".




Un anno dopo cantò la madre quale unica sua "amica" , la sola che nei giorni tristi ne seppe capire il dolore.



Alla luce di questo e altri documenti inediti la tragedia interiore di Giosue’ Carducci risulta più decifrabile e si comprende meglio anche l’ Inno a Satana nel quale celebrò la scienza che plasma la "seconda natura", la modernità, conciliata con la bellezza della natura originaria dei luoghi cari al Poeta: la Versilia, la Maremma, le Alpi.