lunedì 1 giugno 2020

Regnum cœlorum violenzia pate

di Salvatore Sciuto Addario



Il Cristo dice di Giovanni Battista: « Sì, vi dico; è più di un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, Io ti mando innanzi il mio nunzio, perché prepari la tua via dinanzi a te.
In verità vi dico: fra quanti sono nati di donna non è mai sorto nessuno più grande di Giovanni Battista! Tuttavia il più piccolo del regno dei cieli è più grande di lui.
Dai giorni di Giovanni Battista fino ad ora [da intendersi ogni tempo in atto, quale esso sia, da allora fino ai nostri giorni], il regno dei cieli si acquista con la forza e sono i violenti che se ne impadroniscono». (Matteo, XI, 9 – 12).     
     Per spiegare l’ultimo versetto citato, ci facciamo soccorrere dal sommo Dante, Gran Maestro dei Fedeli d’Amore.

               « Regnum cœlorum violenzia pate
                   da caldo amore e da viva speranza,
                   che vince la divina volontate;

                non a guisa che l’uomo all’uom sopranza,
                   ma vince lei perché vuol esser vinta,
                   e vinta vince con sua beninanza ».
                   (Paradiso XX, 94 – 99).

     L’Amante che anela alla Visione Suprema dovendo attraversare i marosi dell’"Oceano delle passioni" per raggiungerLa, animato da "caldo amore e da viva speranza", con un atto di volontà che solo l’Altissimo può donare, s’incammina nell’ardua impresa, e vince le spietate onde del Samsâra che vorrebbero inghiottirlo, pure se queste sono necessarie ai Suoi disegni ineffabili. Dall’Eccelso chiamato ed esortato all’approdo alla celeste Riva, l’uomo rapito dal Suo Amore, infine vi giunge. E quando vi giunge, si accorge che non è stato lui a compiere la traversata, ma è stato il Signore Iddio, il Misericordioso, a condurlo "con sua beninanza".     
     Ci troviamo qui, ancora una volta, all’esplicitazione di quanto attiene al dominio squisitamente esoterico ed iniziatico, il quale non è quello che conduce soltanto alla Salvezza (dominio exoterico, che non supera il piano individuale umano), ma quello della Conoscenza per eccellenza che conduce prima allo stato edenico o primordiale, e quindi alla "conquista" degli stati superiori dell’essere (i "cieli"), per giungere infine allo stato Supremo (alla Liberazione), ossia a quell’identità sittanto magnificamente  descritta da Dante come l’effettiva Visione dell’Amor che move il sole e l’altre stelle.

     Al Cristo, "Uomo Universale", non poteva mancare la reale conoscenza delle condizioni cosmiche relative allo stato del ciclo; condizioni vieppiù ristrette e alquanto difficili da superare da parte di coloro che fossero chiamati alla Via della Conoscenza suprema.
     Potremmo pur dire che l’individuale "attaccamento" al mondo manifestato è divenuto assai difficile da "sconfiggere"; il cosmo si oppone a colui che vorrebbe abbandonarlo per non restarne imprigionato nella serie indefinita delle nascite e delle morti.
     Solo un’intenzione saldissima, sostenuta da una sottomissione assoluta allo Spirito supremo (e con il Suo imprescindibile soccorso), può far si che sia possibile varcare e superare le potenze cosmiche o "demiurgiche".
     Ed è questa forza, profondamente spirituale, che "violenta" la "porta stretta" del Regno dei cieli.
     Non è forse l’insopprimibile, provvidenziale e spirituale anelito alla Liberazione quella che esorta il vero Compagno (sottomesso alla Sua volontà) a "picconare" la Cripta (identica alla "Nicchia del cuore") onde ritrovare i Tesori ivi custoditi, e dunque riuscirne effettivamente, per avviarsi ai "Cieli", ossia agli stati superiori dell’Essere?   
     Una delle immagini, forse più emblematica, di questa sacra violenza, è quella della Santa Vergine che schiaccia la testa del serpente, dove questo è, appunto, il simbolo dell’indefinità ciclica (i "marosi" dell’oceano delle "Acque inferiori") e del concatenamento causale, rappresentato dalle sue spire che incatenano gli esseri ai cicli di manifestazione.     
     Non possiamo in questa sede addentrarci in tale simbolismo. Tuttavia, in proposito ricorderemo l’eccellente insegnamento di Cristo: «Regnum dei intra vos est». E tali sante parole crediamo siano foriere di incancellabili riflessioni.
     Aggiungeremo soltanto che l’"attività" di cui abbiamo parlato non può essere che agli antipodi della "passività" semplicemente "religiosa"; in altre parole, occorre che l’uomo dotato e chiamato a tanto, raccogliendo (concentrando) in sé stesso tutte le potenze dell’essere, si elevi o si innalzi verso la Verità.
     Dev’essere estremamente chiaro che in tutto ciò nulla è possibile in assenza di un ricollegamento effettivo col dominio iniziatico; tutto quanto attiene alla conoscenza spirituale (unica e vera conoscenza), non può e non ha assolutamente nulla a che vedere con il dominio individuale, quindi con le abitudini mentali, le convenzioni, le opinioni, le congetture, le supposizioni, le immaginazioni e i presupposti che rilevano dalla sentimentalità, nonché da tutti i condizionamenti "morali", culturali, sociali e quant’altro dello stesso livello che provengono dall’ambiente. Conoscere non è affatto "sapere", foss’anche in tutta la sua estensione possibile; come più che magistralmente vergò René Guénon, la Conoscenza è rigorosamente "identità del soggetto conoscente con l’oggetto conosciuto".

     Quanto andiamo esponendo è sintetizzato magnificamente dalle parole del Cristo, allorché un suo aspirante discepolo, prima che partissero, chiese il permesso di poter assolvere alla sepoltura del padre morto. Il Cristo gli disse: « Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i morti». (Matteo, VIII, 22).
     I morti a cui alludeva l’Avatâra eterno non sono se non gli irretiti dalla "Grande illusione", propriamente cosmica; sono coloro che, quali ciechi, errano nelle tenebre dell’ignoranza di se stessi; essi, vittime della menzogna che tracima dai bassifondi dell’infraumano, dettata dall’Impostore, fidano soltanto nel mortale pantheon del Regno della Quantità.
     Per non parlare dei tralignatori, più o meno coscienti emuli dell’abominio, tra i quali certi tradizionalisti, veri nemici della Sacra Tradizione Universale, i quali, facendosi passare per "grandi studiosi" della Tradizione, nonché estimatori dell’Opera di René Guénon (così come di Matgioi, di A. K. Coomaraswamy e persino di Ibn ‘Arabi!), proditoriamente e scientemente ne falsificano il detto nelle loro pubblicazioni, al fine di avallare le loro menzogne, propalate con l’uso di una certa dialettica diretta agli squalificati: i privi d’intelletto, sempre pronti al plauso dell’inganno e alla condanna dei giusti fra gli uomini.
     In questi tempi di fine ciclo è quanto meno significativo il "prodigioso successo" di tali esseri che si sono posti al servizio della contro-iniziazione, i quali si sono accostati ai Luoghi eletti a loro rischio e pericolo, ingigantendo a dismisura la propria individualità, senza sospettare minimamente a quale tristissimo destino vanno incontro.       
     Ci sarebbero molte cose da dire al riguardo, ma preferiamo qui fermarci, e riportare quanto vergato dal Venerabilissimo Maestro, Fratello, Compagno e Amico, René Guénon.
     « L’azione distruttrice del tempo lascia sopravvivere solo ciò che al tempo è superiore: essa divorerà tutti coloro che hanno limitato il loro orizzonte al mondo del cambiamento e posto ogni realtà nel divenire, quelli che hanno fatto una religione del contingente e del transitorio, poiché  “colui che sacrifica a un dio diverrà il nutrimento di questo dio”; ma cosa potrebbe essa contro coloro che portano in sé la coscienza dell’eternità? » (Studi sull’Induismo, Cap.II).