venerdì 16 febbraio 2018

Il discepolo più amato da Gesù

di Antonio Bove




È un sentire comune che il discepolo che Gesù amava era Giovanni e questo lo si ricava dalla lettura di brani dello stesso Vangelo di San Giovanni:
Giovanni 13,23: “Ora, a tavola, inclinato sul petto di Gesù, stava uno dei discepoli, quello che Gesù amava”.
Giovanni 19,26: “Gesù dunque, vedendo sua madre e presso di lei il discepolo che egli amava, disse a sua madre: «Donna, ecco tuo figlio!»”.
Giovanni 20,1-10: “Allora (Maria Maddalena) corse verso Simon Pietro e l'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’abbiano messo»”.
Per citarne solo alcuni.
Se Giovanni era quindi il discepolo più amato, secondo una ideale graduatoria che coinvolge tutti i discepoli, in contrapposizione a questa figura dovrebbe esserci quello del meno amato ed è facile pensare a Giuda.
Tutto risolto quindi, tutto chiaro, tutto normale, come si potrebbe diversamente affermare il contrario? La mia ricerca sarebbe così e molto facilmente terminata, con ancora due parole su Giovanni prese qua e là dalle Sacre Scritture.
Ma un Massone, un buon Massone ci hanno insegnato ha il dovere del dubbio e della ricerca della verità, ponendosi sempre dei perché a cui sforzarsi di dare delle risposte con l’aiuto della ragione.
Ed allora la ricerca per scoprire il discepolo più amato da Gesù parte dall’ultimo, da Giuda.
Giuda il traditore, il fellone, l’abietto!
Per soli trenta denari dimostrando così una assoluta assenza di morale, ha venduto un Uomo, ha venduto il Cristo, ha venduto il suo Maestro.
E cosa c’è di peggio che uccidere o far uccidere il proprio Maestro?
Uccidere colui che ci ha insegnato il passato che rappresenta la nostra storia, conoscenza necessaria per meglio vivere il presente, uccidere colui che ci ha dato buoni ammaestramenti, quale nefandezza!
Qui non si parla più di tradimento, ma parliamo di crudeltà.
Si parla di aver rigettato ciò che siamo, il nostro passato, ma senza passato noi non abbiamo presente, non abbiamo futuro.
Chi uccide il proprio Maestro non ha giustificazione alcuna.
Qualcuno, con malcelata malizia potrà però dire che dal Male può nascere un Bene, magari un Bene più grande, ma ricordiamoci che il Male rimane sempre Male.
Certo, nella vita tutti possiamo commettere degli errori, ma Giuda ha commesso qualcosa di ancora più grave, fuggire!
Fuggire dopo il tradimento, fuggire dalle proprie responsabilità ed infine uccidersi impiccandosi ad un albero senza neppure avere il coraggio di pentirsi. Questa è nefandezza massima.
Anche Simon Pietro si è macchiato di tradimento quando alla serva che lo additava ed alle guardie che accorrevano dopo aver preso Gesù disse: “Non conosco quell’uomo”, ma Pietro a differenza di Giuda, subito dopo il canto del gallo, ricordandosi di quello che Gesù gli aveva profetizzato, aprì il suo cuore ed i suoi occhi all’empietà di quanto commesso e pentendosi “pianse amaramente”.
Ma la Verità, ogni Verità, quasi fosse un Giano Bifronte, nasconde sempre un’altra Verità.
La scrittura ebraica, a tal proposito, era fatta di lettere prive di vocali poste l’una accanto all’altra senza punteggiatura. Ancora oggi quando si legge la Torah di ogni rigo vengono date due letture contrapposte.
I Rabbini ogni volta ribadiscono infatti “dice Sciammai, dice Hillel”, chi dice questo, chi dice quello.
Occorre quindi rivedere continuamente tutto ciò che ha l’apparenza di una certezza.
Sotto questo profilo Giuda è per definizione un presunto colpevole non è mai un presunto innocente, parte già condannato.
Dire a qualcuno: sei un Giuda è come dire sei un traditore, così come dire sei un Ponzio Pilato è sinonimo di indifferenza, Don Giovanni: tombeur de femmes, Re Mida: fiuto per gli affari, Otello: geloso, Pinocchio: bugiardo, Peter Pan: eterno bambino, Paperon de Paperoni: ricco ed avaro.
Il dare poi a taluno del Caino o dell’Erode è anch’esso sinonimo di crudeltà, ma nel dare del Giuda è crudeltà unita al tradimento.
L’equazione Giuda uguale Traditore è però una tesi che trova il suo fondamento in una lettura separata dei Vangeli.
Se si leggono infatti in modo distinto ognuno dei Vangeli indiscutibilmente si avvalora questo assioma, ma se si dà una lettura comparata dei Vangeli, quasi come tessere di un unico mosaico, questo tipo di presunzione (Giuda uguale Traditore) presenta delle crepe, delle discordanze.
Avviamoci quindi a vedere il mosaico nella sua completezza.

Matteo 27, 3: “Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani”.
In questo brano si avvalora la tesi del tradimento per denaro, per trenta
monete d’argento.
Giovanni 6, 70-71: “Rispose Gesù: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». Egli parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: questi infatti stava per tradirlo, uno dei Dodici”.
Qui sostanzialmente Gesù afferma che lui ha scelto ognuno dei dodici apostoli e tra loro ha scelto anche il Diavolo.
Ma perché ha scelto il Diavolo?
Luca 22, 3-6: “Satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era nel numero Giovanni 13, 27: “
dei dodici”. Ora dopo quel boccone, Satana entrò in lui. Allora Gesù gli disse: «Quel che fai, fallo presto!»”.
Una nuova verità sembrerebbe ora svelarsi, Giuda era un discepolo come gli altri, ma per volontà del Cristo diventa un traditore. Non è stato quindi lui ad agire, ma è stato un altro per lui. Dalla lettura di Marco, si comprende infine che tutto quello che è accaduto è avvenuto “per mezzo” e non “per colpa” di un tradimento.

Quello che ora appare non è quindi un Giuda traditore, ma un Giuda che deve tradire. Giuda obbedisce ad un comando. Il Cristo ordina a Giuda di “tradirlo” al fine di permettergli con la sua morte e resurrezione di salvare tutti gli altri, l’umanità intera dal peccato e quindi da sicura perdizione. Ma perché Giuda? Semplice, era, in tutti i sensi, il migliore, l’unico capace di sobbarcarsi all’inevitabile destino che ne sarebbe seguito, e che tale è rimasto fino ai giorni nostri: quello di farsi carico, in eterno, della infamante accusa di tradimento, pagandola subito dopo con un disperato suicidio d’onore e perché no, d’amore.
Ma come Giuda tradisce Gesù? Lo tradisce con un bacio. Il bacio di Giuda serviva ad identificare Cristo fra tutti, ma Gesù era ben conosciuto da ognuno di coloro che volevano la sua morte. Egli si era recato nel Tempio, predicava per ogni dove, che necessità c’era di un segno identificativo?
E poi un’altra considerazione, perché proprio il bacio? Il bacio, come segno, è l’antitesi del tradimento. Il bacio non ha mai avuto storicamente una accezione negativa. Il bacio è la prima forma di nutrimento di una madre verso il figlio, è curativo quando una madre bacia la ferita del figlio, il bacio degli amanti è erotico, nelle favole poi risveglia la bella Addormentata o trasforma in Principe il Rospo, la fortuna a volte ci bacia, è simbolo di pace, ma mai di tradimento.
Il bacio ha sempre avuto una accezione di devozione ed amore. Con quel bacio Giuda per l’ultima volta si accomiata dal suo maestro, lo stringe a sé, lo abbraccia, arrendendosi alla volontà di Gesù, ma è schiacciato perché fragile e scosso dal grande peso del gesto.
Deve consegnare alla morte colui che più al mondo ama. Così come Gesù sulla croce tra gli strazi dell’agonia rivolto al Padre dice: “non la Mia ma la Tua volontà sia fatta”, similmente Giuda si arrende alla volontà del Cristo e dopo aver svolto il proprio compito si uccide travolto dal dolore e senza aver conosciuto il mistero della resurrezione.
In qualche modo è anch’egli un agnello sacrificale. Il bacio di Giuda si svela così come segno di massimo amore ed è da annoverare tra coloro che massimamente amarono Dio e da Lui tanto amati da essere scelti per l’assolvimento del compito più arduo che si possa mai chiedere alla persona amata.
Il mio viaggio verso la conoscenza e la scoperta di chi sia stato il discepolo più amato da Gesù sembrerebbe così terminato nel suo iniziare, ma un dubbio ancora si insinua nella mia mente e nei miei pensieri, Dante Alighieri!
Il Sommo Poeta colloca Giuda nell’Inferno, nell’ultimo Cerchio dove sono puniti i traditori. Alla punta della piramide rovesciata c’è la quarta zona, la Giudecca e lo spettacolo che si manifesta è terribile. Lucifero, quale trinità contrapposta al Dio Creatore, nelle tre bocche mastica straziandoli partendo dalle gambe e sino al basso ventre i corpi di Bruto e Cassio traditori della maestà terrena, nella bocca centrale maciulla dal capo Giuda traditore della maestà divina, mentre con gli artigli gli graffia la schiena.
3
INFERNO. — CANTO XXXIV. VERSI 55 - 72
Da ogni bocca dirompea co’ denti
un peccatore, a guisa di maciulla,
sì che tre ne facea così dolenti.
A quel dinanzi il mordere era nulla
verso il graffiar, che tal volta la schiena
rimanea della pelle tutta brulla.
“Quell'anima lassù che ha maggior pena”,
disse il Maestro, “è Giuda Scariotto,
he il capo ha dentro, e fuor le gambe mena”.
“Degli altri duo c' hanno il capo di sotto,
quei che pende dal nero ceffo è Bruto:
vedi come si storce, e non fa motto:
e l'altro è Cassio, che pur sì membruto”.
La certezza da me appena conseguita, vacilla dinanzi ai versi appena recitati. Quel che Dante rappresenta nel suo cantico è di un lapalissiano disarmante: Giuda è colpevole ed in quanto tale meritevole della punizione massima e questo lo afferma Dante che è uno dei miei, dei nostri Maestri.
Decido quindi di abbandonare l’impresa quando per caso, nel riporre il mio lavoro m’imbatto in un opuscolo dal titolo Navigatio Sancti Brendani.
In questo componimento anonimo in latino redatto in ambito irlandese, presumibilmente nel X secolo, si narrano in chiave fantastica le lunghe peregrinazioni marinare di San Brandano, monaco irlandese realmente vissuto nel VI secolo, missionario e fondatore di conventi in Irlanda e Inghilterra, divenuto, per i suoi numerosi viaggi, una figura leggendaria.
Il suo è un viaggio simbolico attraverso il mare, alla scoperta di un’isola felice da cui si può contemplare il regno dell’aldilà ed è considerata tra le fonti di ispirazione della Divina Commedia di Dante. Orbene in una delle sue peregrinazioni San Brandano giunge con la sua imbarcazione ad uno scoglio dove si trova nientemeno che Giuda, che come ogni domenica è colà trasportato dai demoni per riposare dagli atroci supplizi infernali.
È comunque un riposare molto relativo il suo, perché il suo corpo è avvolto da un mantello infuocato ed è sferzato dal vento e dalle tempeste marine. Giuda si accorge del Santo proprio mentre sta per essere nuovamente trasportato negli inferi e lo supplica di intercedere presso Dio, per prolungare di un altro giorno la sua tregua.
Il Santo impietosito prega dunque il Signore per Giuda ed ai Demoni appena giunti, ma impossibilitati ad impossessarsi di lui e che gli chiedevano di smetterla di difenderlo perché era sempre il traditore di Gesù ed andarsene, dice: “Io no llo voglio difendere contra alla volontà di Dio, quello che piace a Dio piace a me, ora e sempre sia la sua volontà”. “L’abate stette tutta quella notte in orazione e lli dimoni non ferono in tutta quella notte niuno tormento a Giuda”.

Quindi per la prima volta è affermato che la misericordia di Dio è rivolta anche a Giuda ed il mitigare sia pure saltuariamente la pena forse nasconde un’altra verità.
Una crepa viene così a minare e dalle fondamenta l’affermazione della indiscutibile colpevolezza del discepolo.
Ed allora sorge spontaneo il pensare che forse Dante abbia voluto far vedere ciò che ci si aspettava e che si ritiene naturale vedere: la condanna esemplare del traditore, celando però nelle pieghe segrete della narrazione quello che solo pochi “lettori di simboli” possono comprendere.
Ritornando nella descrizione dantesca del supplizio di Caino quello che colpisce è il diverso colore delle facce di Lucifero: Nera, come la paura, come l’ottenebrazione della coscienza quella che divora Bruto; Gialla, come l’invidia che è la radice di tutti i mali quella che tormenta Cassio ed infine Rossa, come la violenza, quella che tortura Giuda.
Ma il rosso è anche il colore della vergogna che sappiamo essere stata anch’essa causa del suicidio di Giuda, inoltre è anche rosso il colore del sangue versato dal Redentore per la salvezza dell’umanità.
Se a queste considerazioni aggiungiamo che il corpo di Giuda infilato nelle fauci di Lucifero è posto al contrario di quello degli altri due dannati e di lui non si vede il volto, mi viene spontaneo azzardare una considerazione:
Giuda non è lì!
Giuda non è tra i dannati, egli è altrove, forse accanto al suo Maestro diletto nuovamente riuniti nell’amore fraterno che indissolubilmente li ha sempre legati.
Soddisfatto sto per concludere il mio lavoro, mentre col pensiero rivedo il dipinto leonardesco dell’Ultima Cena soffermandomi nel mirare i particolari dell’apostolo che poggia il capo sul petto di Gesù ed improvvisamente un nuovo pensiero illumina la mia mente e riprende a tormentare il mio animo:
E se il discepolo più amato da Gesù fosse una donna!?
Ma questa è un’altra storia....
Chi dice Sciammai, chi dice Hillel..