giovedì 15 ottobre 2015

Ars gratia artis. Le 'chitarronate' anticlericali del Premio Nobel

Te accolse profugo
Tra gli dèi lari
La plebe memore
Ne i casolari.
[...]
E già già tremano
Mitre e corone:
Dal chiostro brontola
La ribellione,

E pugna e prèdica
Sotto la stola
Di fra’ Girolamo
Savonarola.

Gittò la tonaca
Martin Lutero:
Gitta i tuoi vincoli,
Uman pensiero,
[...]
di Davide Riboli



10 ottobre 1906: Giosuè Carducci è il primo italiano a vincere il Premio Nobel per la Letteratura.

Quello stesso Carducci entrato in Massoneria nel 1862 [data presunta ma probabile, stando ai documenti consultabili], a piè di lista della Loggia "Galvani" di Bologna e successivamente fondatore, nel 1866 della Loggia "Felsinea". Fratello attivissimo che, pur manifestando più volte una certa disapprovazione per alcune politiche culturali dell’Ordine, fu insignito nel 1888 del 33° grado del Rito Scozzese Antico ed Accettato. Conosciamo bene la fotografia della salma di Carducci ornata dalle insegne muratorie, forse per "funerali massonici" di carattere privato.

Nel 1863, a Firenze per seguire la stampa di alcuni suoi lavori, scrive, in una sola notte l'inno A Satana che, schernendosi, definisce una "chitarronata". L'inno, nella sua prima stesura del 1863, fu inviato da Carducci all'amico Giuseppe Chiarini accompagnato da questo commento:

« È inutile che io avverta aver compreso nel nome di Satana tutto ciò che di nobile e bello e grande hanno scomunicato gli ascetici e i preti con la formola "Vade retro Satana"; cioè la disputa dell'uomo, la resistenza all'autorità e alla forza, la materia e la forma degnamente nobilitate. È inutile che io segni al tuo giudizio le molte strofe tirate giù alla meglio per finire: nelle quali è il concetto dilavato ma non la forma. Bisogna tornarci su, su questa poesia, e con molta attenzione. Ma non ostante mi pare che pel concetto e pel movimento lirico, io possa contentarmene. Pigliala adesso com'è [...] Dopo letto ricorda che è il lavoro di una notte. »

La poesia, senza alcune strofe, fu pubblicata a Pistoia nel novembre 1865 con lo pseudonimo di Enotrio Romano; l'edizione completa è del 1867, sempre con la stessa firma. Il testo definitivo è invece del 1881. Ve la ripropongo in versione integrale. Buona lettura, ci vediamo a pié di pagina.

A te, de l’essere
Principio immenso,
Materia e spirito,
Ragione e senso;

Mentre ne’ calici
Il vin scintilla
Sí come l’anima
Ne la pupilla;

Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D’amor parole,

E corre un fremito
D’imene arcano
Da’ monti e palpita
Fecondo il piano;

A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana,
Re del convito.

Via l’aspersorio
Prete, e il tuo metro!
No, prete, Satana
Non torna in dietro!

Vedi: la ruggine
Rode a Michele
Il brando mistico,
Ed il fedele

Spennato arcangelo
Cade nel vano.
Ghiacciato è il fulmine
A Geova in mano.

Meteore pallide,
Pianeti spenti,
Piovono gli angeli
Da i firmamenti.

Ne la materia
Che mai non dorme,
Re de i fenomeni,
Re de le forme,

Sol vive Satana.
Ei tien l’impero
Nel lampo tremulo
D’un occhio nero,

O ver che languido
Sfugga e resista,
Od acre ed umido
Pròvochi, insista.

Brilla de’ grappoli
Nel lieto sangue,
Per cui la rapida
Gioia non langue,

Che la fuggevole
Vita ristora,
Che il dolor proroga
Che amor ne incora.

Tu spiri, o Satana,
Nel verso mio,
Se dal sen rompemi
Sfidando il dio

De’ rei pontefici,
De’ re crüenti:
E come fulmine
Scuoti le menti.

A te, Agramainio,
Adone, Astarte,
E marmi vissero
E tele e carte,

Quando le ioniche
Aure serene
Beò la Venere
Anadiomene.

A te del Libano
Fremean le piante,
De l’alma Cipride
Risorto amante:

A te ferveano
Le danze e i cori,
A te i virginei
Candidi amori,

Tra le odorifere
Palme d’Idume,
Dove biancheggiano
Le ciprie spume.

Che val se barbaro
Il nazareno
Furor de l’agapi
Dal rito osceno

Con sacra fiaccola
I templi t’arse
E i sogni argolici
A terra sparse?

Te accolse profugo
Tra gli dèi lari
La plebe memore
Ne i casolari.

Quindi un femineo
Sen palpitante
Empiendo, fervido
Nume ed amante,

La strega pallida
D’eterna cura
Volgi a soccorrere
L’egra natura.

Tu a l’occhio immobile
De l’alchimista,
Tu de l’indocile
Mago a la vista,

Del chiostro torpido
Oltre i cancelli,
Riveli i fulgidi
cieli novelli.

A la Tebaide
Te ne le cose
Fuggendo, il monaco
Triste s’ascose.

O dal tuo tramite
Alma divisa,
Benigno è Satana;
Ecco Eloisa.

In van ti maceri
Ne l’aspro sacco:
Il verso ei mormora
Di Maro e Flacco

Tra la davidica
Nenia ed il pianto;
E, forme delfiche,
A te da canto,

Rosee ne l’orrida
Compagnia nera,
Mena Licoride,
Mena Glicera.

Ma d’altre imagini
D’età più bella
Talor si popola
L’insonne cella.

Ei, da le pagine
Di Livio, ardenti
Tribuni, consoli,
Turbe frementi

Sveglia; e fantastico
D’italo orgoglio
Te spinge, o monaco,
Su ’l Campidoglio

E voi, che il rabido
Rogo non strusse,
Voci fatidiche,
Wicleff ed Husse,

A l’aura il vigile
grido mandate:
S’innova il secolo
Piena è l’etade.

E già già tremano
Mitre e corone:
Dal chiostro brontola
La ribellione,

E pugna e prèdica
Sotto la stola
Di fra’ Girolamo
Savonarola.

Gittò la tonaca
Martin Lutero:
Gitta i tuoi vincoli,
Uman pensiero,

E splendi e folgora
Di fiamme cinto;
Materia, inalzati:
Satana ha vinto.

Un bello e orribile
Mostro si sferra,
Corre gli oceani,
Corre la terra:

Corusco e fumido
Come i vulcani,
I monti supera,
Divora i piani;

Sorvola i baratri;
Poi si nasconde
Per antri incogniti,
Per vie profonde;

Ed esce; e indomito
Di lido in lido
Come di turbine
Manda il suo grido,

Come di turbine
L’alito spande:
Ei passa, o popoli,
Satana il grande.

Passa benefico
Di loco in loco
Su l’infrenabile
Carro del foco.

Salute, o Satana,
O ribellione,
O forza vindice
De la ragione!

Sacri a te salgano
Gl’incensi e i vóti!
Hai vinto il Geova
De i sacerdoti.

Ben ritrovati. L'avete letta o avete solo scorso la bretella della finestra per arrivare in fondo? Spero l'abbiate letta o vi sareste persi - oltre a tante altre cose - il sorriso che non può non cogliere chi s'imbatte in "spennato arcangelo", l'impressionante attualità dei versi che mi son permesso di scegliere per la citazione iniziale e la malinconia che abita l'ultima strofa, paragonabile solo a quella evocata da D'Annunzio nelle sue "Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi" quando è certo che mentì chi urlò la morte del grande dio Pan. Sappiamo bene quanto lunga sia ancora la strada prima che questi canti poetici divengano testimonianza di realtà. E non posso fare a meno di chiedermi se oggi sarebbe ancora possibile il conferimento di un premio Nobel ad un massone che scrive odi a Satana.

Un bel problema anche pei programmi ministeriale d'istruzione pubblica: che ne facciamo di questa roba? Facciamo finta che non esista? La mettiamo sui libri, buttandola in panzana esegetica [Sì, certo, il carro di fuoco è la locomotiva. Come no...]? Aspettate, ho un'idea migliore! Parliamone, poco e diciamo che comunque è venuta male e che in fondo Carducci era un vecchio trombone [Ecco, questa potrebbe funzionare...].

Quel che conta è che il primo Premio Nobel per la Letteratura è andato a questo signore [lo so, l'ho già scritto, ma ci tenevo a ribadirlo]. In quest'epoca di nani e ballerine politici, religiosi, culturali ed istituzionali, gente come Carducci [e D'annunzio, naturalmente, ma di lui parleremo un'altra volta] mi manca moltissimo.

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Di Carducci abbiamo già parlato spesso sul blog e sono grato a tutti gli autori dei contributi precedenti, di cui ho fatto man bassa. In particolare:

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