lunedì 23 febbraio 2015

Dal Kitzur Shulchan Aruch. Le qualità nelle quali l’uomo deve impegnarsi

di Giuseppe Russo



Il Kitzur Shulchan Aruch è un compendio riguardante le regole dell’ebreo osservante; ci soffermeremo in questo breve articolo su alcune regole che non riguardano strettamente la sfera religiosa, intesa come insieme dei precetti che stabiliscono il modo di pregare ed i tempi per svolgere le funzioni liturgiche, ma concernono invece, aspetti della vita quotidiana e dei rapporti con gli altri. Al capitolo 29 del Kitzur Shulchan Aruch sono trattate “Le qualità nelle quali l’uomo deve impegnarsi”. Il capitolo inizia precisando che ogni uomo è diverso come temperamento per sua natura, e che esistono comportamenti opposti; analizzato questo aspetto per il quale la natura propria di ogni individuo lo conduce ad avere comportamenti che possono tendere verso una qualità o verso la qualità opposta, il testo si sofferma sulla considerazione che per l’individuo, l’atteggiamento più giusto da tenersi, è quello equilibrato, informando che “chi si attiene alla via di mezzo può considerarsi saggio”. Mi occuperò in questo breve articolo solo di alcuni aspetti trattati dal capitolo e che ritengo siano di una certa attualità, ed abbiano la capacità di suscitare maggiore interesse, in quanto certamente riguardano il vissuto quotidiano di ognuno di noi:

Orgoglio ed umiltà
L’orgoglio è qualificato come un atteggiamento molto negativo; il consiglio pertanto è quello di esercitarsi ad essere umili, per esempio “considerando il tuo prossimo come se ti fosse sempre superiore”. L’orgoglio può nascere sia nei confronti di chi è più acculturato di noi o più agiato, sia nei confronti di chi, invece, lo è meno di noi. Nel primo caso l’atteggiamento idoneo che permette di esercitarsi all’umiltà è quello di portare rispetto, considerando il fatto che se D-o ha voluto così, evidentemente costui ne è degno; nel secondo caso il modo per esercitarsi all’umiltà verso chi ha minori mezzi di noi, oppure una cultura inferiore alla nostra, è quello di considerare che questi è più meritevole di noi, in quanto “ se lui commette un errore, questo può considerarsi come se lo avesse compiuto involontariamente a causa dei suoi limiti”. Bisogna riconoscere che sia il primo atteggiamento che il secondo non sono così comuni e che anzi, la naturale inclinazione, porta evidentemente ad avere comportamenti opposti; è bene soffermarci sul fatto che il testo parla di “esercitarsi” e quindi di agire sul proprio comportamento in modo volontario e cosciente. È evidente che questo non può prescindere dall’avere una buona dose di volontà, senza la quale tutto ciò non sarebbe possibile. Nel secondo caso inoltre, è evidente come l’orgoglio che può nascere nel considerare chi si trova in una condizione inferiore alla nostra o per ceto sociale o per cultura, scaturisce come conseguenza diretta di un altro fattore proprio a cui l’individuo è naturalmente incline: il giudicare il proprio prossimo. Risulta a questo punto pertinente citare uno dei 613 precetti dell’ebraismo, il quale afferma: «Non giudicare».

L’ira
Al pari dell’orgoglio anche l’ira è classificata come “sentimento molto nocivo”. In questo caso il consiglio dato dal testo è di “addestrarsi a non esercitarla”. Come nel caso dell’orgoglio in cui si parla di “esercitarsi”, nel caso dell’ira è utilizzato un vocabolo dall’accezione affine: addestrarsi. Questo evidentemente vuole significare che l’abitudine, la quale è il fondamento dell’educazione di un individuo, che poi è il ripetersi più volte di pratiche e comportamenti, è capace di indurre sullo stesso dei cambiamenti profondi e di correggere quella che potrebbe essere la sua indole naturale. L’ira certamente è un sentimento che può accendersi a seguito di un torto subito, oppure di un’offesa per la quale reagire con ira potrebbe sembrare anche umanamente comprensibile; a tal proposito il testo riporta la strada degli tzaddikim (giusti ): “ essi vengono offesi, ma non insultano, avvertono la propria umiliazione ma non ribattono, agiscono con amore e si rallegrano malgrado le sofferenze”.

Divieto di umiliare il prossimo
Il testo afferma il divieto di umiliare il prossimo in privato ed ancor più in pubblico, sia con gesti che con parole. Sono riportate le parole del Talmud: “ Colui che fa impallidire il compagno in pubblico non avrà diritto al Mondo Futuro”; questo vale anche per i bambini. È fatto divieto pertanto di mortificare il proprio prossimo specialmente in pubblico, per esempio mettendolo in imbarazzo raccontando fatti che lo riguardano.

Rapporto con vedove ed orfani
Lo studio della Torah ha condotto i Maestri ad evincere dai Testi della Sacra Scrittura la particolare considerazione che D-o ha verso le vedove e gli orfani: “ogni vedova ed orfano non affliggerete” ( Esodo 22,21 ) – “Se griderà verso di Me, Io ascolterò il suo lamento” ( Esodo 22,22 ) – “D-o ascolterà la loro causa” ( Proverbi 22,23 ). Il testo pertanto precisa che bisogna avere verso le vedove e gli orfani un atteggiamento molto particolare, che altrimenti non si avrebbe se loro non fossero in questo stato: parlare loro con dolcezza, trattandoli con riguardo e dignitosamente, senza rattristarli neppure con parole “ poichè la loro anima già è molto infelice ed il loro spirito abbattuto, anche se sono benestanti”. Le parole del Kitzur Shulchan Aruch sembrano condurci a considerazioni che hanno un’evidente attualità, sia per i molteplici aspetti che riguardano la vita di ognuno di noi, che per un significato di più ampia portata che abbraccia la sfera dell’etica della società civile, nella quale indubbiamente possiamo determinare come i principi sacrosanti laici che la governano, siano condivisi o forse abbiano addirittura fondamento, da una tradizione antichissima millenaria, pervenuta integra fino ai giorni nostri.
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