martedì 29 ottobre 2019

Francesco Mario Pagano, il Platone di Napoli



Napoli, 29 ottobre 1799, viene giustiziato Francesco Mario Pagano, giurista, filosofo, politico e drammaturgo italiano. A tracciarne il profilo ci può aiutare Wikipedia. «Fu uno dei maggiori esponenti dell'Illuminismo italiano ed un precursore del positivismo, oltre ad essere considerato da Enrico Pessina l'iniziatore della 'scuola storica napoletana del diritto'. Personaggio di spicco della Repubblica Partenopea (1799), le sue arringhe contornate di citazioni filosofiche gli valsero il soprannome di "Platone di Napoli".
Nato a Brienza, piccolo centro del Principato Citra (dal 1806 in Basilicata), da una famiglia di notai, all'età di quattordici anni si trasferì a Napoli dopo la morte del padre, stabilendosi presso lo zio Nicola. Ultimò gli studi classici sotto l'egida di Gerardo De Angelis, da cui apprese anche gli insegnamenti di latino, greco, ebraico e frequentò i corsi universitari, conseguendo la laurea in giurisprudenza nel 1768 con il Politicum universae Romanorum nomothesiae examen, dedicato a Leopoldo di Toscana ed all'amico grecista Giuseppe Glinni di Acerenza. Fu, inoltre, allievo del Genovesi, il cui insegnamento fu fondamentale per la sua formazione, e amico di Gaetano Filangieri con cui condivise l'iscrizione alla Massoneria. Pagano appartenne a La Philantropia, loggia della quale fu maestro venerabile. Inoltre, i proventi dell'attività di avvocato criminale gli consentirono di acquistare un terreno all'Arenella, dove costituì una sorta di accademia, alla quale partecipava, tra gli altri, Domenico Cirillo.
Ebbe la cattedra di etica (1770), poi quella di diritto criminale (1785) all'Università di Napoli, distinguendosi come avvocato presso il tribunale dell'Ammiragliato (di cui diventò poi giudice) nella difesa dei congiurati anti-borbonici della Società Patriottica Napoletana Emanuele De Deo, Vincenzo Galiani e Vincenzo Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte (1794). Nel 1796 fu incarcerato in seguito ad una denuncia presentata contro di lui da un avvocato condannato per corruzione che lo aveva accusato di cospirare contro la monarchia ma venne liberato nel 1798 per mancanza di prove. Scarcerato il 25 luglio del 1798, riparò clandestinamente a Roma, dove venne accolto positivamente dai membri della Repubblica Romana, dove ricevette la cattedra di Diritto nel Collegio Romano, accontentandosi di un compenso che gli garantiva il minimo indispensabile per vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il pedagogo e rivoluzionario Matteo Angelo Galdi.
 Lasciata Roma, si spostò per un breve periodo a Milano e, dopo la fuga del re Ferdinando IV a Palermo, fece ritorno a Napoli il 1º febbraio 1799, divenendo uno dei principali artefici della Repubblica Napoletana, quando il generale francese Jean-Étienne Championnet lo nominò tra quelli che dovevano presiedere il governo provvisorio.
 La vita della repubblica fu corta e molto difficile: mancava l'appoggio del popolo, alcune province erano ancora estranee all'occupazione francese e le disponibilità finanziarie erano sempre limitate a causa delle sovvenzioni alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di tempo, Pagano ebbe tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in questo periodo furono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su posizioni piuttosto moderate e il progetto di Costituzione della Repubblica Napoletana. Essa per la prima volta stabiliva la giurisdizione esclusiva dello Stato sui diritti civili e, tra le altre cose, prevedeva il decentramento amministrativo della città. La carta elaborata da Pagano prevedeva inoltre l'istituzione dell'eforato, precursore dell'odierna Corte Costituzionale. Il suo progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione borbonica. Pagano si distinse sostenendo altre leggi di capitale importanza come quella sull'abolizione dei fedecommessi (10 febbraio), sull'abolizione delle servitù feudali (5 marzo), del testatico (22 aprile), della tortura (1º maggio).
 Con la caduta della Repubblica, Pagano, dopo aver imbracciato le armi che difesero strenuamente gli ultimi fortilizi della città assediati dalle truppe borboniche, venne arrestato e rinchiuso nella "fossa del coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. Venne in seguito trasferito nel carcere della Vicaria e ai primi di agosto nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un processo sbrigativo e approssimato, Pagano venne condannato a morte per impiccagione. A nulla era valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo zar Paolo I, che scrisse al re Ferdinando: "Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea; non ammazzare Mario Pagano, il più grande giurista dei nostri tempi"». Fu giustiziato in Piazza Mercato il 29 ottobre 1799, assieme ad altri repubblicani come Domenico Cirillo, Giorgio Pigliacelli e Ignazio Ciaia. Secondo Giuseppe Poerio, Pagano, salendo sul patibolo, pronunciò la seguente frase:.

«Due generazioni di vittime e di carnefici si succederanno, ma l'Italia, o signori, si farà»