martedì 12 aprile 2016

I Templari hanno mai giocato a scacchi?

di Douglas Swannie


Questa è una domanda che mi sono posto tante volte, considerato il mio duplice interesse per gli scacchi e per il templarismo.
La mia riflessione parte da un’immagine, qui riprodotta, che mostra due cavalieri Templari intenti a giocare a scacchi. È una miniatura tratta dal meraviglioso manoscritto illustrato Libro de los Juegos, commissionato dal re di Spagna Alfonso X il saggio (1221-1284) e completato nel 1283.
Tuttavia quello che mi lascia perplesso è che nel 1128 Bernardo di Clairvaux aveva proibito ai Templari di indulgere nei giochi e in particolare nel gioco degli scacchi, perché riteneva che ciò potesse distrarre i monaci guerrieri dalle Sacre Scritture e dalla contemplazione di Dio. Eppure, molti pensano addirittura che i Templari abbiano portato gli scacchi in Europa occidentale!
Questa, però, è una leggenda.
L’antenato degli scacchi, secondo l’ipotesi più accreditata (anche se non l’unica), si diffuse in India (altri dicono Cina) intorno al VI secolo: si chiamava Chaturanga o Chatrang (letteralmente “quattro divisioni”) e, secondo alcuni storici, le sue origini risalgono all’Impero Kushan (30-375 d.C.). Il più importante sviluppo si ebbe però nell’impero Sassanide Persiano, introdotto dall’India, prendendo qui il nome di shatranj con l’introduzione di nuove regole, come esclamare “Shāh!” (in persiano “Re!”), quando viene attaccato il Re nemico e da cui il moderno “Scacco!”, e il conclusivo “Shāh Māt!” (in persiano “Il Re è sconfitto o indifeso”), da cui “Scacco Matto!” (la traduzione, più diffusa, di “il Re è morto” deriva invece dall’arabo māta). Dopo l’invasione araba della Persia, il gioco si espanse in tutto il mondo islamico, noto come shaterej (da cui lo spagnolo ajedrez), e attraverso i mercanti musulmani, arrivò in Europa occidentale all’inizio del IX secolo.



Una prima rara testimonianza (vedi l’immagine qui sopra), risalente al 873 circa, è sopra il portale della chiesa di San Paolo Apostolo nella frazione di Vico Pancellorum di Bagni di Lucca, dove è raffigurata una scacchiera con accanto un cavaliere (stranamente cancellato). In seguito, molte altre chiese si adornarono del simbolo della scacchiera, come ad esempio il Duomo di Crema. Un’altra testimonianza della presenza dei scacchi ben prima dei Templari sono i 78 pezzi di scacchi di Lewis, fabbricati in Norvegia da osso di balena e osso di tricheco, e scoperti dagli archeologi nel 1831 sull’isola di Lewis (nelle Ebridi esterne scozzesi) e risalenti circa al 1100 (vedi accanto l’immagine di alcuni pezzi esposti al British Museum).



Quindi non c’è alcun dubbio che il gioco fosse ben conosciuto nel periodo dei Templari. Forse che, in barba alle proibizioni di San Bernardo, i Templari giocavano a scacchi per migliorare le loro capacità strategiche in battaglia? Probabilmente, al tempo del Libro de los Juegos di re Alfonso, era cambiato l’atteggiamento nell’Ordine Templare verso il gioco degli scacchi. Del resto, bisogna anche considerare che le regole erano ben diverse da quelle attualmente utilizzate [la Regina (il Visir dei Persiani), per esempio, era molto meno potente]. Inoltre si giocava a soldi e a strane varianti con l’uso anche dei dadi. Infatti il gioco venne proibito da San Pietro Damiani, intorno all’anno 1000, come facenti parte dei giochi “con i dadi”, ma questi entrò in conflitto con i numerosi prelati appassionati del gioco, come il vescovo di Firenze, a cui Pietro Damiani contestò che il gioco degli scacchi non era “edificante”, citando la prima lettera di San Paolo ai Corinzi (10:23): Ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa è utile; ogni cosa è lecita, ma non ogni cosa edifica.
Quello che sicuramente unisce la scacchiera ai Templari, era il loro stendardo di battaglia, il Beauceant bianco e nero: ambedue ricordano lo Yin/Yang orientale, l’eterna lotta tra Bene e Male, Spirito e Materia, Maschio e Femmina, Luce e Tenebre.
Possiamo quindi azzardare una lettura spirituale e simbolica degli scacchi?
Sicuramente sarebbe riduttivo semplificare la simbologia scacchistica alla lotta tra il Bianco ed il Nero: la complessità della sua interpretazione va ben oltre la mera alternanza dei colori, che si contrappongono sulla scacchiera.
È soprattutto l’affascinante simbologia dei singoli pezzi che va analizzato: i due giocatori si fronteggiano con 16 pezzi (il quadrato di 4!): otto pedoni, due torri, due alfieri, due cavalli, una regina ed un re, che si possono descrivere così:
Il pedone è l’umile “nessuno”, il non protagonista. Egli avanza un passo alla volta, senza mai poter indietreggiare, e si blocca facilmente di fronte agli ostacoli. La sua massima ambizione sarebbe di terminare il suo percorso d’iniziazione che lo condurrà alla trasformazione alchemica di se stesso in Regina, un ritorno al Femminino sacro universale.
La torre si muove solo sulle colonne e sulle traverse, ha quindi un solo pensiero “perpendicolare”, molto materiale e concreto. Non lo sfiora la possibilità di un pensiero diverso dal suo, e cioè la diagonale.
L’alfiere si muove solo sulle diagonali, di cui è il massimo cultore, tuttavia il gioco lo condanna per tutta la sua esistenza ad esprimersi solo sulle caselle bianche o solo su quelle nere. Egli trascorre quindi la sua vita, ignorando le implicazioni di una alternanza.
Il cavallo si muove a squadra, scavalcando amici e nemici con un sol balzo. È la massima espressione dell’anticonvenzionale e dell’immaginario. È il padrone del gioco complesso, imprevedibile, ma la sua debolezza di fondo si nota man mano che il gioco si semplifica e gli spazi si aprono.

La regina è la massima espressione materiale: si muove, per quante caselle vuole, sulle traverse, colonne o diagonali, è potente o meglio strapotente e, man mano che avanza il gioco, la sua azione diventa sempre più incontenibile. Tuttavia anch’essa ha una debolezza: è la quintessenza della Materia, che, anche al suo massimo grado di espressione, è comunque vana senza lo Spirito.
E questo ci porta al Re, l’essenza del gioco stesso. Per un amaro destino, egli è uno Spirito imprigionato da un crudele Demiurgo in un corpo materiale lento ed ingombrante, che gli permette un solo passo alla volta, sebbene in qualsiasi direzione.
Tutta la Materia, espressa dagli altri pezzi degli scacchi, si deve mettere al suo servizio per difenderlo ad oltranza. Infatti questi sono nulla, se lo Spirito muore. La loro unica fonte di esistenza è la sopravvivenza del loro Spirito dagli attacchi dei nemici.
Spesso si vedono giocatori, anche nella vita, non rendersi conto che miglioramenti materiali transitori sono nulli, quando essi trascurano la difesa ad oltranza del loro Bene supremo, lo Spirito, il quale, quando viene intrappolato senza speranza, sancisce la fine del gioco. Infatti, è da questo grave episodio che deriva il nome dell’atto finale del gioco: Scacco Matto, cioè il Re-Spirito è sconfitto..