lunedì 9 marzo 2015

La pietra, scartata dai costruttori, è diventata testata d’angolo

di Aurora Distefano




«La pietra (eben)... la stessa che “scartata dai costruttori, è diventa testata d’angolo»,  è tutto ciò che serve a costruire (banah), a ricostruire il Palazzo (Binah). Di fatto, se la fase di apprendistato è importante per conoscere gli strumenti disponibili, toccarli e indagarli al fine di essere in grado di gestirli,  successivamente si può formulare un progetto;  si iniziano a tracciare delle vere e proprie linee costruttive, attuando le connessioni tra gli elementi nelle sei direzioni dello spazio.  Questo vuol dire operare sulla dualità maschile-femminile, su alto e basso, sul piano anteriore (inconoscibile) e posteriore (conoscibile). Tuttavia,  la difficoltà dell’Arte, espressa da Michelangelo con la necessità di svestire la statua dal bozzolo di marmo,  si ritrova nel percorso costruttivo muratorio, che appare come una creazione (passatemi il termine), a ritroso;  si tratta di riunire ciò che è sparso, non di creare nel senso comune del termine per cui dal nulla emana qualcosa.  Dalla multiformità delle azioni e dall’apparente difformità della materia, si ri-forma una struttura di sostegno (albero-lettere) per accedere alla capacità creativa da cui tutto è emanato,  e risentirsi infine Uno (cfr. catena di unione come simbolo di unità).

Devir, il kodesh ha-kodeshim (santo dei santi) origina dalla radice Daber, parlare, e, pertanto, solo con la acquisizione della parola si conferma la possibilità di essere partecipi coscientemente della costruzione del Tempio, quindi della “messa in opera della conoscenza”. Ecco pertanto la necessità di strumenti quali la Livella, che permette l’allineamento sul piano di strumenti “comunicativi”, quali le Finestre che appaiono nel QdL di Compagno. La Finestra, riconducibile alla He dell’alfabeto ebraico, quinta lettera (peso semantico 5), simbolo dell’anima e dei sui cinque livelli,  è una via di comunicazione tra interno ed esterno, fra sé e la Loggia, l’Umanità, il Cosmo. Troviamo la simbologia della finestra nel Sepher ha Bahir (54):   «...un re aveva una figlia buona, piacevole, bella e perfetta. La fece maritare ad un principe reale e la vestì, coronò e ingioiellò dandole molto denaro.  È mai possibile che il re lasci sua figlia?  Concorderete che non lo è.  È mai possibile per lui essere con lei costantemente?  Concorderete altresì che non lo è.  Allora cosa può fare?  Può porre una finestra tra i due, e ogniqualvolta il padre abbia bisogno della figlia, o la figlia del padre, [i due] possono riunirsi attraverso la finestra». Parafrasi della manifestazione e della comunicazione fra ‘Hokhmah e Malkhut, la Finestra diventa quindi ora un elemento da costruire.

E sul “costruire” appuntiamo un’altra riflessione, prendendo spunto per iniziare a considerare l’edificazione delle Colonne.  Quelle evidenti, JaKiN e BoATz, e quelle meno evidenti, il pilastro centrale, e le altre, costituite dai Fratelli. Sull’evidenza del Filo a piombo, in tal senso, non si possono dire cose più interessanti di tanti che ci hanno preceduti, pertanto ci soffermiamo sull’elemento costruttivo della creazione.  Nel secondo capitolo del Genesi, nel quale si manifesta il lato amorevole di Dio (Tetragramma), si afferma letteralmente che la donna viene “costruita”. Prima di lasciar spazio alle battute, comprendiamo che “…creò maschio e femmina”(Gen. 1,27),  a propria immagine e somiglianza; da questa immagine (tzelem) completa, trasse poi il lato (tzelà) con cui costruì la femmina.  Ecco, la polarità.  Ecco, le due Colonne del Tempio,  che però nulla sarebbero senza quella linea centrale che si vede e non si vede, di cui si accennava nel precedente Lavoro,  e che, quale tendenza al bene è la via della rettificazione e della conoscenza.

Nelle cattedrali, essa è una sorta di vuoto che si protende verso l’alto per penetrarlo, nel congiungersi della volta che sale dalle navate, e allo stesso tempo, accoglie in quanto spazio colmabile.  Vediamo così delinearsi, man mano che sfioriamo i simboli per la costruzione, quelli della costruzione. La stessa “volta” merita ulteriori approfondimenti,  ma restando alle colonne, osserviamo come si parli di 620 pilastri di luce che uniscono il cielo e la terra.  Se essi possono essere figurativamente i Massoni “giusti e perfetti” 2 (non parliamo di un limite numerico, solo di un’idea) che collegano con evidenza il pavimento al cielo, notiamo che 620 è il peso semantico di Kether, la sephira più elevata, che si vede e non si vede.  Con le stesse lettere si scrive la parola Karet, che significa “separazione, venir tagliati fuori”,  il che, secondo Abulafia (kabalista medievale) avviene se si “tenta di raggiungere il livello più alto senza... essere preparati”.

Occorre perciò lavorare con costanza e attenzione, levigando le pietre,  per raggiungere ciò che è nascosto oltre la 50° porta (shaar nun, ha lo stesso peso semantico di Kether), quella della conoscenza;  ma senza dimenticare che questo edificio, che mai finisce, perché continua a essere creato,  in un certo senso va anche “demolito”, per far crollare il Velo che ricopre le apparenze. Il distruggere e ricostruire, uno degli assiomi del Lavoro,  viene simbolicamente ritrovato nella Cazzuola, strumento operativo con cui si leviga, si toglie e si mette la calcina.  Riconducibile al simbolismo alchemico dello Zolfo, questa immagine ci porta alla fenice, e alla simbologia del mito di Hiram;  ma senza andare oltre il nuovo velo raggiunto, consideriamo che con le stesse lettere di fenice (chol, Chet-vav-lamed), si scrive anche “sabbia”,  e con sabbia si può intendere la misteriosa sostanza che si forma nella ghiandola Pineale, dove si intende che avvenga l’unione maschile-femminile e il passaggio (chakra della Corona) dal mondo materiale a quello spirituale. Dello stesso peso semantico, quindi nascosta in questa simbologia, è la parola Dam, sangue. Ricordiamo il tributo di sangue (non versato) della prima iniziazione?  Ecco un altro modo di leggervi una morte e una rinascita, una distruzione e ricostruzione di quell’edificio che aneliamo a comprendere,  di quel Tempio che è, non dimentichiamolo mai, l’uomo stesso:  testimone dell’Opera, Operaio che costruisce, è egli stesso sempre il primo strumento da indagare, ed il palazzo stesso ove, oltre l’ultimo velo, è celato il segreto..