martedì 23 aprile 2019

Pietro Gori. Anarchico, ribelle, massone. Successo a Piombino per il convegno del Rito di York

Tiziano Busca con Mauro Cascio

Grande successo alla sala consiliare di Piombino per la conferenza, patrocinata dal Comune, dedicata a Pietro Gori. Anarchico, ribelle, massone. Valerio Gherardini ha ricordato con una dotta introduzione il valore della storia e della memoria. La storia è più o meno ancora oggi maestra di vita, e i valori, maturati lungo il corso dell'esperienza dell'uomo, sono ancora qui a segnare e disegnare i nostri orizzonti e il nostro destino. Gori fu un idealista in senso pieno e vero, abitava cioè i suoi ideali e ne faceva concretamente azione politica. Per questo fu "ammanettato al par dei malfattori" come canta in Addio a Lugano. Lo storico Mauro Carrara ne ha ripercorso la biografia, anche ricordando la sua iniziazione in Argentina, presso la Rispettabile Loggia Rivadavia, i suoi studi, la sua militanza in Italia e all'estero, sempre con questa bruciante passione. Il filosofo Mauro Cascio ne ha inquadrato il pensiero, a partire da opere quali Le basi morali dell'anarchia e Il vostro ordine e il nostro disordine, nel contesto della cultura massonica continentale (Lessing, Fichte, Voltaire). Così stretta che un solo verso basta a spiegare la comunione ideale tra il pensiero anarchico e quello massonico: «Nostra patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà e un pensiero ribelle in cuor ci sta».
Al centro delle riflessioni, chiuse e coordinate da Tiziano Busca, anche il ruolo dell'economia predatoria della dignità umana. Un tema che il Rito di York ha negli anni avuto a cuore, ricordiamo su tutti gli incontri con Giancarlo Elia Valori e con Diego Fusaro. Gori la chiama 'antropofagia economica'. «Con la rivoluzione politica, che abolì i privilegi feudali, lasciando solo il denaro dominatore del mondo – la classe vittoriosa nella lotta, giacché si era accaparrata tutte le risorse della vita dal capitale alle ricchezze naturali, trovò che bastava la semplice dipendenza economica dei lavoratori, per farne degli strumenti docili e delle macchine di produzione così feconde di ricchezza per la classe parassitaria, come produttrici di miseria per se medesime».

Addio a Lugano