venerdì 23 gennaio 2015

I Tefillin e l'uso delle parole

di Elia Richetti



Insieme alla prescrizione di ricordare ogni anno l’uscita dall’Egitto e di insegnarne il valore alle generazioni future, la Torà ci impone che ciò sia “come segno sulla tua mano e per memoria fra i tuoi occhi, affinché l’insegnamento del Signore sia nella tua bocca”. È l’istituzione del precetto dei Tefillìn, che leghiamo appunto al braccio e alla fronte. Come sappiamo, nella concezione ebraica qualunque concetto astratto è privo di valore se non ha una corrispondenza pratica: l’idea non vale nulla se non è applicata in un’azione concreta, e l’azione senza un’idea dietro è sterile. Ma un’altra considerazione ci è suggerita dal versetto che abbiamo citato. Se osserviamo attentamente i termini, ritroviamo nominate tre distinte parti del corpo: la mano, gli occhi e la bocca. Ora, se i primi due sono direttamente in relazione con i Tefillìn, non vediamo che cosa c’entri la bocca. Una possibile spiegazione si può trovare interpretando in maniera più lata: oltre all’idea e alla pratica (rispettivamente rappresentati da testa e braccio), un altro elemento deve entrare in gioco: la parola; per questo la Torà avverte “le-mà‘an tihyè Toràth Ha-Shèm be-fìkha”, “affinché l’insegnamento del Signore sia nella tua bocca”, e non nel tuo cuore o nel tuo cervello. Si tratta qui di testimoniare anche con le parole gli effetti della liberazione dall’Egitto: con la Tefillà, ovviamente, ma anche evitando la maldicenza nei confronti di chi magari la pensa differentemente da noi, non avendo timore di affermare il punto di vista dell’Ebraismo su questioni etiche e pratiche, non svilendo. Come ogni giorno mettiamo i Tefillìn, ogni giorno dovremo essere pronti a dichiarare, manifestare e glorificare l’Ebraismo attuandone i valori anche attraverso l’uso che faremo della nostra bocca.

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