di Jacopo Mordenti
L'assedio di Gerusalemme
Nato per assistere i pellegrini in Terrasanta, l'Ordine monastico–militare dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme ha attraversato, non senza profondi mutamenti, oltre nove secoli di storia.
È il 26 giugno 1522. Nelle acque di Rodi sopraggiunge una flotta di proporzioni epiche: i resoconti più iperbolici parlano di oltre 150 imbarcazioni che si apprestano a sbarcare un esercito di 200 mila uomini. Arroccati al riparo delle fortificazioni della città, appena 2 mila soldati si preparano a sostenere un assedio che si prospetta evidentemente impari. Ad attaccare in massa l'isola delle rose sono gli ottomani di Solimano il Magnifico, deciso a fare dell'Egeo un mare turco; a difenderla, prima ancora di mercenari e soldati rodioti, sono poche centinaia di cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.
L'origine dell'Ospedale
Per individuare la complessa origine dell’Ordine è necessario abbandonare la Rodi del primo Cinquecento e rifarsi piuttosto alla Gerusalemme dell’XI secolo, qualche buon decennio prima che essa venga espugnata dall'esercito cristiano nell'ambito della cosiddetta prima crociata (1095 – 1099). È infatti intorno alla metà del secolo che alcuni esponenti della comunità mercantile amalfitana, ben radicata in città, creano un primo ospedale nei pressi del Santo Sepolcro, avviando più o meno contestualmente lo sviluppo di quello che sarebbe diventato il complesso di Santa Maria Latina. Affidato a una comunità di monaci cluniacensi, di lì a qualche anno tale complesso viene a sua volta dotato di un ospedale – il secondo – la cui gestione finisce per essere delegata a una comunità di laici devoti guidati da un uomo di probabili origini amalfitane, Gerardo detto l'Ospedaliero; la struttura – è opportuno notarlo – ospita una cappella intitolata a San Giovanni Elemosiniere.
Il quadro viene scompaginato dalla conquista di Gerusalemme ad opera dei crociati, nel 1099: in un momento imprecisato fra questo frangente e il 1113 – allorquando papa Pasquale II, con la bolla Pie Postulatio Voluntatis, rende l'Ospedale un Ordine internazionale e lo pone sotto la propria protezione – Gerardo istituisce un nuovo ospedale – il terzo – e acquisisce la vicina chiesa intitolata a San Giovanni Battista. Sono anni di profonde trasformazioni per la sua comunità, che rompe con i cluniacensi di Santa Maria Latina per avvicinarsi piuttosto ai canonici secolari del Santo Sepolcro. La regola monastica benedettina, impiegata dalla comunità per scandire la propria quotidianità, viene sostituita da quella agostiniana; allo stesso tempo, non senza una certa lungimiranza, al patrocinio di San Giovanni Elemosiniere si preferisce quello ben più prestigioso di San Giovanni Battista. L'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni può dirsi nato.
O forse no, non del tutto: pure istituzionalizzato, in origine l'Ospedale risulta privo di quell'esplicito carattere militare per il quale passerà alla storia. Nei suoi primi anni di vita l'Ordine deve limitarsi ad assistere – e al più, forse, a scortare – i pellegrini che giungono via via più numerosi a Gerusalemme; la sua militarizzazione avviene a conti fatti solo qualche decennio dopo, probabilmente sulla scia di quel Concilio di Troyes del 1129 che segna l'incipit della fortuna di un altro Ordine monastico–militare, quello dei templari. È vero che già fra il 1128 e il 1142 l'Ospedale entra in possesso di tre presidi strategici quali i castelli di Qalansawe, di Bethgibelin e del Krak, così come è vero che fra il 1164 e il 1169 partecipa alle campagne egiziane del re di Gerusalemme Amalrico I (1136 – 1174); ciò non toglie, tuttavia, come per trovare esplicitamente attestati cavalieri e sergenti ospedalieri sia necessario rifarsi agli statuti compilati nel 1182 durante il magistero di Roger des Moulins, mentre per una prima descrizione delle strutture militari sia necessario attendere gli statuti di Margat del 1203 – 1206.
A ogni modo, complici le cospicue donazioni liquide, immobiliari e fondiarie da parte di istituzioni secolari quanto di singole persone delle più diverse estrazioni, nel corso del XII secolo l’Ospedale cresce in numero di membri, in ricchezza, in potere, tanto nell’Oriente Latino quanto in Occidente. Monaci e – alla lunga – cavalieri, gli ospedalieri impiegano la ricchezza generata dai propri possedimenti europei per sostenere il proprio puntuale impegno assistenziale e militare in Terrasanta e, di lì a breve, lungo il fronte della Reconquista spagnola. Protagonisti indiscussi delle travagliate vicende che, fra XII e XIII secolo, vedono sgretolarsi uno dopo l’altro i cosiddetti Stati Crociati, i cavalieri dell’Ospedale prendono parte a tutte le principali battaglie e campagne che insanguinano la Terrasanta. L’ultima, drammatica battaglia del frangente è quella di Acri del 1291: la perdita della città – dove l’Ordine aveva trasferito il proprio quartier generale fin da quando Saladino aveva espugnato Gerusalemme nel 1187 – segna la fine di fatto dell’Oriente Latino, e vede l’Ospedale riparare a Cipro.
La Rodi giovannita
Privato dei suoi possedimenti in Terrasanta e a corto di uomini, a cavallo fra Due e Trecento l’Ordine vive una stagione cruciale. Naufragati i tentativi di muovere subito, su larga scala, contro l’Egitto o la Siria, nei primi anni del loro soggiorno a Limassol gli ospedalieri impiegano le proprie galere per difendere Cipro e la Piccola Armenia, così come per colpire occasionalmente le coste nemiche. È l’elezione a maestro di Foulques di Villaret, nel 1305, a segnare una svolta: convinto sostenitore dell’opportunità di un passaggio particolare - vale a dire di una campagna militare di portata ridotta, ma funzionale a creare nel breve termine le condizioni logistiche per una nuova crociata, o passaggio generale - Villaret intravede nell’isola di Rodi la possibile soluzione ai problemi che l’Ordine si trova ad affrontare tanto all’esterno quanto all’interno di esso.
Siglato un accordo di spartizione con il pirata genovese Vignolo di Vignolo, gli ospedalieri avviano la conquista di Rodi e del Dodecaneso nel 1306. L’operazione si rivela dispendiosa e richiede non meno di quattro anni, e tuttavia è lungimirante: quello che l’Ordine ha modo di realizzare sull’isola è un principato ecclesiastico indipendente. Uno storiografo contemporaneo come il Templare di Tiro è lucidissimo in merito salto di qualità operato nel frangente dagli ospedalieri, i quali vivono in questo luogo in grande libertà e franchezza e in loro autonoma signoria, senza essere soggetti ad altra signoria.
È in effetti opportuno notare come questi siano gli stessi anni in cui si consumano i processi ai templari, e in cui - più in generale - gli ordini monastico-militari perdono parte della benevolenza che l’Occidente aveva in passato riservato loro. Non è un caso che lo stesso Clemente V - il primo, in questo senso, di una serie di pontefici - avvii di lì a breve delle inchieste sulle rendite e sulla condotta dell’Ordine.
Ordine che, peraltro, anche al suo interno è percorso da intense fibrillazioni. La comunità dei fratelli, sempre più nitidamente articolata nelle diverse nazionalità dei propri membri - le cosiddette lingue: inizialmente cinque, a lungo sette, infine otto - arriva a contestare l’autoritarismo di Villaret, che nel 1319 è costretto alle dimissioni e sostituito da Hèlion de Villeneuve.
La scelta di Rodi, beninteso, non è in discussione: collocata sull’asse commerciale fra Mar Nero ed’Egitto, fra Tre e Quattrocento l’isola è oggetto da parte dell’Ospedale di interventi di ampia portata. In termini urbanistici la città viene fortificata e distinta in Borgo e Collachion: il primo è destinato agli isolani e ai commercianti latini e ebrei, il secondo è riservato agli ospedalieri. Fin da subito è inoltre attuata un’efficace politica di ripopolamento dell’isola.
Forte di un’autonoma base operativa, l’Ospedale persevera indefessamente nel muovere guerra all’infedele, guerra che pure non ha più i connotati di una crociata di largo respiro, ma piuttosto quelli di una guerriglia navale atta a sfiancare vecchi e nuovi nemici musulmani: i già ricordati mamelucchi d’Egitto da una parte, i beilicati turchi della costa anatolica dall’altra.
Non stupisce come gli ospedalieri si trovino alla bisogna a operare in squadra: ad esempio nel 1344 risultano fra gli alfieri della lega navale che conquista il porto di Smirne, prontamente affidato all’Ordine. Stupisce ancora meno come la vittoria non arrida sempre loro: nel 1378 lo stesso maestro giovannita, Juan Fernàndez de Heredia, viene catturato nel corso di un attacco ad Arta, nell’Epiro; al di là del pagamento di un ingente riscatto, l’Ordine decide di rinunciare a quella strategia di presidio in Grecia che appena un anno prima lo aveva indotto a affittare per cinque anni, da Giovanna di Napoli, il principato di Acaia.
È la vicenda di Tamerlano, fra Tre e Quattrocento, a rappresentare per certi versi una nuova cesura. Sconfitti dai mongoli a Smirne, nel 1402, i fratelli allestiscono una nuova testa di ponte in Anatolia sul sito dell’antica Alicarnasso, dove costruiscono il castello di San Pietro, l’odierna Bodrum; soprattutto, guadagnano nei fatti una lunga tregua con la potenza ottomana, che impiegherà decenni per tornare a farsi minacciosa. Al contempo gli ospedalieri siglano con i mamelucchi d’Egitto una pace che consente loro, a partire dal 1403, di godere di una propria rappresentanza a Damietta, a Ramla, a Gerusalemme: l’intesa si romperà solo oltre vent’anni più tardi, quando i mamelucchi tenteranno inutilmente di invadere Cipro nel 1426, poi la stessa Rodi nel 1440.
Conquistata Costantinopoli nel 1453, gli ottomani di Mehmed II premono su Rodi, chiedendo all’Ordine di sottomettersi e accordare un tributo. L’Ordine rifiuta: saccheggiata fra il 1455 e il 1456, l’isola vive una stagione drammatica che nel dicembre del 1479 culmina in un primo assedio della città. Complici le ingenti perdite subite e la resistenza dei fratelli, gli ottomani si ritirano nell’agosto del 1480; Rodi, gravemente danneggiata, è ulteriormente provata l’anno successivo da un violento terremoto, e quindi ricostruita.
Alla morte di Mehmed nel 1481 si scatena una lotta per il potere tra i suoi figli, Bajazet e Djem: la pressione turca sull’Ospedale - che arriva a trattenere in custodia lo sconfitto Djem - ne risulta allentata. L’equilibrio raggiunto nei fatti viene tuttavia meno a causa del supporto militare che l’Ordine, su indicazione di papa Alessandro VI, si trova a dover dare a Venezia, che entra in conflitto con gli ottomani tra il 1501 e il 1503. All’orizzonte si direbbe profilarsi una nuova stagione all’insegna della mezzaluna: tra il 1516 e il 1517 la Sublime Porta ha la meglio sui persiani safavidi e sui mamelucchi, mentre quattro anni più tardi espugna Belgrado. Rodi è più che mai isolata.
Si arriva al 26 giugno 1522. Salito al potere alla morte del padre Bajazet II, due anni prima, il nuovo sultano ottomano, Solimano, sferra un violento attacco contro l’Ordine.
Avvicinandosi da nord-est, i turchi rimangono impressionati dalle difese di Rodi: la città, circondata da una doppia cerchia di mura, sul versante marittimo dispone di bastioni a picco sul mare, mentre su quello terrestre può contare su un profondo fossato. Il porto è difeso da tre torri; le bocche da fuoco sono ovunque. Philippe de Villiers de l’Isle-Adam, il maestro dell’Ordine, pur con poche migliaia di soldati a disposizione riesce ad approntare una difesa eccezionale, in grado di respingere i ripetuti attacchi degli ottomani e tenere testa al bombardamento della loro artiglieria.
Ancora in stallo sotto le mura di Rodi, a fine agosto l’esercito ottomano viene raggiunto dal sultano in persona. Gli attacchi riprendono con maggiore intensità, ma inutilmente: Solimano conta decine di migliaia di morti. È ottobre quando i nervi del fronte giovannita cominciano a cedere: un servo del Cancelliere André d’Amaral, notoriamente ostile a l’Isle-Adam, viene catturato con un dispaccio segreto che invita i turchi a rinnovare l’attacco. Un processo sommario porta il Cancelliere ad essere giustiziato, ma è pacifico come la cosa non risolva alcunché.
Il 17 dicembre viene sferrato l’attacco che spezza definitivamente la resistenza dell’Ordine: è la milizia rodiota a chiedere al maestro trattare la resa. Solimano accetta le condizioni di l’Isle-Adam: la città e la popolazione saranno risparmiate, le chiese non saranno abbattute, ai fratelli verrà concesso l’onore delle armi e il diritto di portare con loro quanto possiedono; i rodioti che lo vorranno potranno salpare con loro.
L’Ordine a Malta
Il 2 gennaio 1523, seguito da alcune migliaia di rodioti, l’Ordine lascia l’isola alla volta di Creta, disponendo contestualmente lo smantellamento delle guarnigioni presso il castello di San Pietro e l’isola di Langò. Da Creta gli ospedalieri raggiungono Messina, quindi Civitavecchia; l’anno successivo papa Clemente VII concede loro l’usufrutto di Viterbo. Si tratta di una sistemazione transitoria, giacché – complice la peste e il sacco di Roma del 1527 – si ritiene opportuno individuare una nuova sede per il Convento, trasferito in via ancora una volta provvisoria a Nizza. Fra le numerose ipotesi vagliate – fra cui, in Italia, l’Isola d’Elba, Ponza, Ischia – l’unica percorribile risulta essere quella di Malta, in merito alla quale già nel 1523 erano state avviate delle trattative con Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Spagna. Al di fuori delle principali rotte mediterranee, l’isola non è particolarmente ben vista dai fratelli: un’ispezione preliminare ne denuncia l’aridità e la scarsa difendibilità; se si aggiungono alcune condizioni avanzate da Carlo V – su tutte quella, poi caduta, che avrebbe voluto il giuramento di fedeltà dell’Ordine alla corona spagnola – si capisce bene come le trattative si trascinino fino al 1530, allorquando con la bolla di Carlo V del 24 marzo l’Ospedale riceve in feudo perpetuo, nobile e franco l’isola di Malta, l’isola di Gozo e il castello di Tripoli.
I giovanniti prendono possesso di quanto accordato nell’autunno dello stesso anno; a Malta, stante l’inadeguatezza dell’unica città dell’isola, Mdina, collocano il Convento sulla costa nord–orientale, presso il Forte Sant’Angelo. Le incursioni sul mare riprendono speditamente: la guerra di corsa, del resto, aiuta a rimpinguare l’esausto Tesoro dell’Ordine. Beninteso gli sforzi dei fratelli a Malta non si esauriscono in questo: nei venti anni successivi le imbarcazioni giovannite ingrossano le flotte di quelle composite leghe cristiane che, con alterni risultati, si susseguono nel tentativo di arginare la potenza turca nel Mediterraneo. Esposte alla controffensiva ottomana, le guarnigioni dell’Ordine sono peraltro occasionalmente sopraffatte: nel 1551 quella dell’infelice avamposto di Tripoli si trova costretta a negoziare la resa.
Nei primi anni Sessanta, mentre le imbarcazioni giovannite battono le acque dell’Egeo e del Nord Africa, la pressione ottomana su Malta si fa palpabile: il maestro dell’Ordine Jean de La Vallette, un veterano dell’assedio di Rodi, nell’impossibilità di trasferire il Convento altrove predispone quanto necessario per affrontare un attacco che sospetta prossimo. Il sospetto è fondato: Solimano scaglia la propria armata contro Malta nel maggio del 1565, impegnandola in un oneroso assedio di quattro mesi che si rivelerà inconcludente. Le poche migliaia di soldati di La Vallette – fra cui meno di cinquecento fratelli dell’Ordine – riescono nell’intento di sfiancare le quasi quarantamila unità del sultano, fino a che i turchi superstiti non si vedono costretti, in settembre, a tornare a fare vela verso Costantinopoli.
All’indomani dell’assedio La Vallette concepisce la costruzione di una città fortificata sulla penisola maltese di Sciberras: ne nascerà la città nota oggi, non a caso, come La Valletta. Il maestro pone la prima pietra nel 1566, ma lo sviluppo della città – finanziato con i proventi della guerra di corsa, tanto più all’indomani della Riforma luterana e dello scisma anglicano che tolgono all’Ordine importanti capitoli di entrata – potrà dirsi concluso solo un secolo dopo. Una politica urbanistica di tali proporzioni non preclude però ai fratelli il proseguimento del proprio impegno militare contro i turchi, tanto più nell’ambito di nuove leghe: fra Cinque e Seicento i legni giovanniti si distinguono nella battaglia di Lepanto (1571) e in quella dei Dardanelli (1656), nonché nelle numerose operazioni navali che portano la controffensiva cristiana scaturita dalla battaglia di Vienna (1683) a conseguire la definitiva sconfitta turca con la battaglia di Zenta (1697).
Coinvolto nella Rivoluzione – durante la quale sostiene la monarchia e i moti controrivoluzionari – sullo scorcio del Settecento l’Ordine viene privato dalle nazionalizzazioni francesi di ulteriori, importanti introiti, finendo in breve per indebitarsi considerevolmente. Nella primavera del 1798, lungo il viaggio che lo porterà in Egitto, il generale Bonaparte occupa Malta: il 12 giugno, dopo aver offerto una resistenza approssimativa, il maestro Ferdinand von Hompesch zu Bolheim firma la capitolazione, a cui fa seguito la confisca dei beni dell’Ordine e l’espulsione dall’isola dei fratelli.
Malta non verrà più recuperata: strappata dalla Royal Navy ai francesi, ne verrà sancito il possesso inglese con il Trattato di Parigi del 1814. L’Ordine troverà asilo a Roma: esiste a tutt’oggi – stante la conversione ad attività assistenziali e umanitarie – quale entità sovrana, con il nome di Sovrano Militare Ordine di Malta.
I membri dell’Ospedale
L’Ordine, nel quale – previo pronunciamento dei voti di povertà, castità e obbedienza – si accettavano perlopiù uomini adulti, già addestrati e equipaggiati, si articolava in cavalieri e sergenti: a partire dal secondo Duecento fu sempre più l’estrazione sociale dei postulanti – che tendevano a provenire non dalla alta, bensì dalla media e bassa aristocrazia, soprattutto francese – a qualificare tale distinzione. Dotato di propri cappellani, all’esterno l’Ospedale si serviva tanto di mercenari – come turcopoli, balestrieri, ecc. ecc. – quanto di burocrati e inservienti, il tutto senza ovviamente prescindere dal possesso di schiavi. Un’attenzione particolare era rivolta all’ingaggio di medici, chirurghi, salassatori: del resto, nell’ambito della cerimonia di consegna dell’abito dell’Ordine, il postulante doveva dichiararsi “servo e schiavo dei signori malati”.
La gerarchia dell’Ospedale
Al vertice dell’Ordine si trovava il Maestro, eletto da un collegio elettorale i cui meccanismi di formazione cambiarono più volte nel tempo. La discrezionalità del Maestro era ampia, ma incontrava un limite negli usi della comunità dei fratelli, il cosiddetto Convento: questo trovava rappresentanza nel Capitolo, un consesso che – pure di composizione varia e periodicità irregolare – si pronunciava in fatto di politica, guerra, legislazione interna; mossero ad esempio da esso quegli Statuti che, combinati alla Regola e alle usanze, fin dal XII secolo costituirono il regolamento fattuale dell’Ordine. Al di sotto del Maestro vanno ricordati fra gli altri il Commendatore, con compiti amministrativi, e il Maresciallo, con compiti militari: a quest’ultimo era peraltro subordinato fra l’Ammiraglio, una delle ultime cariche ad essere istituite: è attestata per la prima volta nel 1299.
I colori dell'Ospedale
Così come gli altri ordini monastico–militari, anche l'Ospedale ha con il tempo messo a punto per il proprio vestiario – che si pretendeva sobrio – alcune specifiche combinazioni di colori e simboli, così da permettere ai suoi membri di distinguersi sia nella quotidianità sia – soprattutto – nel campo di battaglia. Inizialmente quelle degli ospedalieri erano delle vesti monastiche nere che, in battaglia, venivano indossate sopra l'armatura: le lamentele sulle difficoltà di movimento indotte da tale prassi vennero accolte dal papato solo nel 1248, allorquando Innocenzo IV consentì all'Ordine di adottare alla bisogna delle “ampie sopravvesti, recanti sul petto il simbolo della croce”; tale croce, di colore bianco, già da qualche buon decennio doveva peraltro aver assunto la tipica forma a otto punte richiamante le otto beatitudini del Vangelo.
È pacifico come tale vestiario andò evolvendosi sia nella forma che nel colore. Nella seconda metà del Duecento, ad esempio, l'abito da battaglia dell'Ospedale – che a differenza di altri ordini non distingueva fra cavalieri e sergenti – mantenne la croce bianca ma sostituì al nero il rosso. E ancora: fra Tre e Quattrocento l'abito quotidiano vide la veste nera accorciarsi progressivamente fino a non raggiungere le ginocchia, senza peraltro disdegnare qualche dettaglio pregiato.
Il patrimonio del Tempio
Non c’è alcuna ragione di ritenere che l’Ospedale abbia avuto un qualche ruolo nei processi per eresia che nel 1312 portarono alla soppressione del Tempio. Pure occasionalmente in disaccordo in ambito politico, i due ordini condividevano il medesimo sforzo: non è un caso se, in ragione di una percezione spesso distorta delle loro responsabilità in Terrasanta, l’Occidente del tardo Duecento abbia più volte vagheggiato di fondere ospedalieri e templari in un unico ordine. Se è vero che, con la bolla Ad Providam Christi Vicarii del 1312, l’ingente patrimonio del Tempio viene assegnato all’Ospedale, è anche vero che quest’ultimo impiegherà decenni, e cifre da capogiro, per prenderne pieno possesso. Esemplare in questo senso il caso della Francia, dove il solo Filippo il Bello pretenderà 200 mila lire tornesi quali spese di gestione, nonché quello della Scozia, dove il recupero dei beni si trascinerà fino al 1354.
La decollazione di san Giovanni Battista del Caravaggio alla concattedrale di Malta
Caravaggio a Malta
Fra le personalità storicamente più note prossime all'Ordine di Malta va probabilmente ricordata quella di Michelangelo Merisi (1571 – 1610), indicato più frequentemente come Caravaggio. Questi, ricercato in Italia con l'accusa di omicidio, nel 1607 ripara a Malta, accolto dal gran maestro dell'Ordine Alof de Wignacourt. In virtù della protezione accordatagli – nell'ambito della quale, un anno più tardi, viene insignito del titolo di cavaliere di grazia, che non prevede origini nobili e professione dei voti – Caravaggio impiega il suo soggiorno maltese per realizzare alcune delle sue più grandi opere, come il San Gerolamo e la Decollazione di San Giovanni Battista, oltre che un ritratto dello stesso Wignacourt. Di lì a breve, tuttavia, rimane coinvolto in uno scontro con un altro cavaliere dell’Ordine, che ferisce gravemente: viene allora privato dell’abito e tradotto in carcere. La sua evasione, sullo scorcio del 1608, è romanzesca: Caravaggio viene probabilmente aiutato a fuggire dagli uomini dello stesso maestro – che pubblicamente non può accordargli il perdono – e condotto segretamente a Siracusa; da lì proseguirà per Messina, Palermo e infine Porto Ercole, dove la sua travagliata vicenda troverà una drammatica conclusione.
Cronologia
1113. Papa Pasquale II emana la bolla Pie Postulatio Voluntatis, che formalizza l’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.
1306–1310. Perduta la Terrasanta, dopo una breve parentesi cipriota l’Ordine conquista l’isola di Rodi, dove crea un principato ecclesiastico indipendente.
1522. Dopo un assedio durato mesi, l’Ordine si vede costretto a trattare la resa con gli ottomani di Solimano il Magnifico, e lascia Rodi.
1565. Insediatosi a Malta nel 1530, l’Ordine deve affrontare un nuovo assedio ottomano: dalla vittoria dei fratelli nascerà La Valletta.
1798. Sullo scorcio della Rivoluzione Francese il generale Bonaparte, diretto in Egitto, conquista Malta e esilia l’Ordine.
La marina giovannita
Pure contenuta per numero di legni, la flotta di cui dispose l’Ospedale fra medioevo e età moderna si distinse per efficacia e innovazione. A partire dal Quattrocento, peraltro, non fu infrequente che un fratello venisse autorizzato dal maestro ad armare o rifornire un’imbarcazione a proprie spese.
La più piccola imbarcazione giovannita era la galeotta, eccellente per le razzie. La galera era più grande, ma pur sempre rapida: temibile negli scontri, tanto più quando lavorava in squadra, fu a lungo l’imbarcazione preferita dall’Ordine. La caracca era imponente: veniva perlopiù impiegata in appoggio a due o più galere. Il vascello di grande tonnellaggio venne adottato solo nel primo Settecento, per fronteggiare in squadra le flotte piratesche dell’Africa settentrionale.
Fra le imbarcazioni giovannite spicca la Sant’Anna, una caracca eccezionale messa in cantiere a Nizza nel 1522 e varata due anni più tardi. Dotata della prima chiglia rivestita in piombo nota in Europa, disponeva di un dislocamento di 3 mila tonnellate, quattro alberi, due ponti di cannoni, 50 bocche da fuoco grandi più numerose altre più piccole, un’armeria per 600 fra cavalieri e soldati, ecc. ecc. Disarmata già nel 1540 a causa dei proibitivi costi di manutenzione, venne demolita nel 1548.
In termini militari era il castello di prua a rappresentare il fulcro della difesa e dell’attacco di una galera. In linea con il pragmatismo dell’Ordine – relativamente precoce nel dotarsi di armi da fuoco, attestate già sullo scorcio del Trecento – le galere vennero quanto prima dotate di cannoni. I mangani occasionalmente attestati a bordo venivano soltanto trasportati per essere impiegati a terra: l’immagine del lancio di pietre nel corso di una battaglia navale è probabilmente da rigettare.
Gli equipaggi delle galere dell’ordine erano costituiti da marinai della più diversa provenienza: assodato come alla fine del Quattrocento due terzi dei vogatori fossero schiavi, va notato come fra i volontari – i cosiddetti buonavoglia – ci fossero molti maltesi già prima che l’ordine si trasferisse sull’isola. Si può ipotizzare come, in funzione militare, una galera giovannita potesse ospitare a bordo fra i 40 e i 60 armati.
Agli ordini dell’Ammiraglio la gerarchia dell’Ordine poneva il Luogotenente e, per il comando operativo delle unità in navigazione, il Capitano delle Galere (poi Capitano Generale delle Galere o semplicemente Generale). Ancora nel Settecento la marina giovannita era considerata fra le migliori d’Europa: non è un caso che non meno di 65 fratelli figurino fra gli ufficiali superiori della flotta francese pre–rivoluzionaria.
Questo articolo è tratto da Storica National Geographic n. 96 del febbraio 2017, e appare qui per gentile concessione dell’editore e dell’autore.