venerdì 29 settembre 2017

Stefano Bisi a Radio Radicale: «Si vuole criminalizzare un'associazione intera»



Le ultime dichiarazioni di Rosi Bindi su condannati per 416 bis e massoneria hanno suscitato tante polemiche. Le iniziative della Commissione Antimafia hanno avuto infatti ritorni dal sapore antidemocratico e persecutorio. Un grave attentato alla libertà, a partire dalla folle 'notte della democrazia' di qualche mese fa. Michele Lembo su Radio Radicale fa di nuovo il punto sulla situazione con Stefano Bisi, gran Maestro del Grande Oriente d'Italia.

Ascolta l'intervista

giovedì 28 settembre 2017

L'apocalisse spiegata dalla Cabalà. Nadav Crivelli torna in Italia


Nadav Crivelli

La simbologia e gli intensi messaggi esoterici contenute nel libro della Apocalisse, non potrebbero mai trovare espressione e compimento senza il confronto e l'accettazione della sapienza cabalistica. In una straordinaria giornata di studio a Bolzano con Nadav Criveli, si apriranno i numeri e i messaggi, i colori e i suoni, che l'Apocalisse anticipa. L'appuntamento è per il prossimo 22 ottobre. Per informazioni 349 0878982

Platone e l'esoterismo



L’opera di Platone, che ha sempre avuto un ruolo centrale tra i cultori dell’esoterismo occidentale, ha recente richiamato l’attenzione della scuola di Tubinga-Milano per le cosiddette “dottrine non scritte”, cui si attribuisce una natura esoterica. Tuttavia non sempre si ha piena consapevolezza di cosa sia stato storicamente l’esoterismo. In questo saggio, dopo una presentazione di tale tema alla luce delle più aggiornate ricerche, si analizza in che senso esso possa essere proprio di Platone. Si sostiene che non è possibile intendere l’esoterismo platonico come una sorta dottrina protologica dei primi principi, bensì si deve parlare di una via simbolico-anagogica che di fatto recupera l’esperienza misterica della religione tradizionale, che viene inquadrata e regimentata all’interno di un discorso filosofico. Per cui si conclude infine che Platone risulta centrale nella cultura europea perché ha congiunto insieme tre fondamentali suoi aspetti: la dimensione dialettico-argomentativa, con ciò fondando il canone occidentale della filosofia; l’aspetto allegorico-narrativo, dando espressione nel racconto del mito alla dimensione popolare della religiosità; infine quello esoterico-iniziatico, depositato nell’insegnamento orale delle dottrine non scritte e che è tipico della gnosi e che punta alla elevazione spirituale e alla contemplazione del Vero nella sua dimensione di ineffabilità.

Francesco Coniglione, l'autore di questa nuova proposta Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno, è ordinario di Storia della Filosofia all'Università di Catania ed è presidente della Società Filosofica Italiana.

martedì 26 settembre 2017

La notte della democrazia. La Bindi su Rai 3 insiste. Il GM Stefano Bisi: «Un pericoloso clima di caccia alle streghe». Subito iniziative legali



La presidente Rosy Bindi ci dica i nomi, dica chiaramente a quale Obbedienza o a quali Obbedienze si riferisce quando parla genericamente dell'esistenza di alcuni condannati al 416 bis negli elenchi di massoni sequestrati. Noi vogliamo e pretendiamo, in questo preoccupante clima politico preelettorale di tutti contro tutti, che si faccia chiarezza nella massima trasparenza. Siamo stufi di strumentalizzazioni e di subire attacchi immotivati.
Si faccia chiarezza, quindi, e si precisi anche quando temporalmente gli eventuali nomi di cui la presidente parla e che sarebbero negli elenchi sequestrati a tutti sono stati affiliati. Affermo questo perché ci possono essere dei clamorosi casi di omonimia e anche di persone che sono state espulse e che non hanno più rapporti con la Massoneria ufficiale. La stessa cosa e' avvenuta ed avviene per quanto riguarda partiti politici ed altre associazioni. Anche lì ci sono stati condannati e indagati.
Non si possono lanciare proclami generici attraverso la TV di Stato e i media al termine di un'inchiesta violenta, aggressiva e discriminatoria, quella della Commissione Antimafia, che è stata portata avanti, a nostro giudizio, con palese violazione di leggi.
L'alto ruolo e la responsabilità che ricopre la presidente Bindi e le numerose situazioni giudiziarie che nel passato e nel presente hanno visti assolti da pesanti accuse, personaggi di spicco, dovrebbero indurre alla prudenza e soprattutto alla massima chiarezza nel parlare di un'indagine così delicata e che mette in gioco l'immagine e la vita di persone.
Vogliamo ricordare che qualche mese fa il capo della Procura di Catanzaro, Nicola Gratteri, in dichiarazioni rilasciate agli organi di stampa, aveva esplicitamente detto che le indagini non riguardavano le logge regolari e le sue parole testuali erano state queste: "stiamo parlando della Massoneria deviata, cioè di quelle logge massoniche non riconosciute da Palazzo Giustiniani". Intervistato in studio il procuratore ha ribadito il ruolo della massoneria deviata. Rassicuriamo, inoltre, il dottor Gratteri sulla richiesta dei certificati penali che viene fatta ad ogni aspirante massone.
E sulla questione era intervenuto pure il Procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti parlando di "Massoneria occulta, deviata, ben diversa da quella ufficiale".
Alla luce di quanto emerso dalla trasmissione Rai "Presa Diretta" e delle dichiarazioni della presidente Bindi che ha parlato di riscontri di massoni appartenenti anche alle logge regolari
il Grande Oriente d'Italia si oppone e denuncia il pericoloso clima di caccia alle streghe che mina fortemente la libertà di associazione, la stessa democrazia, e mette in pericolo i suoi associati e da subito avvierà le opportune tutele legali a salvaguardia dell'immagine dell'Ordine e dei fratelli.

In Italia abbiamo la Bindi. Ma all'estero nasce la cattedra di Libero Pensiero



Il 20 settembre scorso la Preside della Facoltà di Filosofia e Lettere dell’Università Nazionale di Tucuman ha firmato un accordo con il Gran Maestro della Gran Loggia di Argentina per la costituzione, all’interno della Facoltà, di una cattedra di Libero Pensiero. La notizia viene diffusa con ampio risalto nel portale dell’Università ed è stata ripresa dalla newsletter della Gran Loggia di Spagna, ‘El Oriente’.

La Preside Mercedes Leal e il Gran Maestro Angel Jorge Clavero hanno siglato la collaborazione nella sala del Consiglio Direttivo della Facoltà. Dirigerà la Cattedra Marcelo Villalba, docente della Scuola di Cinema dell’Università, che ha dichiarato che l’accordo è stato firmato, “giustamente”, nel Giorno del Libero Pensiero data, come da lui stesso ricordato, che richiama il XX Settembre 1870 della storia d’Italia.

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lunedì 25 settembre 2017

Pellegrini dell'anima. Online il seminario informale di studi del Rito di York



Vi proponiamo una selezione della sessione mattutina del seminario informale di studio dei Capitoli del Rito di York, che si è svolto in Garfagnana agli inizi del mese di settembre. «Pellegrini dell’anima» era il titolo dell’incontro. Un’occasione, soprattutto, per approfondire i contenuti simbolici del Rito, anche nei suoi risvolti cabalistici e alchemici. Con il Sommo Sacerdote e il Gran Commendatore anche il Gran Maestro dei Criptici Mario Pieraccioli.


A Praga il primo incontro mondiale delle logge italofone

Tiziano Busca a Praga

Si è svolto a Praga lo scorso fine settimana il primo incontro mondiale delle logge italofone regolari. All'iniziativa, organizzata dalla Loggia praghese J.B. Santini n. 22 e dalla Gran Loggia della Repubblica Ceca, hanno partecipato oltre 200 fratelli ed è stata l’occasione per celebrare il 300° anniversario della fondazione della Massoneria moderna. Sono intervenuti, tra gli altri, il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia Stefano Bisi e il Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dei LLMM dell'Arco Reale - Rito di York Tiziano Busca.

Il Museo dell'Alchimia a Praga

I cavalieri di san Giovanni

di Jacopo Mordenti


L'assedio di Gerusalemme


Nato per assistere i pellegrini in Terrasanta, l'Ordine monastico–militare dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme ha attraversato, non senza profondi mutamenti, oltre nove secoli di storia.

È il 26 giugno 1522. Nelle acque di Rodi sopraggiunge una flotta di proporzioni epiche: i resoconti più iperbolici parlano di oltre 150 imbarcazioni che si apprestano a sbarcare un esercito di 200 mila uomini. Arroccati al riparo delle fortificazioni della città, appena 2 mila soldati si preparano a sostenere un assedio che si prospetta evidentemente impari. Ad attaccare in massa l'isola delle rose sono gli ottomani di Solimano il Magnifico, deciso a fare dell'Egeo un mare turco; a difenderla, prima ancora di mercenari e soldati rodioti, sono poche centinaia di cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.


L'origine dell'Ospedale

Per individuare la complessa origine dell’Ordine è necessario abbandonare la Rodi del primo Cinquecento e rifarsi piuttosto alla Gerusalemme dell’XI secolo, qualche buon decennio prima che essa venga espugnata dall'esercito cristiano nell'ambito della cosiddetta prima crociata (1095 – 1099). È infatti intorno alla metà del secolo che alcuni esponenti della comunità mercantile amalfitana, ben radicata in città, creano un primo ospedale nei pressi del Santo Sepolcro, avviando più o meno contestualmente lo sviluppo di quello che sarebbe diventato il complesso di Santa Maria Latina. Affidato a una comunità di monaci cluniacensi, di lì a qualche anno tale complesso viene a sua volta dotato di un ospedale – il secondo – la cui gestione finisce per essere delegata a una comunità di laici devoti guidati da un uomo di probabili origini amalfitane, Gerardo detto l'Ospedaliero; la struttura – è opportuno notarlo – ospita una cappella intitolata a San Giovanni Elemosiniere.
Il quadro viene scompaginato dalla conquista di Gerusalemme ad opera dei crociati, nel 1099: in un momento imprecisato fra questo frangente e il 1113 – allorquando papa Pasquale II, con la bolla Pie Postulatio Voluntatis, rende l'Ospedale un Ordine internazionale e lo pone sotto la propria protezione – Gerardo istituisce un nuovo ospedale – il terzo – e acquisisce la vicina chiesa intitolata a San Giovanni Battista. Sono anni di profonde trasformazioni per la sua comunità, che rompe con i cluniacensi di Santa Maria Latina per avvicinarsi piuttosto ai canonici secolari del Santo Sepolcro. La regola monastica benedettina, impiegata dalla comunità per scandire la propria quotidianità, viene sostituita da quella agostiniana; allo stesso tempo, non senza una certa lungimiranza, al patrocinio di San Giovanni Elemosiniere si preferisce quello ben più prestigioso di San Giovanni Battista. L'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni può dirsi nato.
O forse no, non del tutto: pure istituzionalizzato, in origine l'Ospedale risulta privo di quell'esplicito carattere militare per il quale passerà alla storia. Nei suoi primi anni di vita l'Ordine deve limitarsi ad assistere – e al più, forse, a scortare – i pellegrini che giungono via via più numerosi a Gerusalemme; la sua militarizzazione avviene a conti fatti solo qualche decennio dopo, probabilmente sulla scia di quel Concilio di Troyes del 1129 che segna l'incipit della fortuna di un altro Ordine monastico–militare, quello dei templari. È vero che già fra il 1128 e il 1142 l'Ospedale entra in possesso di tre presidi strategici quali i castelli di Qalansawe, di Bethgibelin e del Krak, così come è vero che fra il 1164 e il 1169 partecipa alle campagne egiziane del re di Gerusalemme Amalrico I (1136 – 1174); ciò non toglie, tuttavia, come per trovare esplicitamente attestati cavalieri e sergenti ospedalieri sia necessario rifarsi agli statuti compilati nel 1182 durante il magistero di Roger des Moulins, mentre per una prima descrizione delle strutture militari sia necessario attendere gli statuti di Margat del 1203 – 1206.
A ogni modo, complici le cospicue donazioni liquide, immobiliari e fondiarie da parte di istituzioni secolari quanto di singole persone delle più diverse estrazioni, nel corso del XII secolo l’Ospedale cresce in numero di membri, in ricchezza, in potere, tanto nell’Oriente Latino quanto in Occidente. Monaci e – alla lunga – cavalieri, gli ospedalieri impiegano la ricchezza generata dai propri possedimenti europei per sostenere il proprio puntuale impegno assistenziale e militare in Terrasanta e, di lì a breve, lungo il fronte della Reconquista spagnola. Protagonisti indiscussi delle travagliate vicende che, fra XII e XIII secolo, vedono sgretolarsi uno dopo l’altro i cosiddetti Stati Crociati, i cavalieri dell’Ospedale prendono parte a tutte le principali battaglie e campagne che insanguinano la Terrasanta. L’ultima, drammatica battaglia del frangente è quella di Acri del 1291: la perdita della città – dove l’Ordine aveva trasferito il proprio quartier generale fin da quando Saladino aveva espugnato Gerusalemme nel 1187 – segna la fine di fatto dell’Oriente Latino, e vede l’Ospedale riparare a Cipro.


La Rodi giovannita

Privato dei suoi possedimenti in Terrasanta e a corto di uomini, a cavallo fra Due e Trecento l’Ordine vive una stagione cruciale. Naufragati i tentativi di muovere subito, su larga scala, contro l’Egitto o la Siria, nei primi anni del loro soggiorno a Limassol gli ospedalieri impiegano le proprie galere per difendere Cipro e la Piccola Armenia, così come per colpire occasionalmente le coste nemiche. È l’elezione a maestro di Foulques di Villaret, nel 1305, a segnare una svolta: convinto sostenitore dell’opportunità di un passaggio particolare - vale a dire di una campagna militare di portata ridotta, ma funzionale a creare nel breve termine le condizioni logistiche per una nuova crociata, o passaggio generale - Villaret intravede nell’isola di Rodi la possibile soluzione ai problemi che l’Ordine si trova ad affrontare tanto all’esterno quanto all’interno di esso.
Siglato un accordo di spartizione con il pirata genovese Vignolo di Vignolo, gli ospedalieri avviano la conquista di Rodi e del Dodecaneso nel 1306. L’operazione si rivela dispendiosa e richiede non meno di quattro anni, e tuttavia è lungimirante: quello che l’Ordine ha modo di realizzare sull’isola è un principato ecclesiastico indipendente. Uno storiografo contemporaneo come il Templare di Tiro è lucidissimo in merito salto di qualità operato nel frangente dagli ospedalieri, i quali vivono in questo luogo in grande libertà e franchezza e in loro autonoma signoria, senza essere soggetti ad altra signoria.
È in effetti opportuno notare come questi siano gli stessi anni in cui si consumano i processi ai templari, e in cui - più in generale - gli ordini monastico-militari perdono parte della benevolenza che l’Occidente aveva in passato riservato loro. Non è un caso che lo stesso Clemente V - il primo, in questo senso, di una serie di pontefici - avvii di lì a breve delle inchieste sulle rendite e sulla condotta dell’Ordine.
Ordine che, peraltro, anche al suo interno è percorso da intense fibrillazioni. La comunità dei fratelli, sempre più nitidamente articolata nelle diverse nazionalità dei propri membri - le cosiddette lingue: inizialmente cinque, a lungo sette, infine otto - arriva a contestare l’autoritarismo di Villaret, che nel 1319 è costretto alle dimissioni e sostituito da Hèlion de Villeneuve.
La scelta di Rodi, beninteso, non è in discussione: collocata sull’asse commerciale fra Mar Nero ed’Egitto, fra Tre e Quattrocento l’isola è oggetto da parte dell’Ospedale di interventi di ampia portata. In termini urbanistici la città viene fortificata e distinta in Borgo e Collachion: il primo è destinato agli isolani e ai commercianti latini e ebrei, il secondo è riservato agli ospedalieri. Fin da subito è inoltre attuata un’efficace politica di ripopolamento dell’isola.
Forte di un’autonoma base operativa, l’Ospedale persevera indefessamente nel muovere guerra all’infedele, guerra che pure non ha più i connotati di una crociata di largo respiro, ma piuttosto quelli di una guerriglia navale atta a sfiancare vecchi e nuovi nemici musulmani: i già ricordati mamelucchi d’Egitto da una parte, i beilicati turchi della costa anatolica dall’altra.
Non stupisce come gli ospedalieri si trovino alla bisogna a operare in squadra: ad esempio nel 1344 risultano fra gli alfieri della lega navale che conquista il porto di Smirne, prontamente affidato all’Ordine. Stupisce ancora meno come la vittoria non arrida sempre loro: nel 1378 lo stesso maestro giovannita, Juan Fernàndez de Heredia, viene catturato nel corso di un attacco ad Arta, nell’Epiro; al di là del pagamento di un ingente riscatto, l’Ordine decide di rinunciare a quella strategia di presidio in Grecia che appena un anno prima lo aveva indotto a affittare per cinque anni, da Giovanna di Napoli, il principato di Acaia.
È la vicenda di Tamerlano, fra Tre e Quattrocento, a rappresentare per certi versi una nuova cesura. Sconfitti dai mongoli a Smirne, nel 1402, i fratelli allestiscono una nuova testa di ponte in Anatolia sul sito dell’antica Alicarnasso, dove costruiscono il castello di San Pietro, l’odierna Bodrum; soprattutto, guadagnano nei fatti una lunga tregua con la potenza ottomana, che impiegherà decenni per tornare a farsi minacciosa. Al contempo gli ospedalieri siglano con i mamelucchi d’Egitto una pace che consente loro, a partire dal 1403, di godere di una propria rappresentanza a Damietta, a Ramla, a Gerusalemme: l’intesa si romperà solo oltre vent’anni più tardi, quando i mamelucchi tenteranno inutilmente di invadere Cipro nel 1426, poi la stessa Rodi nel 1440.
Conquistata Costantinopoli nel 1453, gli ottomani di Mehmed II premono su Rodi, chiedendo all’Ordine di sottomettersi e accordare un tributo. L’Ordine rifiuta: saccheggiata fra il 1455 e il 1456, l’isola vive una stagione drammatica che nel dicembre del 1479 culmina in un primo assedio della città. Complici le ingenti perdite subite e la resistenza dei fratelli, gli ottomani si ritirano nell’agosto del 1480; Rodi, gravemente danneggiata, è ulteriormente provata l’anno successivo da un violento terremoto, e quindi ricostruita.
Alla morte di Mehmed nel 1481 si scatena una lotta per il potere tra i suoi figli, Bajazet e Djem: la pressione turca sull’Ospedale - che arriva a trattenere in custodia lo sconfitto Djem - ne risulta allentata. L’equilibrio raggiunto nei fatti viene tuttavia meno a causa del supporto militare che l’Ordine, su indicazione di papa Alessandro VI, si trova a dover dare a Venezia, che entra in conflitto con gli ottomani tra il 1501 e il 1503. All’orizzonte si direbbe profilarsi una nuova stagione all’insegna della mezzaluna: tra il 1516 e il 1517 la Sublime Porta ha la meglio sui persiani safavidi e sui mamelucchi, mentre quattro anni più tardi espugna Belgrado. Rodi è più che mai isolata.
Si arriva al 26 giugno 1522. Salito al potere alla morte del padre Bajazet II, due anni prima, il nuovo sultano ottomano, Solimano, sferra un violento attacco contro l’Ordine.
Avvicinandosi da nord-est, i turchi rimangono impressionati dalle difese di Rodi: la città, circondata da una doppia cerchia di mura, sul versante marittimo dispone di bastioni a picco sul mare, mentre su quello terrestre può contare su un profondo fossato. Il porto è difeso da tre torri; le bocche da fuoco sono ovunque. Philippe de Villiers de l’Isle-Adam, il maestro dell’Ordine, pur con poche migliaia di soldati a disposizione riesce ad approntare una difesa eccezionale, in grado di respingere i ripetuti attacchi degli ottomani e tenere testa al bombardamento della loro artiglieria.
Ancora in stallo sotto le mura di Rodi, a fine agosto l’esercito ottomano viene raggiunto dal sultano in persona. Gli attacchi riprendono con maggiore intensità, ma inutilmente: Solimano conta decine di migliaia di morti. È ottobre quando i nervi del fronte giovannita cominciano a cedere: un servo del Cancelliere André d’Amaral, notoriamente ostile a l’Isle-Adam, viene catturato con un dispaccio segreto che invita i turchi a rinnovare l’attacco. Un processo sommario porta il Cancelliere ad essere giustiziato, ma è pacifico come la cosa non risolva alcunché.
Il 17 dicembre viene sferrato l’attacco che spezza definitivamente la resistenza dell’Ordine: è la milizia rodiota a chiedere al maestro trattare la resa. Solimano accetta le condizioni di l’Isle-Adam: la città e la popolazione saranno risparmiate, le chiese non saranno abbattute, ai fratelli verrà concesso l’onore delle armi e il diritto di portare con loro quanto possiedono; i rodioti che lo vorranno potranno salpare con loro.




L’Ordine a Malta

Il 2 gennaio 1523, seguito da alcune migliaia di rodioti, l’Ordine lascia l’isola alla volta di Creta, disponendo contestualmente lo smantellamento delle guarnigioni presso il castello di San Pietro e l’isola di Langò. Da Creta gli ospedalieri raggiungono Messina, quindi Civitavecchia; l’anno successivo papa Clemente VII concede loro l’usufrutto di Viterbo. Si tratta di una sistemazione transitoria, giacché – complice la peste e il sacco di Roma del 1527 – si ritiene opportuno individuare una nuova sede per il Convento, trasferito in via ancora una volta provvisoria a Nizza. Fra le numerose ipotesi vagliate – fra cui, in Italia, l’Isola d’Elba, Ponza, Ischia – l’unica percorribile risulta essere quella di Malta, in merito alla quale già nel 1523 erano state avviate delle trattative con Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero e re di Spagna. Al di fuori delle principali rotte mediterranee, l’isola non è particolarmente ben vista dai fratelli: un’ispezione preliminare ne denuncia l’aridità e la scarsa difendibilità; se si aggiungono alcune condizioni avanzate da Carlo V – su tutte quella, poi caduta, che avrebbe voluto il giuramento di fedeltà dell’Ordine alla corona spagnola – si capisce bene come le trattative si trascinino fino al 1530, allorquando con la bolla di Carlo V del 24 marzo l’Ospedale riceve in feudo perpetuo, nobile e franco l’isola di Malta, l’isola di Gozo e il castello di Tripoli.
I giovanniti prendono possesso di quanto accordato nell’autunno dello stesso anno; a Malta, stante l’inadeguatezza dell’unica città dell’isola, Mdina, collocano il Convento sulla costa nord–orientale, presso il Forte Sant’Angelo. Le incursioni sul mare riprendono speditamente: la guerra di corsa, del resto, aiuta a rimpinguare l’esausto Tesoro dell’Ordine. Beninteso gli sforzi dei fratelli a Malta non si esauriscono in questo: nei venti anni successivi le imbarcazioni giovannite ingrossano le flotte di quelle composite leghe cristiane che, con alterni risultati, si susseguono nel tentativo di arginare la potenza turca nel Mediterraneo. Esposte alla controffensiva ottomana, le guarnigioni dell’Ordine sono peraltro occasionalmente sopraffatte: nel 1551 quella dell’infelice avamposto di Tripoli si trova costretta a negoziare la resa.
Nei primi anni Sessanta, mentre le imbarcazioni giovannite battono le acque dell’Egeo e del Nord Africa, la pressione ottomana su Malta si fa palpabile: il maestro dell’Ordine Jean de La Vallette, un veterano dell’assedio di Rodi, nell’impossibilità di trasferire il Convento altrove predispone quanto necessario per affrontare un attacco che sospetta prossimo. Il sospetto è fondato: Solimano scaglia la propria armata contro Malta nel maggio del 1565, impegnandola in un oneroso assedio di quattro mesi che si rivelerà inconcludente. Le poche migliaia di soldati di La Vallette – fra cui meno di cinquecento fratelli dell’Ordine – riescono nell’intento di sfiancare le quasi quarantamila unità del sultano, fino a che i turchi superstiti non si vedono costretti, in settembre, a tornare a fare vela verso Costantinopoli.
All’indomani dell’assedio La Vallette concepisce la costruzione di una città fortificata sulla penisola maltese di Sciberras: ne nascerà la città nota oggi, non a caso, come La Valletta. Il maestro pone la prima pietra nel 1566, ma lo sviluppo della città – finanziato con i proventi della guerra di corsa, tanto più all’indomani della Riforma luterana e dello scisma anglicano che tolgono all’Ordine importanti capitoli di entrata – potrà dirsi concluso solo un secolo dopo. Una politica urbanistica di tali proporzioni non preclude però ai fratelli il proseguimento del proprio impegno militare contro i turchi, tanto più nell’ambito di nuove leghe: fra Cinque e Seicento i legni giovanniti si distinguono nella battaglia di Lepanto (1571) e in quella dei Dardanelli (1656), nonché nelle numerose operazioni navali che portano la controffensiva cristiana scaturita dalla battaglia di Vienna (1683) a conseguire la definitiva sconfitta turca con la battaglia di Zenta (1697).
Coinvolto nella Rivoluzione – durante la quale sostiene la monarchia e i moti controrivoluzionari – sullo scorcio del Settecento l’Ordine viene privato dalle nazionalizzazioni francesi di ulteriori, importanti introiti, finendo in breve per indebitarsi considerevolmente. Nella primavera del 1798, lungo il viaggio che lo porterà in Egitto, il generale Bonaparte occupa Malta: il 12 giugno, dopo aver offerto una resistenza approssimativa, il maestro Ferdinand von Hompesch zu Bolheim firma la capitolazione, a cui fa seguito la confisca dei beni dell’Ordine e l’espulsione dall’isola dei fratelli.
Malta non verrà più recuperata: strappata dalla Royal Navy ai francesi, ne verrà sancito il possesso inglese con il Trattato di Parigi del 1814. L’Ordine troverà asilo a Roma: esiste a tutt’oggi – stante la conversione ad attività assistenziali e umanitarie – quale entità sovrana, con il nome di Sovrano Militare Ordine di Malta.


I membri dell’Ospedale

L’Ordine, nel quale – previo pronunciamento dei voti di povertà, castità e obbedienza – si accettavano perlopiù uomini adulti, già addestrati e equipaggiati, si articolava in cavalieri e sergenti: a partire dal secondo Duecento fu sempre più l’estrazione sociale dei postulanti – che tendevano a provenire non dalla alta, bensì dalla media e bassa aristocrazia, soprattutto francese – a qualificare tale distinzione. Dotato di propri cappellani, all’esterno l’Ospedale si serviva tanto di mercenari – come turcopoli, balestrieri, ecc. ecc. – quanto di burocrati e inservienti, il tutto senza ovviamente prescindere dal possesso di schiavi. Un’attenzione particolare era rivolta all’ingaggio di medici, chirurghi, salassatori: del resto, nell’ambito della cerimonia di consegna dell’abito dell’Ordine, il postulante doveva dichiararsi “servo e schiavo dei signori malati”.


La gerarchia dell’Ospedale

Al vertice dell’Ordine si trovava il Maestro, eletto da un collegio elettorale i cui meccanismi di formazione cambiarono più volte nel tempo. La discrezionalità del Maestro era ampia, ma incontrava un limite negli usi della comunità dei fratelli, il cosiddetto Convento: questo trovava rappresentanza nel Capitolo, un consesso che – pure di composizione varia e periodicità irregolare – si pronunciava in fatto di politica, guerra, legislazione interna; mossero ad esempio da esso quegli Statuti che, combinati alla Regola e alle usanze, fin dal XII secolo costituirono il regolamento fattuale dell’Ordine. Al di sotto del Maestro vanno ricordati fra gli altri il Commendatore, con compiti amministrativi, e il Maresciallo, con compiti militari: a quest’ultimo era peraltro subordinato fra l’Ammiraglio, una delle ultime cariche ad essere istituite: è attestata per la prima volta nel 1299.





I colori dell'Ospedale

Così come gli altri ordini monastico–militari, anche l'Ospedale ha con il tempo messo a punto per il proprio vestiario – che si pretendeva sobrio – alcune specifiche combinazioni di colori e simboli, così da permettere ai suoi membri di distinguersi sia nella quotidianità sia – soprattutto – nel campo di battaglia. Inizialmente quelle degli ospedalieri erano delle vesti monastiche nere che, in battaglia, venivano indossate sopra l'armatura: le lamentele sulle difficoltà di movimento indotte da tale prassi vennero accolte dal papato solo nel 1248, allorquando Innocenzo IV consentì all'Ordine di adottare alla bisogna delle “ampie sopravvesti, recanti sul petto il simbolo della croce”; tale croce, di colore bianco, già da qualche buon decennio doveva peraltro aver assunto la tipica forma a otto punte richiamante le otto beatitudini del Vangelo.
È pacifico come tale vestiario andò evolvendosi sia nella forma che nel colore. Nella seconda metà del Duecento, ad esempio, l'abito da battaglia dell'Ospedale – che a differenza di altri ordini non distingueva fra cavalieri e sergenti – mantenne la croce bianca ma sostituì al nero il rosso. E ancora: fra Tre e Quattrocento l'abito quotidiano vide la veste nera accorciarsi progressivamente fino a non raggiungere le ginocchia, senza peraltro disdegnare qualche dettaglio pregiato.


Il patrimonio del Tempio

Non c’è alcuna ragione di ritenere che l’Ospedale abbia avuto un qualche ruolo nei processi per eresia che nel 1312 portarono alla soppressione del Tempio. Pure occasionalmente in disaccordo in ambito politico, i due ordini condividevano il medesimo sforzo: non è un caso se, in ragione di una percezione spesso distorta delle loro responsabilità in Terrasanta, l’Occidente del tardo Duecento abbia più volte vagheggiato di fondere ospedalieri e templari in un unico ordine. Se è vero che, con la bolla Ad Providam Christi Vicarii del 1312, l’ingente patrimonio del Tempio viene assegnato all’Ospedale, è anche vero che quest’ultimo impiegherà decenni, e cifre da capogiro, per prenderne pieno possesso. Esemplare in questo senso il caso della Francia, dove il solo Filippo il Bello pretenderà 200 mila lire tornesi quali spese di gestione, nonché quello della Scozia, dove il recupero dei beni si trascinerà fino al 1354.


La decollazione di san Giovanni Battista del Caravaggio alla concattedrale di Malta


Caravaggio a Malta

Fra le personalità storicamente più note prossime all'Ordine di Malta va probabilmente ricordata quella di Michelangelo Merisi (1571 – 1610), indicato più frequentemente come Caravaggio. Questi, ricercato in Italia con l'accusa di omicidio, nel 1607 ripara a Malta, accolto dal gran maestro dell'Ordine Alof de Wignacourt. In virtù della protezione accordatagli – nell'ambito della quale, un anno più tardi, viene insignito del titolo di cavaliere di grazia, che non prevede origini nobili e professione dei voti – Caravaggio impiega il suo soggiorno maltese per realizzare alcune delle sue più grandi opere, come il San Gerolamo e la Decollazione di San Giovanni Battista, oltre che un ritratto dello stesso Wignacourt. Di lì a breve, tuttavia, rimane coinvolto in uno scontro con un altro cavaliere dell’Ordine, che ferisce gravemente: viene allora privato dell’abito e tradotto in carcere. La sua evasione, sullo scorcio del 1608, è romanzesca: Caravaggio viene probabilmente aiutato a fuggire dagli uomini dello stesso maestro – che pubblicamente non può accordargli il perdono – e condotto segretamente a Siracusa; da lì proseguirà per Messina, Palermo e infine Porto Ercole, dove la sua travagliata vicenda troverà una drammatica conclusione.


Cronologia

1113. Papa Pasquale II emana la bolla Pie Postulatio Voluntatis, che formalizza l’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.

1306–1310. Perduta la Terrasanta, dopo una breve parentesi cipriota l’Ordine conquista l’isola di Rodi, dove crea un principato ecclesiastico indipendente.

1522. Dopo un assedio durato mesi, l’Ordine si vede costretto a trattare la resa con gli ottomani di Solimano il Magnifico, e lascia Rodi.

1565. Insediatosi a Malta nel 1530, l’Ordine deve affrontare un nuovo assedio ottomano: dalla vittoria dei fratelli nascerà La Valletta.

1798. Sullo scorcio della Rivoluzione Francese il generale Bonaparte, diretto in Egitto, conquista Malta e esilia l’Ordine.


La marina giovannita

Pure contenuta per numero di legni, la flotta di cui dispose l’Ospedale fra medioevo e età moderna si distinse per efficacia e innovazione. A partire dal Quattrocento, peraltro, non fu infrequente che un fratello venisse autorizzato dal maestro ad armare o rifornire un’imbarcazione a proprie spese.

La più piccola imbarcazione giovannita era la galeotta, eccellente per le razzie. La galera era più grande, ma pur sempre rapida: temibile negli scontri, tanto più quando lavorava in squadra, fu a lungo l’imbarcazione preferita dall’Ordine. La caracca era imponente: veniva perlopiù impiegata in appoggio a due o più galere. Il vascello di grande tonnellaggio venne adottato solo nel primo Settecento, per fronteggiare in squadra le flotte piratesche dell’Africa settentrionale.

Fra le imbarcazioni giovannite spicca la Sant’Anna, una caracca eccezionale messa in cantiere a Nizza nel 1522 e varata due anni più tardi. Dotata della prima chiglia rivestita in piombo nota in Europa, disponeva di un dislocamento di 3 mila tonnellate, quattro alberi, due ponti di cannoni, 50 bocche da fuoco grandi più numerose altre più piccole, un’armeria per 600 fra cavalieri e soldati, ecc. ecc. Disarmata già nel 1540 a causa dei proibitivi costi di manutenzione, venne demolita nel 1548.

In termini militari era il castello di prua a rappresentare il fulcro della difesa e dell’attacco di una galera. In linea con il pragmatismo dell’Ordine – relativamente precoce nel dotarsi di armi da fuoco, attestate già sullo scorcio del Trecento – le galere vennero quanto prima dotate di cannoni. I mangani occasionalmente attestati a bordo venivano soltanto trasportati per essere impiegati a terra: l’immagine del lancio di pietre nel corso di una battaglia navale è probabilmente da rigettare.

Gli equipaggi delle galere dell’ordine erano costituiti da marinai della più diversa provenienza: assodato come alla fine del Quattrocento due terzi dei vogatori fossero schiavi, va notato come fra i volontari – i cosiddetti buonavoglia – ci fossero molti maltesi già prima che l’ordine si trasferisse sull’isola. Si può ipotizzare come, in funzione militare, una galera giovannita potesse ospitare a bordo fra i 40 e i 60 armati.

Agli ordini dell’Ammiraglio la gerarchia dell’Ordine poneva il Luogotenente e, per il comando operativo delle unità in navigazione, il Capitano delle Galere (poi Capitano Generale delle Galere o semplicemente Generale). Ancora nel Settecento la marina giovannita era considerata fra le migliori d’Europa: non è un caso che non meno di 65 fratelli figurino fra gli ufficiali superiori della flotta francese pre–rivoluzionaria.

Questo articolo è tratto da Storica National Geographic n. 96 del febbraio 2017, e appare qui per gentile concessione dell’editore e dell’autore.

giovedì 21 settembre 2017

«La Massoneria è contro tutti i muri»



«Oggi non si chiudono le celebrazioni della ricorrenza del XX Settembre. È soltanto la tappa del nostro cammino di liberi muratori. Chi è venuto al Vascello ha visto una cartolina con la presa di Porta Pia e dietro la scritta ‘Siamo contro ogni tipo di muro da sempre’. Ed è così, siamo contro ogni muro». Lo ha sottolineato il Gran Maestro Stefano Bisi, il pomeriggio del 20 settembre, durante l’omaggio ai Caduti della Breccia di Porta Pia presso la lapide nelle Mura Aureliane che ricorda la storica battaglia che sancì l’annessione di Roma all’Italia.

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mercoledì 20 settembre 2017

Cozzino (Pd): «Dobbiamo lasciarci le polemiche alle spalle. La Massoneria ha un grande ruolo in Europa»

Andrea Cozzolino

“Nessun pregiudizio, dialogo con tutti”. L’europarlamentare del Pd Andrea Cozzolino ha accettato l’invito del Grande Oriente d’Italia e ha partecipato al dibattito organizzato il 16 settembre al Vascello, residenza della storica istituzione massonica italiana sul tema “Oltre. Per una nuova stagione dei diritti”  in coincidenza con le celebrazioni del XX Settembre e dei Trecento anni di Libera Muratoria. Con lui sul palco il Gran Maestro Stefano Bisi, il carismatico ex leader  sindacalista della Uil Giorgio Benvenuto, il direttore dell’unità di genetica medica  dell’Ospedale Bambin Gesù, Antonio Novelli,  il direttore della Nazione Francesco Carassi, nelle vesti di moderatore. Una presenza, quella dell’esponente del Partito Democratico alla festa della Massoneria italiana, tutt’altro che scontata. [...]

“Viviamo in un mondo, in cui, a volte i pregiudizi costruiscono delle immagini del tutto sbagliate. Che cosa dovevo  immaginarmi di trovarmi? Persone in carne e ossa, professionisti, uomini impegnati in l’Italia, una grande realtà.  Davvero dovremmo lasciarci alle spalle tante polemiche, tante discussioni, che hanno fatto tantissimi mali al paese. E poi io lo guardo anche dalla dimensione europea. La Massoneria ha un grandissimo ruolo in Europa”.

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martedì 19 settembre 2017

lunedì 18 settembre 2017

Un equinozio pieno di 2

di Cesare Marco De Lorenzi

Il 22 entreremo nel segno della Bilancia: il 2 che cerca un equilibrio

Siamo giunti in prossimità della data equinoziale autunnale. Venerdì 22 settembre 2017 alle ore 22,02 (ora legale italiana) avremo l’allineamento astronomico detto Equinozio d’autunno.
Sull’argomento molto è stato scritto e molto sarà scritto, io mi limito ad un paio di considerazioni[...].
Nella straordinaria normalità di questo evento, quello che colpisce oggi è il fiorire, il ripetersi di un numero il 2 è presente due volte nella data, giorno 22, ma questo non è in sé cosa molto straordinaria e rara, anzi la data cade tra il 22 e il 23 settembre praticamente con una ciclicità maniacale grazie al fenomeno della processione equinoziale …
Molto più eccezionale è che il numero due sia presente, ripetutamente, anche nell’orario del fenomeno. Esattamente alle ore 22 e 02 minuti.
Certamente è un fatto tutto italiano, usiamo l’orario italiano, l’ora legale italiana allocata su Roma, caput mundi, ma ugualmente è eccezionale trovarci con una serie di ben cinque 2 raggruppati per questo evento.
Il numero 2 significa dualità. Ovvero il due deriva dalla divisione dell’unità, quindi è simbolo di separazione poiché l’unitàè essenza una ed unica, dal punto di vista del sacro. La diabe, il 2, è espressione di dualità, nella visione dualistica si ha separazione del principio Materia dal principio Spirituale, si ha, con il due, incarnazione degli opposti. Maschile e Femminile. Giorno e Notte. Terra e Cielo. Freddo e Caldo.
Comunque la dualità è, oltre che senso di separazione o contrasto, tentativo di Conciliazione.
Il due è il numero del femmineo, della dolcezza e del lavoro ed amore di coppia, è un numero di armonia, tra gli opposti, di impegno, resistenza e perseveranza.
Tutto questo mi dà da riflettere sulla nostra attuale situazione sociale e politica, ma non è il luogo per elucubrazioni di tal portata, accontentiamoci di vedere un significato di forza positiva, sarà poi compito del fanciullo, il due è legato al fanciullo come figura, portare a termine quanto il numero si aspetta avvenga.
Inoltre consideriamo che il numero 2 qui si presenta per ben cinque volte e il 5 è il numero dei 5 elementi acqua, aria, terra, fuoco e etere; è il numero dei 5 sensi, il numero 5 appartiene a Shiva dai 5 volti. Ma il 5 è il numero dell’uomo mediatore di Dio, è la vita, il 5 è il ponte tra mondo materiale e mondo spirituale. È un numero dispari, come tale genera attività, ma in maniera positiva di progresso, di evoluzione ed elevazione, particolarmente in questo abbinamento con il 2.
Seconda esternazione di questo Equinozio, anch’essa legata al numero due, è ciò che avverrà a Roma poco prima dell’equinozio.
Sempre giocando con i numeri il 20 settembre, ecco un due, alle ore 11,00 e 1+1 generano il 2, a Roma, Cimitero Monumentale del Verano verrà tumulato il G.M.O. Fr. Morris Lorenzo Ghezzi nel Pantheon del G.O.I. Sito nel riquadro 52.
Anche qui abbiamo una serie numerologica significativa. La presenza del 2 del 5 e, da non sottovalutare, del’1 principio, completezza o auto creazione dell’uomo in tutto il suo essere.

The Broken Key. Il 14 novembre l'anteprima nazionale



L’anteprima nazionale di The Broken Key di Louis Nero, alla presenza degli attori (Christopher Lambert, Rutger Hauer, Geraldine Chaplin, Kabir Bedi, Franco Nero) e del regista avverrà Martedì 14 Novembre, h. 21:30 presso il Cinema Ideal di Torino. Le prevendite sono disponibili fino a esaurimento qui o presso le casse del Cinema Ideal, Corso G. Beccaria 4, Torino.

I cavalieri teutonici

di Jacopo Mordenti

I cavalieri teutonici

Sviluppatisi nel basso medioevo sulla scia di Templari e Ospedalieri, furono fra i massimi protagonisti dello scacchiere dell’Europa nordorientale.

È il 15 luglio 1410. Nei pressi del villaggio di Tannenberg, nell'odierna Polonia, si profila una battaglia in grado di ridisegnare la geopolitica dell'Europa nordorientale. Da un lato le milizie del re di Polonia Ladislao II e quelle del granduca di Lituania Vitoldo che, congiuntesi sulla Vistola due settimane prima, hanno marciato verso nord fino a penetrare in Prussia e colpire Lautenburg e Gilgenburg. Dall'altro lato, a sbarrare la strada verso ulteriori incursioni contro le roccaforti prussiane, l'esercito di uno fra i più noti ordini monastico-militari: l'ordine dei cavalieri teutonici.


Dalla Terrasanta al Baltico

Nato ad Acri sullo scorcio del XII secolo, l’Ordine dei Fratelli della Casa Ospedaliera di Santa Maria dei Teutonici in Gerusalemme era stato approvato da papa Celestino III quale ordine assistenziale, nel 1191; si era andato trasformando in ordine militare solo qualche anno più tardi, incassando nel 1199 la conferma di papa Innocenzo III. Equiparati a templari e ospedalieri da papa Onorio III nel 1221, i teutonici si distinguevano da essi per un’esplicita – ma a ben vedere non vincolante - connotazione nazionalistica, che faceva sì che la maggior parte di essi fosse di origine tedesca: da qui il supporto – in termini di uomini e mezzi – accordato loro perlopiù nell'alveo del Sacro Romano Impero; da qui, inoltre, il particolare favore loro concesso da alcuni imperatori, come ad esempio da quel Federico II che proprio nel quarto gran maestro teutonico, Ermanno von Salza, ebbe uno dei più fidati consiglieri.
Pure impegnati nella difesa dell’Oriente latino, i teutonici avevano trovato impiego anche in Europa già nel 1211, quando il re di Ungheria Andrea II aveva ottenuto il loro intervento in Transilvania contro i nomadi pagani Cumani: nel 1225 i loro brillanti risultati in termini di ripopolamento e presidio del territorio erano stati tuttavia frustrati dalla loro espulsione dal regno. Le cose andarono decisamente meglio in Prussia – a partire dall'area di Chelmno – dove fin dal 1226 il duca di Masovia aveva auspicato l'intervento dei teutonici per rintuzzare la minaccia delle tribù pagane: ottenute ampie concessioni sui territori di conquista – e opportune garanzie ducali, papali e imperiali su come tali concessioni non sarebbero state ritrattate – a partire dagli anni Trenta l'ordine si prestò a fungere da forza di occupazione nell'economia di un più ampio fronte crociato che, campagna dopo campagna, avanzò rapidamente verso est e verso nord a colpi di occupazioni e conversioni forzate. Dalla fine degli anni Cinquanta, tuttavia, complici l'assottigliamento delle milizie crociate e la resistenza di alcune popolazioni – come i Sudoviani, sovente spalleggiati dai più distanti Lituani – la guerra condotta dai teutonici iniziò ad assomigliare a una guerriglia fatta di razzie e sortite – le reisen – quando inflitte, quando subite: l'ordine ne uscì vincitore solo nel 1283.
Nel corso degli stessi decenni, peraltro, i teutonici si erano adoperati anche in un secondo fronte baltico: quello della Livonia. Nel 1237 avevano assorbito quanto restava dei cavalieri Portaspada, un ordine militare nato qualche anno prima nell'orbita dell'arcivescovato di Riga che, fra contrasti politici e scarsi mezzi a disposizione, non era riuscito a consolidarsi. L'ordine teutonico prese parte al fronte crociato intento a misurarsi via via con Samogizi e Lituani, nonché con le milizie della ortodossa Novgorod: fu nell'economia degli scontri con queste ultime che, nel 1242, si consumò la battaglia del lago Peipus che vide i teutonici e gli altri crociati – pure meglio equipaggiati – cedere alla superiorità numerica dell'esercito del principe Alexander Nevsky. Tale sconfitta, se pure interruppe sul momento lo slancio cattolico verso est, ebbe una portata modesta, e non impedì ai crociati del nord – beninteso al netto dei contrasti fra loro: si pensi ad esempio ai turbolenti rapporti fra i teutonici, l'arcivescovo e i cittadini di Riga – di conseguire nei decenni successivi risultati quando più effimeri, quando più duraturi, nei confronti dei pagani


Il Trecento

Fu nel Trecento che, nel complesso, l'ordine teutonico raggiunse l'apogeo della sua potenza: titolare di quello che era via via diventato un ampio stato sovrano, continuò a propugnare con i propri metodi l'assoggettamento e la cristianizzazione dei pagani prossimi alla propria orbita, come in primo luogo i Samogizi. Peraltro, i teutonici poterono contare sul supporto di un numero di crociati da occidente superiore rispetto a qualche decennio prima, numero che si sarebbe contratto solo sullo scorcio del secolo con la percezione del pericolo turco nei Balcani.
Fu al contempo nello stesso Trecento che si delinearono le due principali potenze avverse all'ordine teutonico: il Granducato di Lituania e il Regno di Polonia. Il primo, convintamente pagano almeno fino agli anni Ottanta del secolo, già nel Duecento aveva ripetutamente fatto da sponda alle popolazioni baltiche in affanno contro i teutonici. Nel corso del Trecento aveva più volte dato luogo ad azioni di disturbo in Prussia e in Livonia, muovendo peraltro da una posizione di forza accresciuta dal sostegno dato ai russi di Kiev contro i tartari. Negli anni Ottanta aveva visto imporsi quale granduca Jogaila, che nel 1386 aveva accettato il battesimo in funzione del matrimonio con l'erede polacca Edvige d'Angiò: assunto il nome di Ladislao II, egli era dunque divenuto anche re di Polonia.
E appunto con la Polonia gli attriti dell'ordine teutonico risalivano quanto meno al 1308, quando i confratelli erano intervenuti a favore del principe Ladislao a Danzica e in Pomerelia, dove avevano sconfitto le truppe di occupazione del Brandeburgo: stante il mancato raggiungimento di un accordo su un'indennità a proprio favore, l'ordine aveva tenuto per sé la regione e la città. Negli anni, a questa andarono a sommarsi altre contese territoriali, alimentando un climabattaglia d di ostilità – costellato di inconcludenti inchieste pontificie e di più concrete battaglie, come quella di Plowce del 1331 che vide l'ordine sconfitto – che di fatto sottrasse a sudovest risorse altrimenti spendibili a nordest.
Già occasionalmente in collaborazione fra loro nel corso del Trecento, nei primi anni del Quattrocento polacchi e lituani unirono le proprie forze per colpire congiuntamente l'ordine teutonico nel cuore dei suoi domini. Non si trattò di un'alleanza scontata: la Polonia, esposta nei confronti dell'Ungheria, non poteva che mobilitarsi con cautela; la Lituania, a sua volta, riemergeva dopo anni di conflitti intestini – conflitti nei quali avevano tentato di incunearsi gli stessi teutonici – e si era potuta dire pacificata solo una volta che Ladislao, dalla Polonia, aveva di fatto ceduto il potere al suo riottoso cugino Vitoldo. Il casus belli fu rappresentato nel 1409 da una rivolta anti-teutonica in Samogizia, che l’ordine si erano illuso di avere definitivamente piegato appena pochi anni prima: dietro tale recrudescenza del conflitto venne intravisto un attacco indiretto di Polonia e Lituania. La contingenza internazionale impedì di disinnescare il clima prima che esso degenerasse, e nella prima estate del 1410 Ladislao e Vitoldo passarono all'azione con i rispettivi eserciti, dispiegandoli in marcia contro Marienburg.

Tannemberg

Da Tannenberg alla secolarizzazione

La battaglia di Tannenberg si direbbe aver preso le mosse all'insegna della sicurezza di sé dei cavalieri teutonici. L'esercito polacco-lituano in marcia – corroborato fra gli altri da contingenti boemi, russi e tartari fino a sfiorare, a detta dei contemporanei, le 40 mila unità – si era acquartierato nella notte fra il 14 e il 15 luglio senza rendersi conto della prossimità dell'esercito nemico: il mattino seguente, ripresa la marcia, si era dunque trovato impreparato all'imminente battaglia. Il gran maestro dell'ordine teutonico Ulrico von Jungingen, al comando di un'armata che fra confratelli, milizie cittadine e mercenari contava oltre 20 mila uomini già schierati sul campo, decise tuttavia di non mettere a frutto tale vantaggio, dando esplicitamente modo a polacchi e lituani di schierarsi a loro volta per la battaglia.
Stabilire quanto la dinamica dello scontro abbia risposto a una lucida tattica delle parti è arduo: è plausibile che il fallimento dell’assalto della cavalleria leggera lituana, e la sua conseguente rotta, abbia indotto l’ordine a contrattaccare fino a spingersi in profondità fra le linee nemiche. La manovra, che sulle prime dovette sembrare vincente, provocò però l’allentamento dei ranghi dei teutonici, che non furono più in grado di compattarsi efficacemente allorquando alla resistenza dei polacchi si andò a combinare, come in una morsa, la pressione dei lituani nel frattempo rientrati nel campo di battaglia. Sotto i colpi dei nemici – su tutti, quelli della cavalleria pesante polacca – l’esercito dell’ordine non poté che ripiegare alla meglio, per poi vedersi costretto a fronteggiare anche l’insubordinazione dei propri ausiliari assegnati alle salmerie. Impossibilitati ad allestire un cerchio di carri dietro cui trincerarsi, i teutonici rimasero esposti all’attacco del nemico: la battaglia si risolse così in una strage, il cui bilanciò annoverò la morte del gran maestro e l’azzeramento del comando prussiano dell’ordine.
A un passo dall'annientamento, i teutonici riuscirono a scongiurare la caduta del loro quartier generale a Marienburg grazie all'intervento del futuro gran maestro Enrico von Plauen, che – rientrato tempestivamente dalla Samogizia alla testa di 2 o 3 mila unità – ne rafforzò le difese quel tanto che bastò a polacchi e lituani per giudicare opportuno, dopo meno di due mesi di assedio, tornare a marciare verso sud. Pure scampato al peggio, con il trattato di Torun del 1411 l'ordine teutonico dovette rinunciare alla Samogizia e farsi carico di un'ingente indennità di guerra; nei decenni successivi non riuscì ad avere ragione delle ripetuti pressioni militari e politiche esercitate dalla Polonia – significativo, in questo senso, lo scontro intellettuale che si ebbe nel corso del Concilio di Costanza fra il 1414 e il 1418 – e anzi finì per incontrare non poche difficoltà anche all’interno dei propri domini prussiani. Sconfitti nella Guerra dei tredici anni (1454 – 1466) da una confederazione di alcune città prussiane  (fra cui Danzica, Chelmno, Torun, ecc. ecc.) supportate dal regno di Polonia, con il secondo trattato di Torun i teutonici videro ridursi di molto i propri domini; la loro indipendenza venne inoltre subordinata al giuramento di fedeltà del gran maestro al re polacco.
Nel 1525 il trentasettesimo gran maestro Alberto di Brandeburgo si convertì al luteranesimo e secolarizzò i domini prussiani dei teutonici in un ducato personale. In Livonia, dove peraltro già sullo scorcio del XV secolo era apparsa evidente l'insostenibilità della pressione esercitata dai russi, la secolarizzazione ebbe luogo nel 1562 ad opera di Gottardo Kettler, che creò il ducato di Curlandia e Semgallia e lo legò quale vassallo al granducato di Lituania. L'ordine teutonico sopravvisse nella sola Germania, finendo per legarsi agli Asburgo.


I teutonici in Terrasanta

Ancora per larga parte del XIII secolo fu l’Oriente latino, non l’area baltica, il teatro d’azione preferenziale dei cavalieri teutonici: il loro quartier generale era il castello di Montfort, al confine fra gli odierni Israele e Libano, acquistato nel 1220 e perduto nel 1271. Dopo la perdita di Acri nel 1291 il centro decisionale venne spostato a Venezia, e da lì – nel 1309 – a Marienburg, in Prussia.


Il funzionamento dell’ordine

La regola teutonica traeva spunto dalle norme e dalle esperienze dei templari e degli ospedalieri, e nel suo pragmatismo scandì l’esistenza di un ordine noto per disciplina militare e efficienza amministrativa. Al pari del Tempio e dell’Ospedale, l’ordine teutonico distingueva i suoi membri in cavalieri, sergenti e semplici inservienti, perlopiù in base alla rispettiva estrazione sociale.

Una scena del film di Eisenstein


Immaginario e propaganda

Filtrati nell'immaginario politico dei paesi entrati nella loro orbita, i teutonici sono occasionalmente diventati oggetto di distorsioni: ad esempio nel film Alexander Nevsky, diretto nel 1938 dal celebre regista Sergei Eisenstein, la narrazione dello scontro tra l'ordine e le milizie di Novgorod risponde smaccatamente alla propaganda sovietica contro la Germania nazista.


Cronologia

1199: l'ordine teutonico, il cui nome completo rimandava a una presunta struttura ospedaliera sorta a Gerusalemme un secolo prima, costituita da e per tedeschi, da assistenziale diviene militare.
1230: con il trattato di Kruschwitz il duca di Masovia dona ai teutonici Chelmno e gli altri territori prussiani che essi riusciranno a conquistare. L'ordine mette radici nell'Europa nordorientale.
1291: l'Oriente Latino è perduto. I teutonici spostano il proprio quartier generale prima a Venezia, poi a Marienburg, per concentrarsi su Prussia e Livonia. Il Trecento sarà il loro secolo d'oro.
1410: i teutonici vengono sconfitti da polacchi e lituani a Tannenberg. Incapaci di far fronte ai nemici esterni e interni, nel 1466 vedranno ridursi drasticamente i propri domini prussiani.
1525: il trentasettesimo gran maestro secolarizza i domini prussiani dell'ordine in un ducato personale. Nel 1562 il suo esempio sarà seguito dal maestro livone.

Il castello a Malbork

Marienburg

Il castello di Marienburg (intorno al quale sorse nel tempo quella che oggi è la città di  Malbork, nell’odierna Polonia) divenne il quartier generale dell’ordine teutonico nel 1309.
La fortezza – il cui nome rimanda al culto teutonico della Vergine - può essere ritenuta paradigmatica della tecnica di incastellamento dell’ordine, giacché – complici gli ampliamenti di cui fu oggetto a partire dal 1320 – declinò su ampia scala alcuni punti ricorrenti della politica insediativa dei teutonici in Prussia e in Livonia. Si affaccia su un corso d’acqua (il fiume Nogat, un effluente della Vistola), così da facilitare il transito di uomini e merci da e per essa: una caratteristica tutt’altro che secondaria, se messa in relazione con l’impenetrabilità tipica di ampi territori baltici. La struttura – che ospitava fra gli altri il gran maestro, il gran commendatore e il tesoriere dell'ordine – svolse contemporaneamente le funzioni di monastero, roccaforte militare e centro amministrativo: una polivalenza mutuata da quelle severe fortificazioni di forma quadrata –costruite inizialmente in pietra, poi ove possibile in mattoni – che rappresentarono a lungo il nerbo del presidio teutonico dei propri domini. Al contempo, in fatto di decorazioni Marienburg assistette al suo interno allo sviluppo di un certo gusto per la raffinatezza: le pitture, le mattonelle e gli intarsi della capitale teutonica assursero a modello per le città e le istituzioni nell'orbita dell'ordine.
I teutonici dovettero rinunciare a Marienburg nel 1466, con il secondo trattato di Torun; il quartier generale dei loro domini superstiti divenne allora Königsberg (oggi Kaliningrad).

Questo articolo è tratto da Storica National Geographic n. 86 dell'aprile 2016, e appare qui per gentile concessione dell’editore e dell’autore

venerdì 15 settembre 2017

L'Eggregore in Massoneria

di Enzo Heffler



«Mi può spiegare quale sia la differenza fra un incontro di massoni e quello di un qualsiasi gruppo di persone?».
Questa è la domanda che mi pose anni fa un giovane apprendista, con questo termine i massoni indicano coloro che da poco tempo sono stati iniziati alla Libera Muratoria; da un primo esame può sembrare alquanto banale, invece essa nasconde tutta una serie di significati di profonda valenza. Anche se ritengo che l'autore del quesito avesse avuto un colpo di fortuna nell'avanzare il tema, poiché non percepiva quanto si celasse dietro quelle parole.
I massoni 'lavorano' per il perfezionamento di se stessi, per forgiare uomini che abbiano acquisito i mezzi necessari per agire per il bene e il progresso dell'umanità. Tale trasformazione avviene all'interno di un forno alchemico, il Tempio massonico, che viene alimentato dall'energia di tutti coloro che prendono parte alla tornata.
La tradizione iniziatica di tutti i tempi ha lavorato incessantemente per lo sviluppo dell'intuizione collettiva; coloro che si sono adoperati per tale sviluppo spesso si sono trovati a 'sentire' diversamente la realtà. Questo perché avevano imparato a leggere la coscienza collettiva come fosse uno spartito musicale, sentendo sulla pelle le 'parole silenti' dell'intuizione. Quest'energia metafisica che alimenta il forno alchemico prende il nome di Eggregore (o di Eggregoraz: può sembrare strano ma una bibliografia che spieghi veramente il significato del termine in oggetto è praticamente inesistente).
Cerchiamo di capire: che cos'è un Eggregore? Per cercare di essere facilmente comprensibile credo sia utile iniziare parlando degli 'insiemi matematici', vi ricordate quanto frequentavamo le elementari e la maestra iniziò il programma di matematica illustrando alla classe cosa fosse un insieme? Proviamo a risvegliare nella nostra memoria questo ricordo: si definisce 'insieme matematico' quando, dato un gruppo di elementi, si possa stabilire con precisione quali siano quelli che vi appartengono. In altre parole se prendiamo come base tutte le razze di pesci conosciute, potremo identificare un insieme composto dai soli pesci che vivono in acqua dolce, oppure un secondo insieme unendo solamente quelli che appartengono al genere mammifero, e potremmo procedere con altri esempi del genere all'infinito.
L'elemento cardine è il legame che esiste tra i componenti, ossia il possedere o meno certe caratteristiche determina l'appartenenza o l'esclusione dall'insieme che abbiamo definito, in modo esclusivo. Pertanto una prima definizione di Eggregore che possiamo formulare è "un Eggregore è un insieme di persone", infatti il significato di questa parola indica un 'insieme', un 'gruppo' di persone legate da sentimenti, ideali, usi e costumi comuni.
Prima di proseguire occorre premettere che l'Uomo è un continuo emettitore di energia che varia nella sua intensità, frequenza ed ampiezza, secondo la sua intenzione, la sua parola e la sua gestualità. Questo è oggi accettato dalla scienza ufficiale che ammette una differenza di potenziale dell'ordine di millesimi di volte, 3 millivolt circa. Non si sa però se insieme a questa differenza di potenziale ci sia un'altra 'quantità', un'altra forma di energia non ancora conosciuta: che sia Spirituale?
Negli ultimi anni si è affermata una branchia della ricerca medica chiamata radioestesia; uomini del calibro del professore di fisica Giambattista Callegari hanno fondato il loro lavoro su questa differenza di potenziale realizzando strumenti medicali (1951) che permettono di amplificare e di usufruire queste energie. Agli Iniziati quanto detto è noto da sempre ed anche a molti scienziati, forse Iniziati anche loro.
Dopo questa debita premessa, possiamo affermare che quando un insieme di persone si unisce all'intento comune, dovuto come detto da sentimenti, idee comuni, una forma di energia interiore, questo genera un Eggregore Vivo, senziente, pertanto: più uomini con intenti comuni, Eggregore fisico, mettono in comune, uniscono la loro energia, Eggregore Spirituale.
Appare chiaro che come esistono Eggregori fisici che professano l'elevazione spirituale, ne esistono altri che seguono indirizzi opposti; esistono Eggrvgori spirituali 'buoni' o 'cattivi', 'positivi' o 'negativi' a seconda del punto di vista dal quale si osservano.
Ad esempio, una folla di fedeli in preghiera, è un Eggregore fisico: la sua azione è naturalmente tanto più efficace quanto più sentita è la preghiera, e tanto più ancora se è per tutti una e se è guidata, convogliata da chi ne ha i poteri, verso un determinato obiettivo, si produce un Eggregore spirituale positivo. Altro esempio: un campo di battaglia medioevale, dove nella lotta all'arma bianca ognuno dei partecipanti dimentica ogni suo ideale, ogni sua ragion d'essere, nel desiderio di uccidere l'avversario o almeno di salvare la propria vita spegnendo quella altrui, è un Eggregore fisico. L'azione produce un'energia che lentamente si distacca dal piano fisico che lo genera formando un Eggregore spirituale con caratteristiche di odio, egoismo e di volontà nefasta. Tanto più forte è la personalità dei partecipanti all'Eggregore fisico e tanto maggiori sono i poteri di chi lo dirige, tanto più forte risulta l'Eggregore spirituale.
Appare evidente che un'Eggregore spirituale trae la sua forma da un'Eggregore fisica, pertanto se essa dovesse venire meno o addirittura, a causa di alcuni dei suoi membri, tramutare i suoi fini l'Eggregore spirituale verrebbe meno a sua volta o cambierebbe il suo scopo o i suoi effetti. È per questo che, negli Ordini costituiti, la scelta di coloro che vi apparterranno dece essere accurata. Chi appartiene ad un Ordine iniziatico appartiene ad una sola e unica stirpe, in quanto le differenze sono annullate con l'Iniziazione.
L'ammissione all'Ordine attraverso il Rito iniziatico è una nuova nascita, mentre la conquista di un grado nell'Ordine è l'affinamento della stirpe, realizzato tramite il proprio miglioramento; per realizzare tutto ciò appare evidente che occorre un Rito appropriato per ogni passaggio. È agevole intuire come sia estremamente facile commettere un errore o provocare reazioni diverse da quelle prefissate, ed è altrettanto semplice commettendo un sacrilegio 'disgregare'.
L'ingresso di un Adepto aumenterà la possanza dell'Eggregore grazie alle qualità e ai difetti da lui posseduti, nel contempo l'Eggregore lo isolerà dalle forze esteriori del mondo fisico e rinforzerà, con tutta la forza collettiva che ha immagazzinato, i lati deboli dell'uomo che si è legato a lei.
Nelle Iniziazioni l'iniziatore deve ottenere la concentrazione delle 'influenze' benefiche e propizie dell'Eggregore, al fine di acquisirle, possedere cioè la forza per poterle in parte trasferire con i suoi gesti, con le sue parole e con le sue intenzioni sul postulante. Un solo gesto sbagliato da parte di uno dei partecipanti al rito, una sola parola in più detta dall'iniziatore o da un suo assistente può rendere tutto vano e anche pericoloso. Perché il Rito è in azione. Vi ricordate la domanda iniziazione che mi fu posta dal giovane adepto? «Mi può spiegare quale sia la differenza fra un incontro di Massoni e quello di qualsiasi gruppo di persone?».
Una Loggia Massonica genera, attraverso i lavori condotti secondo un rituale ben definito e la loro ripetizione temporale, una forza alimentata da una potente corrente spirituale tratta dalle capacità, dalle qualità, dall'esperienza dei suoi membri; questa energia, che abbiamo chiamato Eggregore, li isola dalle forze esteriori e rinforzerà i loro lati positivi. Quindi permette, attraverso una modalità speciale, di legare tra di loro i membri in una catena d'unione e ci connetterli ad una realtà superiore che li comprende.
Il particolare legame che si instaura tra i membri di un Ordine iniziatico, basato sul coinvolgimento di sentimenti di solidarietà, di tolleranza, di affetto volto all'edificazione comune, fonte primaria di alimentazione di questa forza, si manifesta anche al di fuori delle Tornate. Se avviene un incontro fra un gruppo di persone, che si ritrovano per la prima volta, in mezzo alle quali vi sono due o più iniziati, potrete notare come si formi tra di loro una rapida intesa, avviando una conversazione amichevole che può indurre al sospetto che si conoscessero già da tempo.
Se vi ricordate, all'inizio, abbiamo condiviso il concetto che gli Iniziati sviluppino l'attitudine ad una diversa lettura della realtà, avendo affinato la loro intuizione grazie all'energia eggregorica che si è trasferita in loro, per questo motivo è naturale che le affinità intellettive percepite li spingano gli uni verso gli altri, al fine di soddisfare la naturale esigenza di ricreare quel clima che sono abituati a vivere quando si incontrano.
Questo sentimento, che prende il nome di Fratellanza, non solo prevarica l'appartenenza alla singola Officina, ma anche l'estrazione sociale, il credo religioso e l'orientamento politico, a tal proposito come non ricordare la meravigliosa poesia di Rudyard Kipling, «La Loggia Madre», che esprime con la semplicità dei grandi queste emozioni.

Rito di York: a Cosenza sei nuovi Maestri dell'Arco Reale

Ieri sera a Cosenza, al Capitolo Diapason, sei compagni sono stati accolti tra gli Eccellentissimi Maestri ed esaltati al Sublime grado dell'Arco Reale. A tutti loro buon lavoro da tutto il Rito di York...

I costruttori. Uno studio sulla Massoneria




Un classico eccezionale nella letteratura massonica che offre sia una prima storia della Massoneria che un'esposizione della fede e del significato di questa storica istituzione. Joseph Fort Newton è curato da Douglas Swannie in questa prima edizione italiana in uscita per Tipheret - Gruppo Editoriale Bonanno.

Gunther d'Amalfi, cavaliere templare. Tipheret ripropone il libro-culto di Franco Cuomo



A dieci anni dalla scomparsa dell’autore, Tipheret ripropone, quello che è diventato un libro cult per gli appassionati dei grandi temi cavallereschi e dei misteri medievali: “Gunther D’Amalfi, cavaliere templare” di Franco Cuomo, un romanzo, nato dalla straordinaria capacità dell’autore di contaminare la documentazione storica con la fantasia più trasgressiva. Un’appassionante avventura che ricorda per molti aspetti una moderna spy–story, seppure immersa in un tardo Medioevo. Sogni di gloria e d’amore, ma anche devastanti crisi spirituali, s’intrecciano su questo sfondo storico, nel segno di quella che fu la grande utopia templare, la realizzazione cioè di un’armonia universale attraverso il sincretismo delle due grandi religioni contrapposte della cristianità e dell’islam, senza esclusione per l’ebraismo (che all’epoca non era in armi come oggi, ma comunque in campo con il peso del suo primato storico tra le tre grandi religioni monoteiste). Un’utopia la cui attualità è sotto gli occhi di tutti per il dramma che si vive quotidianamente in Medioriente.

giovedì 14 settembre 2017

Morris Ghezzi riposerà nel Pantheon dei Gran Maestri, al Verano



Il Gran Maestro Onorario Morris Ghezzi, figura di spicco della Massoneria nazionale, che ci ha lasciato prematuramente lo scorso aprile, riposerà nel Pantheon dei Gran Maestri e Grandi Dignitari del Grande Oriente d’Italia al Verano. Le sue ceneri saranno tumulate mercoledì 20 settembre alle ore 11 nel corso di una cerimonia, alla quale parteciperà il Gran Maestro Stefano Bisi, nel Pantheon che è situato nell’area chiamata del Pincetto nuovo (riquadro 52, n. 1, fila 97) del Cimitero Monumentale di Roma e identificata nei documenti d’archivio come “Tomba Adriano Lemmi”, dal nome dello storico Gran Maestro che nel settembre del 1880, quando ricopriva la carica di Gran Tesoriere nella gran maestranza Petroni, perfezionò l’acquisto, dal Comune di Roma, di una zona da riservare alla Massoneria. Oggi, quello spazio suggestivo, accoglie le spoglie di illustri Liberi Muratori del Grande Oriente del lontano e recente passato. Il primo dei Fratelli che vi riposano è il Gran Maestro Giuseppe Mazzoni, passato all’Oriente Eterno nel 1880.




Fonte: GOI

Dante esoterico sabato a Villa Medici Il Vascello



“Parole e ritmo danno corpo alle figure e al travaglio delle anime della Divina Commedia. L’aria si riempie e si popola di nomi eterni, di personaggi tragici restituiti alla loro vera essenza, evocata dalla voce che diventa suono, nota musicale, immagine”. Emanuele Montagna introduce così il suo recital “Dante Esoterico. Lectura Dantis… in concerto” che torna in scena il 16 settembre a Roma nel ricco programma di celebrazioni del Grande Oriente d’Italia per l’Equinozio di Autunno e l’anniversario del XX Settembre. L’appuntamento è al Vascello, sede istituzionale del Grande Oriente d’Italia, alle ore 18. Montagna, autore, regista, attore, nome conosciuto, più volte ospite del Grande Oriente con varie rappresentazioni teatrali (l’ultima in ordine di tempo ad aprile per la Gran Loggia di Rimini) condurrà il pubblico in un viaggio suggestivo accompagnato dalle musiche originali del giovane compositore Franco Eco.

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mercoledì 13 settembre 2017

Il Valzer delle candele nacque come canto massonico



«Auld Lang Syne» (letteralmente  «Vecchi tempi andati», ma in Italia la si conosce  come «Valzer delle candele») è una canzone popolare scozzese molto diffusa nei paesi di lingua inglese, dove è tradizione cantarla a Capodanno per salutare l’anno vecchio ed accogliere quello nuovo. I versi sono stati adattati dal F.llo Robert Burns, uno tra i più noti compositori massoni della Gran Bretagna, che ha inteso dar loro una valenza massonica

Il testo originale e la traduzione italiana

Ascolta la canzone su You Tube

Fonte

martedì 12 settembre 2017

Le lettere del cielo



Frutto di un’approfondita ricerca tra le fonti della Cabbalà, compresi testi difficilmente accessibili e mai tradotti, questo nuovo libro di Yarona Pinhas si presenta come una preziosa raccolta di insegnamenti e suggestioni legati alla tradizione spirituale che ruota attorno all’alfabeto ebraico. Citando Gershom Scholem, le lettere ebraiche sono nella tradizione mistica le configurazioni della forza creatrice di Dio e non esiste un mondo spirituale se non a partire dal linguaggio e dai segni potenti che gli danno voce. La comprensione della Creazione e delle sue energie passa necessariamente dai misteri che si celano nelle lettere; al tempo stesso la nostra presenza nel mondo, il saper vivere pienamente ed eticamente passa dalla consapevolezza della forza insita nella singola lettera e dell’importanza di un uso corretto del linguaggio.
Questo libro vuole essere uno strumento per lo studioso di Cabbalà ma anche una porta d’ingresso, fatta di allusioni e fascinazioni, per chiunque percepisca il richiamo della mistica e la potenza delle lettere con cui l’universo è stato creato.

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lunedì 11 settembre 2017

Pellegrini dell'anima. Lo York in Garfagnana


Tiziano Busca con Federico Pignatelli

«Oggi è stato celebrato il senso il valore e conosciuto ciò che mai è stato approfondito. È stato entusiasmante vedere tanti tanti tanti compagni trovare sotto la quercia la via della propria elevazione. Ma ancor di più osservare come in un battito d'ali il coro della fraternità della gioia e della condivisione sia stata la chiave di questo seminario. In mezzo al bosco abbiamo incontrato i caprioli animali sacri agli dei silvani ed al dio Pan». Queste le parole del Sommo Sacerdote del Gran Capitolo dell'Arco Reale - Rito di York a margine del seminario formativo «Pellegrini dell'Anima» che si è svolto sabato scorso in Garfagnana. Erano presenti anche Mario Pieraccioli, Gran Maestro dei Massoni Criptici e Guido Vitali, Gran Commendatore dei Templari. Gli interventi, coordinati da Tiziano Busca, quelli di Massimo Agostini, Federico Pignatelli, Mauro Cascio, Enzo Heffler e Francesco Bernabucci si sono soffermati particolarmente sui depositi sapienziali, soprattutto dalla cabala e dall'alchimia, del simbolismo dei capitoli dello York. Un nome storico per il Rito, Franco Valgattarri, ha impreziosito con la sua importante presenza i lavori.