di Augusto Menduni
Ad ogni istante tutto muta: il mondo delle forme si rivela essere la dimensione propria della provvisorietà; in realtà assai prima che i giocattoli di Dioniso dessero un senso molto chiaro ai pur recenti Misteri di Eleusi, già da epoche incomputabili Croto, Lachesi, e Atropo, le Moire, reggevano le sorti degli ultimi caduti sulla terra.
Gli studi che oggi cercano di penetrare la nebbia evidentemente sempre più fitta del nostro passato remoto, si trovano a dover soprattutto congetturare, spesso la scienza azzarda, i reperti a un certo punto ammutoliscono sicché l’unico valido strumento di ricerca resta la felice intuizione, o con maggiore semplicità, la capacità di indovinare. In questo scenario da poco tempo supportato dalla tecnica, importanza fondamentale ha avuto la memoria: ne fa fede il contenuto di quattro laminette sulle quali si piange il “sepolcro della memoria: citeremo quella di Ipponio. Autore Ignoto.
Di Mnemosine questo è il sepolcro. Quando sarà tua sorte
morire
andrai alle case ben costrutte di Ade:
c’è alla destra
una fonte, e accanto ad essa
un bianco cipresso diritto;
là scendendo si raffreddano le anime dei
morti
a questa fonte non andare troppo vicini;
ma difronte troverai fredda acqua che scorre
dalle paludi di Mnemosine, e sopra i custodi
che ti chiederanno nel loro denso cuore
cosa cerchi nelle tenebre di Ade rovinoso
dì loro: sono figlio della terra e di cielo
stellante,
sono riarso di sete e muoio; datemi,
subito fredda acqua che scorre dalla
palude di Mnemosine.
E davvero ti mostreranno benevolenza
per volere
del re di sottoterra;
e davvero ti lasceranno bere dalla
palude di
Mnemosine;
infine farai molta strada, per la
sacra via che
percorrono gloriosi anche gli altri iniziati
e
i posseduti di Dioniso.
Eraclito per primo diede il nome di Logos alla legge che guida tutte le cose; ed è ben chiaro quale catastrofe dovette significare per gli antichi degli antichi il concetto di “sepolcro della memoria”: per i non iniziati era il sigillo della fine, gli iniziati, invece avevano altre possibilità di vita ulteriore.
S’è visto quanta importanza, determinante abbia avuto l’iniziazione già tra i Presocratici. Aristotele, fra i loro successori così definì il rapporto “gli iniziati non devono imparare qualche cosa bensì subire un’emozione ed essere in un certo stato, evidentemente dopo di essere divenuti capaci di ciò. L’insegnamento giunge agli uomini attraverso l’udito, l’iniziazione invece quando la capacità intuitiva subisce la folgorazione, (similmente avviene ad Eleusi), là infatti l’iniziato è modellato rispetto alle visioni, ma non riceve insegnamenti”.
Sempre Aristotele che con tanta esattezza e scarsità di parole definisce la temperie iniziatica, riprende anche la visione della trasformazione continua di Eraclito prescindendo “tutte le cose infatti mutano, da contrario a contrario, per esempio da caldo a freddo”.
È ora più che evidente che in un continuo e ininterrotto trasformarsi del reale con apprensione si deve legittimamente guardare alla forma del reale in sé: in una breve ma preziosa nota di Hughinus a Barma leggiamo: “è necessario per la conservazione dell’Universo che ogni cosa desideri e domandi la perpetuazione della sua specie”: non c’è commento; è sufficiente l’enunciato.
Mantenendoci fedeli alla legge preserveremo la forma e, in un certo senso la sostanza dell’Universo regolato secondo il dettato che leggiamo nella natura. Il cambiamento che avviene secondo la legge dà la certezza della continuità poiché al vertice della legge sta la vita iniziatica che presuppone certamente una preparazione esoterica la quale è però “vita nuova” solo dal momento dell’ammissione al rito.
Come è detto nell’Inno a Demetra “Chi non è iniziato ai Misteri giammai avrà benevolo destino, neppure dopo la morte, laggiù nella squallida tenebra”
Un’ultima osservazione che riguarda il corretto comportamento nel Lavoro solidale: la formula antica è: “faremo e udremo”; all’inizio è necessario preparare il campo, “fare”, solo dopo aver fatto quanto necessario saremo in condizione di “udire” ciò che verrà detto e di poter ancora precisare la formula asserendo, secondo la formula di M. Buber “faremo e capiremo”.
Tutto questo secondo il sommo Maestro Emmanuel Levinas, è il mistero degli angeli, il “faremo e udremo”, il segno della responsabilità illimitata.